un bel racconto d’amore ai giorni nostri di Roberto Rododendro::: ” MI PASSI IL SAPONE PER FAVORE? ” – a noi pare si legga ” con piacere “, i suoi racconti sono una specie di ” cronaca dei poveri amanti/ giovani nei sessanta, provenienti da certi ambienti …ecc. “

tornando ai racconti. Questo l’ho corretto in alcune parti. Non mi convince completamente, è più lento e contorto, forse. Mi piace meno degli altri forse. bah. te lo mando, poi decidi. (Roberto)

 

 

 

 

” Mi passi il sapone, per favore ? “

Com’era nata quell’idea lo so bene, perché ero stato io a proporla qualche giorno prima. Una sera eravamo a prendere un gelato in viale Trastevere quando vedo il manifesto di un film. Ricordi quasi d’infanzia si affacciano alla mia memoria di cinquantenne piuttosto sballato e in cerca di ritorni di giovinezze appassite : “L’ultima volta che mi sono suicidato” era il titolo, insomma, uno di quei titoli stupidi ad effetto, ma poco importa, era sulla vita di Kerouc col suo amico Neal Cassady, anzi, la frase precisa scritta da Cassady a Kerouac era : “Non è l’ultima volta che mi sono suicidato”, ma i titoli dei film si sa, sono sempre un po’ scemi.

Comunque sia, quel film poteva perfino interessarmi e lei, Veronica, parlava spesso, con una certa nostalgia o rimpianto, di un suo amico Paolo, molto colto e intelligente, cineasta o qualcosa del genere, che , da quando stava con me, aveva perso di vista.
Mi sembra una buona occasione per l’incontro e glielo dico.
Veronica mi guarda come a volte fa lei: seria, ma tra il soddisfatto e l’indeciso, come se mi volesse dire “ finalmente ne hai detta una giusta, ma chi te l’ha suggerita ?” Così mi dice : ”Si, può andare.” Come a farmi una concessione: lei mi valuta sempre con sospetto e quando ne dico una giusta, lei stupisce e dubita.
Cosi quella stessa sera lei chiama quel suo amico che non sente da tempo, critico o regista o solo aiuto o solo illuso come tanti…mica l’ho capito, e forse nemmeno m’interessa
La sera dopo, ci troviamo in quel cinemino all’aperto sopra il Gianicolo, tirato su alla bella e meglio per l’agosto in città, luogo molto suggestivo, con sedie pieghevoli e scomode ancora umide dalla recente pioggia e foglie che sgocciolano dagli alberi insieme alle zanzare. Il film era in lingua originale– per me impossibile, perché d’inglese io, mastico appena un “I love you” e poco altro – e anche senza capo né coda, come scopro perfino io che non ci capisco niente, ma fingo d’interessarmi perché sono sempre educato.
Troppo , dice lei, sembri uno a cui non gliene freghi niente di nulla, freddo, e mi fai incazzare e poi mi guardi coi tuoi occhioni e pensi di fregarmi.

Mi ero trasferito in casa di Veronica più o meno da tre mesi, dopo un periodo già travagliato : non che allora stessimo più tranquilli, sono cose che si dicono per dire, ma nulla sembrava distinguere quel periodo dal precedente.  Avevamo già alti e bassi. Con lei insofferente e attenta alle sue nevrosi e al suo stile di vita. Con lei sempre a chiedermi : “ Oggi, quanto mi ami ? Ora quanto mi ami ?” E a cercare di misurare la quota d’amore giornaliero da uno a dieci, come fosse un barometro e io, puntuale, le davo i numeri, variandoli sempre per dare credibilità.
Io che sentivo dentro di me una forte confusione.

