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Izet Sarajlic, il poeta che difese Sarajevo con l’amore

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Un viaggio sonoro per ripercorrere la vita e ascoltare la poesia del grande scrittore Bosniaco, testimone dell’assedio di Sarajevo e di un’intera epoca. Izet Sarajlić è stato poeta dell’amore, dell’impegno e dell’umanità

 

Le Storie di Altro (sonoro)

Un viaggio sonoro per ripercorrere la vita e ascoltare la poesia di Sarajlic grande scrittore Bosniaco, testimone dell’assedio di Sarajevo e di un’epoca.

Izet Sarajlic, il poeta che difese Sarajevo con l’amore

 
 

di Roberto Todisco

Varrebbe la pena parlare del grande poeta bosniaco Izet Sarajlic per almeno mezza dozzina di motivi, per esempio perché ha fornito a molte generazioni di fidanzati jugoslavi un intero frasario d’amore, come Prevet in Francia e Neruda in tutto il mondo.
Più di ogni altra cosa però, a rendere davvero unico Sarajlic è il fatto che ogni sua poesia, apparentemente piccola e semplice, difende dentro i suoi fragili confini un’umanità splendida, sentinella incrollabile di valori genuini, primo fra tutti l’amore “Non mi interessa quel mondo dove la principale parola non è ti amo”, ha scritto.
Sarajlic rappresenta, per dirla con le parole di René Char, “la resistenza d’un umanesimo consapevole dei suoi doveri, discreto sulle sue virtù, desideroso di riservare l’inaccessibile campo libero alla fantasia e deciso a pagare per questo”. Una resistenza, quella di Sarajlic incarnata personalmente, continuando a scrivere poesie nel suo appartamento di 37 metri quadri al centro di Sarajevo assediata.

Izet Sarajlic è nato a Doboj, in Bosnia, nel 1930. E’ troppo piccolo per fare il soldato quando scoppia la prima guerra della sua vita, quella mondiale, eppure lo colpirà tragicamente (“Solo la guerra non suona entrando in casa della gente. Entra come se ne avesse il diritto” scriverà più tardi in una poesia): le camicie nere italiane fucilano suo fratello Eso. Eppure non riesce ad odiare tutti quei ragazzi che hanno passato la frontiera in nome del fascismo. Diceva di aver imparato l’italiano dai soldati del 55° Reggimento dislocati in città, dalle loro canzoni “…torna piccina mia …” o “…mamma son tanto felice…”. Ricordava uno di loro, Mario, che la sera portava qualcosa da mangiare a casa loro.

Qualche anno dopo, a scuola, vede una bella ragazza camminare sul ponte che unisce il liceo maschile a quello femminile e capisce di essere un poeta. Ma è all’università che compie l’incontro che segnerà tutta la sua esistenza, conosce la studentessa di germanistica Ida Kalaš. Mikica, così la chiamerà sempre Izet, è il “tu” e il “lei” di tutte le sue poesie, “la donna più celebrata di tutta Sarajevo”.
Nella Jugoslavia di Tito, Sarajlic è socialista per scelta, non per opportunismo. Viene espulso dal Partito Comunista e dall’Unione degli Scrittori. Più di una noia gli crea il fatto di continuare a coltivare l’amore per la cultura e la lingua russa, anche dopo il “divorzio” fra Tito e il Cremlino (“ti canto, perché so che ti piacciono, le romanze russe. Un modo più pericoloso di fare la corte davvero non lo potevo trovare”).

Ma Sarajlic non è Hikmet, non è destinato ad una vita avventurosa, ne alla galera. Scrive Silvio Ferrari “Sarajlic è un poeta (ed un uomo, aggiungo io) privilegiato. Dava felicità e la riceveva nell’ambito di una quotidianità assolutamente ordinaria”. Scrive, legge, ascolta il respiro di sua figlia Tamara, guarda sua moglie, prende il fresco sotto la betulla davanti casa. Anche rispetto al suo mestiere e al suo talento l’approccio è tutto particolare: quello che conta davvero è sempre la vita (“E può forse una poesia sul merlo sostituire la canzone del merlo? Può? Ne dubito.”) e alla fine della vita nel bilancio pesano le serate passate a suonare la chitarra in buona compagnia, l’amore per una donna, le gite sulle colline fuori Sarajevo.
Un’altra cosa che conta è proprio l’amore per questa città, destinata a diventare un tragico simbolo della “nuova” Europa, ma per Sarajlic è il luogo dove “anche la pioggia quando cade non è solo pioggia”. Le sue poesie sono piene di nomi di strade, di quartieri, di locali e di quotidiani cittadini e tutto è animato dal passo di Lei.

Solo che su Sarajevo, dall’inizio della primavera 1992, comincia a cadere altro che la pioggia. Ad aprile l’Armata Popolare Jugoslava, l’esercito che fino a qualche mese prima costituiva la difesa di tutto il paese, e le forze serbo-bosniache attaccano la città, dando vita ad un assedio tremendo. Ogni giorno piovono decine di bombe e le strade sono costantemente “tenute d’occhio” dai cecchini.
Nonostante dai tanti amici che ha in giro per il mondo (era un uomo che si faceva voler bene, Izet) arrivino inviti a fuggire e offerte di ospitalità, Sarajlic resta accanto alla sua gente.
Nel 1995, finalmente, l’assedio si scioglie, ma le ferite che ha inflitto negli animi e nei corpi dei sarajevese continueranno ad uccidere per anni. Così, domenica primo febbraio del 1998 alle cinque del mattino muore anche Mikica.
Sarajlic continuerà a scrivere poesie d’amore alla sua “piccola grande”, vivendo una sorta di tempo postumo. Nessun rimpianto, però. Perché la vita che gli è toccato di avere – dice – è l’unica nella quale abbia potuto amare.

 

La voce di Sarajlic è tratta dal sito Casa della Poesia

Musiche

Damir Imamović – Sarajevo

Roger Stéphane – Tristesse et danse Tzigan

Traditional Balkan Folk Music From Bosnia – Seven Eight Ensemble – Tony Johansen Studio

Alejandro Bernáldez – Milonga

 

 

 

 

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