21:03 —Questa impossibilità a differenziarmi dal mondo esterno che appare nella malattia —il solito libro che non c’è —chiara

 

 

 

XLI   Questa impossibilità a differenziarmi dal mondo esterno che appare nella malattia aveva origine nell’infanzia.

 

 

 

Avevo sempre avuto una costante difficoltà a differenziarmi dal mondo esterno, ad avere un perimetro che segnasse un mio territorio.

Un infantilismo emotivo che mi portavo dietro fin da piccola.

 

Non potevo andare al cinema perché entravo nella tela e anche i film di Totò e Rascel mi facevano piangere.

Il mio rito di passaggio al cinema era stato proprio un film di Rascel: “Atanasio cavallo vanesio”.

Una mia cugina mi aveva tenuto la mano nei punti difficili ed ero riuscita a vederlo fino alla fine.

 

Per la lettura ci aveva pensato mia sorella con un libro dei fratelli Delly : “Il marchese di Carabas”.

 

Da allora avevo letto tutta la collana della BUR cominciando dalla “A” e andavo due o tre volte alla settimana al cinema.

 

Un difetto della capacità di simbolizzazione, mi dicevo.

 

 

 

Le persone amate me le “ingoiavo”, s’installavano in me come un seme che cresceva con me e mi faceva assomigliare a loro.

 

Le persone amate erano tante, così la mia identità è stata sempre vacillante e multidirezionale.

 

Mi era difficile tenere il filo di tante possibilità.

Tutto era sempre troppo complesso.

 

 

In casa vivevo in un costante crocevia, con il rischio imminente di essere messa sotto dal traffico.

 

Ero identificata con le ragioni della ragazza che lavorava per noi, fino a sposarle, fino a diventare comunista, quando i miei erano vagamente di centro.

Le ragazze si sfogavano con me, convinte della mia segretezza, ed erano violente nell’esporre le loro ragioni.

 

Ma nello stesso tempo ero identificata con le ragioni dei miei genitori, altrettanto violente,  perché erano i miei genitori e io li amavo.

 

Mi ero scissa, per necessità, fin da piccola.

 

Questo mi ha obbligato ad avere costantemente una visione, per così dire, binoculare da strabico: un occhio guardava ad ovest ed uno ad est.

 

La lotta di classe l’ho imparata in casa, era una cosa reale.

Le ragioni  di queste due parti erano incomponibili.

 

Come la mia visione della realtà.

 

Dovevo costruirmi un’io più forte per arrivare ad una sintesi, un’integrazione che fosse mia.

 

Ma questa era un’impresa lunga e difficile.

 

Oggi, a quasi sessant’anni, dentro la fragilità e la labilità delle cose umane, credo di esserci sufficientemente riuscita, ma ci sono volute quattro crisi di pazzia, tre internazioni, un numero infinito di depressioni, e oltre vent’anni di terapia.

 

E’ stato un lavoro lungo e faticoso.

 

Ma ne valeva la pena.

 

Vale la pena quando si può alla fine vivere la serenità di una persona sufficientemente integrata.

 

 

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