Strana situazione. Lei, fino a poco prima persona libera per eccellenza, che mi metteva perfino soggezione e timore con le sue ferree convinzioni e rigidi atteggiamenti di una sua morale ineccepibile per lei. Già, tutti o quasi abbiamo morali ineccepibili per noi, solo che lei badava a non discostarsi mai dalla sua , quasi ne andasse della sua stabilità mentale. E credo, col senno di poi, che fosse la sua àncora: in altri mari sarebbe affogata in una qualche forma di pazzia. Lei, ora, sentendo in me una instabilità che io mi negavo, doveva vivere la sua ansia e quel caos di sentimenti dovuti a conflitti insolubili ( ” lui/ o meglio i miei schemi ?”), praticamente sola.  Mi pareva di sentire in lei un muto rancore  che mi si mostrava dalla sua tenerezza, di cui io avevo molto bisogno e che mi aveva in lei incantato, ora secca e contenuta. Aveva lasciato scoperto un punto nevralgico della certezza di poter stare al mondo come gli altri, e insieme da quell’assurdo compito di misurare il mio amore ogni momento, quanto ne ero sicuro, e fino a quando? quasi questo fosse per lei un possibile baratto vitale.
Tanti drammi non erano per me, almeno pensavo allora, ma per aver sbagliato lei a darmi fiducia dopo aver ceduto alle sue convinzioni : io ero un uomo sposato, e lei gli uomini sposati non li aveva mai potuti sopportare, anzi, ne provava un odio feroce. Tutto ciò all’epoca mi era sconosciuto, ma non riuscivo a capire l’intensità del suo odio o rancore.

Era stata quella una giornata piuttosto strana. Colpa di quel temporale a fine mattinata che ci aveva impedito di andare al mare e costretto in casa per tutto il pomeriggio scoprendo, almeno io, che nulla distingueva quella convivenza da una vita matrimoniale ultra decennale. Insomma, la stessa noia e poco da dirci. Anzi, già piccole ire e rivalità perché non l’aiutavo: le mie camice dovevo stirarmele io ! Le dava fastidio che io leggessi sdraiato sul letto mentre lei doveva stirare.
”I ruoli di casa devono essere distribuiti equamente” aveva stabilito dal primo giorno, ed io di buon grado ci avevo provato, ma ci ero portato molto poco, cosi limitavo il mio aiuto a sporadici lavaggi di piatti e pulizie del bagno che lei, puntuale, mi rimproverava : “ Non sei capace a fare niente ! Certo, abituato com’eri ad essere servito in tutto !” E rifaceva tutto da capo.
Quel fatto mi aveva dato da pensare a come fosse cambiata solo per la mia presenza in casa: si era calata nel ruolo di moglie ! E per di più petulante.
Così, dopo quel breve litigio sulle mie camice, avevamo fatto l’amore ma senza troppo entusiasmo, quindi al bar a bere una cosa sperando di incontrare qualcuno che non fossimo solo noi. Non che ce lo fossimo detti, ma a me era venuta quest’idea. E abbiamo tirato sera bighellonando per una Trastevere deserta.
Poi arriva quel tale Paolo e andiamo al cinema.

 

Siamo usciti dal cinema che erano si e no le undici, con loro che parlano stretto stretto delle valenze del film, per poi confrontarlo con altri film, cosi, dopo un po’ di quella commedia intellettuale, me ne sono uscito tranquillo con un mio giudizio lapidario e molto letterario : “Per me era una stronzata” ho sentenziato, ributtandomi nel mio silenzio. Veronica mi ha guardato dubbiosa : a volte presta fede ai miei giudizi, ed io le ho sorriso un po’ subdolo. Quel Paolo invece non mi ha degnato della sua attenzione, giudicandomi probabilmente uno zotico sentenzioso e ignorante, ed ha proseguito nella sua analisi, ma con una Veronica un po’ meno attenta e partecipe.
Arriviamo al solito bar “San Calisto” nella piazza adiacente a piazza di Santa Maria in Trastevere, con l’idea di sederci, ma è straripante, come sempre a quell’ora, cosi prendiamo quattro birre e decidiamo di andarle a bere a casa nostra, intanto siamo vicini.. E lui ? Lui la conosce già, ci entra da padrone, conosce l’ubicazione delle stanze e dove prendere i bicchieri, e io ? Io non ho gelosie retrospettive e poi sapevo che lui non era niente, magari un sentimento più complesso che niente ma nulla di cui preoccuparmi e poi, perché ? ”Il passato di Veronica, mi dico, non mi interessa, non mi tocca. E nemmeno il presente, le cose vanno come devono andare e io non ci posso fare niente.”  Reduce da una separazione per nulla facile, prendevo le distanze dai sentimenti, pur subendoli. Mi sentivo una sorta di spettatore.
Lei dice che sono uno spettatore di tutto, anche della vita. Ma si riferisce ai nostri rapporti, per questo s’incazza.

