SIMONETTA FIORI, REP. 25 APRILE 2018, pag. 28 IL DIBATTITO SULLA LIBERAZIONE, INTERVISTA AL PROF. PAOLO PEZZINO

 

 

25/4/2018

CULTURA

Il dibattito sulla Liberazione

25 aprile 2018 — Che fine ha fatto la Resistenza

SIMONETTA FIORI

Da come celebriamo la nostra festa civile capiamo lo stato di salute del Paese. Tra chi la nega perché “di parte”, chi la usa contro gli immigrati e chi è indifferente, abbiamo chiesto a due storici a che punto siamo

Interviste di

Paolo Pezzino (notizie in fondo) :::  “Rischiare e fare la cosa giusta restando in silenzio È l’opposto della retorica”

Perché festeggiare oggi il 25 aprile?

«Per mille ragioni. Perché in Italia è nato il primo esperimento di un regime fascista ed è importante capire come mai. Perché del fascismo continua a fornirsi spesso, da parte di uomini politici e dei mass media, un’immagine banalizzante, edulcorata e falsa. Perché se il fascismo come regime non potrà ripetersi, alcuni elementi fondamentali della sua ideologia sono penetrati a fondo nella società italiana, e continuano ancora oggi ad operare.

Perché in realtà il Paese non ha fatto fino in fondo i conti con il ventennio».

Qual è la sua interpretazione storiografica più calzante?

«Insieme alla fine della guerra ricordiamo anche la caduta definitiva del regime – nella versione della Rsi (Repubblica sociale italiana) – e la sconfitta dell’esercito tedesco in Italia. E celebriamo il sacrifico di partigiani e militari, resistenti senz’armi, civili inermi trucidati, perseguitati politici e razziali del regime. Insomma, le tante Resistenze combattute con o senza armi. E allora è la festa della svolta decisiva verso la democrazia».

Cosa vuol dire essere antifascisti nell’Italia del 2018?

«Basta guardarsi intorno. L’estrema destra rivendica la filiazione dal passato regime, non certo per resuscitarlo per come è stato storicamente, ma richiamandolo come fonte di identità politica attuale. La figura di Mussolini è sempre più ricordata con ammirazione, senza contare le scandalose manifestazioni neofasciste a Predappio. Ed esistono altre forze politiche che pur non richiamandosi al regime diffondono elementi fondamentali della sua ideologia: il nazionalismo identitario e xenofobo e il razzismo esplicito.

Tutto ciò mi fa dire che l’antifascismo è un elemento vitale nel conflitto di valori che oggi si combatte in Italia».

L’antifascismo è diventato minoritario nella coscienza degli italiani. Come è stato possibile?

«Intanto vorrei ricordare che l’esperienza resistenziale è stata a lungo culturalmente minoritaria in Italia, oggetto di denigrazione tra gli anni Quaranta e Cinquanta da parte dell’opinione moderata: e in quegli anni – a differenza degli azionisti e dei comunisti – sia la cultura cattolica che quella liberale rinunciarono a difenderla. E poi nell’ultimo ventennio si è imposta una narrazione banalizzante del fascismo senza che chi doveva – istituzioni, forze politiche antifasciste, storici – riuscisse a contrastarla. Aggiungo tra i fattori dell’indebolimento dell’antifascismo anche la crisi dell’Unione Europea, concepita dai padri fondatori come risposta ai regimi fascista e nazista. E la crisi che ha aperto tra i ceti più disagiati spazi abbandonati dalla sinistra: penso al successo di Casa Pound».

A proposito del ceto intellettuale che ha praticato l’anti-antifascismo, molti hanno sostenuto che l’antifascismo andasse abbandonato perché appannato dalla presenza del Pci.