Nella nostra stanza – affittiamo le altre due per aggiustare le entrate – lui quasi si sdraia sul letto ancora disfatto. Veronica , dopo un po’ senza darlo a vedere, mentre parla, riesce a sistemare la sopra coperta e allora si mette tranquilla sulla sedia. A me l’onore dell’unica poltrona, ma sono un po’ in disparte. Loro riprendono a parlare fitto degli amici in comune, dove io sono escluso, anche se Veronica, di tanto in tanto mi lancia sguardi che interpreto in modo diverso: non capisco se sono di scusa o se mi invita a partecipare, ma è inutile: io non ho nulla da dire e mi godo il mio non esserci.
Lascio vagare lo sguardo per la stanza completamente distratto, mentre sento il ronzio delle loro chiacchiere. Vedo una stanza ormai ben conosciuta, ma, sarà per l’intrusione di quel tipo o per il mio stato di estraneità, la vedo come per la prima volta , in tutto il suo squallore. Lo so che Veronica arranca con pochi soldi ed io non ho contribuito in nulla per migliorare la situazione. “Io qui ci vivo, mi dico, eppure…” Ma non finisco nemmeno il pensiero.
C’è un letto a una piazza e mezza, dove dormiamo stretti e che cigola sempre ( l’ha distrutto un tale Franco che pesava più di un quintale, mi aveva raccontato lei ammiccante), c’è una poltrona, una sedia, un tavolino da lavoro zeppo di carte e di quant’altro non trova posto altrove. Tutto ammucchiato uno sull’altro. A lato della porta una specie di mobiletto in legno, sembra l’intelaiatura di una libreria, dove Veronica tiene le sue cose da toeletta ed altri ammennicoli di vario genere, purché minuti: molte cose trovate per strada, raccolte perché in quel momento le parevano interessanti. Lei è una che raccoglie, una che non butta mai. Affianco al letto c’è un piccolo comodino, anche questo pieno di libri, una piccola e spoglia lampada, una scatola di preservativi, e il mio flacone di calmanti. Lei non sopporta che io li prenda, dice che mi drogo: cosi sto cercando di ridurre le dosi, ma passo metà della notte sveglio.

Il tempo scorre. Tra una chiacchiera e l’altra, a volte capita che anch’io riesca ad inserirmi nella conversazione, ma poco m’importa. “Succede sempre così coi miei amici ! Mi rimprovera Veronica, non dimostri interesse per loro, come se non esistessero, o, peggio, come se ti dessero fastidio.” Io nego sempre ma non so quanto torto abbia. Il fatto è che provo interesse per ben poche cose. Ho già cercato di spiegarglielo che mi sento come in un limbo, che non riesco esattamente a capire chi sono che faccio e che voglio. Le ho detto anche che una volta passata l’ubriacatura che ho per lei, che ne so di quel che proverò?
“ Ho quindici anni più di te, le dico, cosa succederà tra cinque anni, quando io sarò vecchio e tu sempre uguale ?” Forse ho paura anch’io. Ciascuno di noi ha le sue paure e se le tiene ben strette. Lei non vuole capire e non prende affatto bene questo mio parlare, e forse ha ragione. Ma perché negarle ? Sono già troppe le cose che nego a me e a lei.
Mentre quei due chiacchierano come se si fossero lasciati un minuto prima e subito rincontrati, io bevo la mia birra. La finisco e attacco la quarta bottiglia jolly e non chiedo se ne vogliono, va via in un lampo, forse perché quel Paolo mi innervosisce ed anche Veronica: non si accorge che ci sono anch’io? Quindi prendo anche quella di Veronica, che ne ha lasciato più di mezza bottiglia. Non mi disturbo nemmeno di travasarla nel bicchiere : “ Perde di freschezza” penso tra me e me. E’ una birra forte che mi tocca in testa quel tanto che basta per darmi una specie di spigliatezza mista ad una forma di annebbiamento che confondo con chiarezza di pensiero.

Trovo quel Paolo deludente ed evasivo e glie lo dico.
Mi guarda interrogativo e pare chiedersi che ci faccio lì. Io dentro di me m’incazzo, perché è lui l’intruso, ma sarà vero ? Non mi ci provo ad indagare più a fondo in questo mio pensiero. Lo lascio lì per un altro momento, intanto so che non scappa. Veronica invece riesce a guardarmi con occhi duri e nello stesso tempo imploranti. Non capisco come ci riesca, lei che mi dice sempre che è stata una pessima attrice, quelle volte che ha recitato in teatro. Non so mai se crederci. A me pare bravissima.