«Sì, chiedevano che fosse sostituito dall’antitotalitarismo. La tesi – a ricalco delle posizioni di Nolte e Furet – era che l’antifascismo rappresentasse il cavallo di Troia del comunismo italiano. Ma sostenere questa posizione – senza domandarsi quale fu il ruolo democratico del Pci – mi parve operazione astratta. Il risultato fu una vulgata anti-antifascista di cui ancora oggi si vedono le conseguenze».

Se negli anni Novanta al tentativo della destra di disarticolare le fondamenta costituzionali della Repubblica rispondeva una sinistra antifascista sollecita, oggi non si vedono molti segnali di reazione.

Qual è il rischio?

«La scomparsa della stessa sinistra.

La perdita di un solido ancoraggio di valori se protratta nel tempo non può che portare in quella direzione».

Crainz muove alla sinistra l’accusa di non aver tenuto in vita una tradizione antifascista.

«Secondo me l’ha pure difesa, ma svuotandola di significato: omaggio rituale a una storia che non viene più concepita come la propria storia».

Cosa è spendibile oggi di quella tradizione culturale?

«Dovrebbe appartenere al passato – ma purtroppo non è così – la celebrazione di una Resistenza imbalsamata in una dimensione di grande movimento nazionale: ancora oggi nelle manifestazioni pubbliche si parla soltanto di guerra di liberazione nazionale con tutto il popolo concorde. Non si accenna quasi mai alla guerra civile e alle divisioni all’interno del campo antifascista».

Cosa bisognerebbe invece fare per avvicinarla ai ragazzi?

«Ricordare la Resistenza al plurale, includendovi anche i tanti che allora lottarono mossi da solidarietà e impegno civile. Se ne ricaverebbe un’immagine molto diversa da quella di un’enorme massa di indifferenti al conflitto tra fascisti e antifascisti. Si dovrebbe parlare di più dei gesti e dei comportamenti ispirati da un antifascismo esistenziale – prepolitico – che comunque era pericoloso per chi lo praticava: accogliere gli uomini braccati, aiutare i soldati italiani sbandati dopo l’8 settembre. Una resistenza al femminile che ha avuto un ruolo fondamentale».

E la relazione con il Paese di oggi?

«In un’Italia segnata da un nazionalismo xenofobo e razzista, ricordare le tante Resistenze potrebbe assumere un significato particolare: il richiamo a valori alternativi di solidarietà e di impegno che milioni di persone seppero adottare allora. Una lezione valida ancora oggi, ma dobbiamo essere capaci di raccontarla rifuggendo da qualsiasi retorica».

 

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Paolo Pezzino (Pescara1948) è uno storico e accademico italiano.  Titolare della cattedra di Storia contemporanea relativo al corso di laurea in Storia nel corso triennale e del corso di laurea in Storia e Civiltà per la specialistica all’Università di Pisa, presidente del comitato scientifico del Museo audiovisivo della Resistenza.

Opere

  • con Luca Baldissara, Il massacro. Guerra ai civili a Monte Sole Il Mulino – 2009
  • Sant’Anna di Stazzema. Storia di una strage Il Mulino – 2009
  • Anatomia di un massacro. Controversia sopra una strage tedesca Il Mulino – 2007
  • con Bernardini Daniela, Puccini Luigi,Ma la ragione non dette risposta. Piavola 1944. La strage, la memoria, la comunità Plus – 2007
  • La tradizione antifascista a Empoli 1949-1948 Pacini Editore – 2005
  • Le mafie Giunti Editore – 2003
  • Senza Stato. Le radici storiche della crisi italiana Laterza – 2002
  • Storie di guerra civile. L’eccidio di Niccioleta Il Mulino – 2001
  • Il paradiso abitato dai diavoli. Società, élite, istituzioni nel Mezzogiorno contemporaneo FrancoAngeli – 1993
  • Le mafie Giunti Editore – 1999
  • Anatomia di un massacro. Controversia sopra una strage tedesca Il Mulino – 1997 (Premio SISSCO)

opere continua in : 

https://it.wikipedia.org/wiki/Paolo_Pezzino

 

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