Mi trovo finalmente al centro dell’attenzione come mai avrei voluto. E’ il panico o il non sapere come sbrogliarmi, che mi fa dire, come fosse una trovata brillante, che tutti i migliori amici di Veronica sono “froci”. Lo dico con un risolino, come se stessi dicendo una bella battuta scherzosa. Come se avessi messo un inciso coerente nel loro discorso. La parola cade giù pesante e resta lì. Non si muove. Anzi, resta visibile.
Lui mi guarda indeciso. Forse finge, forse no, non sono in grado di valutarlo e nemmeno mi ci provo. Registro, come al solito.
Io non uso mai quell’epiteto e non ho posizioni preconcette : quella frase l’ho detta perché non avevo altro da dire e in quel momento mi pareva appropriata e…ammiccante, già.

Annego. E annegando bevo l’ultimo sorso di birra. Mi richiudo nel mio guardare disattento e non dico più una parola. Loro riprendono a parlare, come se nulla fosse accaduto, ma il dialogo si è spezzato. Paolo si ferma ancora qualche minuto con poche frasi imbarazzate e quindi saluta. Dice che è tardi. Lo accompagniamo alla porta, anzi, fin giù, fuori l’ingresso.
Ho uno smagliante sorriso di saluto e gli stringo più volte la mano, quasi non volessi lasciarlo andare via, ma non fingo di essere tranquillo mentre risaliamo le scale fino all’appartamento. Così simulando una certa indifferenza le domando se per caso quel suo amico Paolo è gay anche lui. Veronica mi risponde con tono rilassato che non lo sa, ma potrebbe essere, mi sembra anche ammiccante mentre aggiunge: ”Io non l’ho mai visto con una donna ! “
Mi rilasso, il temporale non c’è, sono io che ho visto nubi inesistenti.
“Certo che quel film non aveva né capo né coda, una serata persa.” Le dico discorsivo mentre entro nel bagno per fare la doccia con lei. Ma la tenda che chiude il vano doccia è tirata e lei non fiata. Io ormai non capisco. L’episodio l’ho accantonato. Apro la tenda per entrare anch’io, lei mi fa spazio ma non parla.
“ Mi passi il sapone, per favore ?” Le chiedo gentilmente.
Lei sta zitta ed è scura in volto: li conosco quegli occhi : “ Non te ne importa niente di questa casa, né di me !” Mi apostrofa brutta.
Io la guardo e penso che non la capirò mai. Lo dico tra me e me, mentre ripeto, di nuovo gentilmente : “ Mi passi il sapone, per favore ?”

 

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3 risposte a un bel racconto d’amore ai giorni nostri di Roberto Rododendro::: ” MI PASSI IL SAPONE PER FAVORE? ” – a noi pare si legga ” con piacere “, i suoi racconti sono una specie di ” cronaca dei poveri amanti/ giovani nei sessanta, provenienti da certi ambienti …ecc. “

  1. Roberto scrive:

    ci sono due tipi di editor: uno che modifica ed uno che suggerisce.
    All’inizio, non male, dovrei confrontare ma scorre e non cambia il senso, forse l’accentua.
    Verso la metà sei andata di tuo precisando uno stato d’animo, direi “di tua competenza”.
    Nel finale hai tolto la recriminazione sulla scatola di preservativi che è un po’ il nucleo del racconto:
    disappunto nel far sapere a Paolo una convivenza o uno strano pudore che lei normalmente non ha? Comunque, entrambi potrebbero far pensare lui, il cinquantenne sballato.
    Perchè? Anche tu “pudore del preservativo” oppure non ne avevi capito il senso?
    Evidentemente è un finale da “accentuale”, renderlo più comprensibile.
    Ma nell’insieme sei stat un buon editor!

  2. Roberto scrive:

    ho riletto un po’ l’originale, di sfuggita perchè una volta finiti mi annoiano un po’. Forse non hai cambiato nulla il chè è incredibile perchè lo vedo diverso.
    Il finale si, manca un pezzo, ma forse è un semplice refuso insieme al carattere.
    Insomma. l’hai corretto qua e la o no? 🙂
    Grazie Chiara.

    • Chiara Salvini scrive:

      veramente chiara non l’ha toccato, ma la bacchetta (che secoli serviva a dare il tempo a due suonatori che volevano suonare insieme) la tengo per affetto dietro lo schermo del computer e, a volte, pochissime, neanche una che io ricordi, si mette a suonare il ritmo da sola::: chiara stava leggendo il tuo racconto : c’è stata solo una concomitanza casuale.

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