VALENTINA PORQUEDDU, IL MANIFESTO DEL 11-05-2018 ::: RECENSIONE DI ANDREA CARANDINI, IO AGRIPPINA—LATERZA, pp. 312, euro 20,00

 

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Il quadro in copertina rappresenta ” Nerone stupito dinanzi al corpo della madre ancora bello da lui fatta uccidere ” (Tacito, Ann. XIV) , è un quadro delle Gallerie Estensi a Modena,  di Luca Ferrari detto Luca da Reggio, Olio su tela , cm. 145 x 170

 

 

PRESENTAZIONE DELL’EDITORE: 

 

«Sono Giulia Agrippina Augusta e ho raggiunto il quarantesimo anno di età. Ho imparato molto da mia madre, ma disgrazie innumerevoli mi hanno indotto ad agire con meno testardaggine, imitando la diplomazia in cui mio padre eccelleva. L’arte più importante è quella che insegna a vivere. Si ottiene una vita di potere solo imparando a usare gli uomini come mezzi. Il fuoco che nel cuore arde, fatto di pulsioni e debolezze, va nascosto nel ghiaccio. Una passione genuflessa al rigore delle regole di corte mi ha recato ormai un dominio indiscusso, nonostante le resistenze di chi a me tutto deve: mio figlio Nerone.»

 

     Io, Giulia Agrippina Augusta,
oggi 6 novembre del 55 giorno del mio quarantesimo natale, ho deciso: per il ruolo che ho svolto nella famiglia Giulia, per rispondere alle insinuazioni di palazzo trapelate in città e per difendere l’operato della mia famiglia scrivo le gesta delle due Agrippine – fatto senza precedenti –, cioè di mia madre e mie, che abbiamo tratto il nome dal nonno M. Vipsanio Agrippa.

Ho preso questa decisione nello studiolo chiamato Syracusae, posto al primo piano della parte privata del palazzo che ora è casa mia. Era stato Augusto a volerlo e a dargli il raro nome, perché in esso si isolava, come se si trovasse a Syracusae, la città contenuta in una isola. Nello studiolo scrivo queste righe mossa da una rissa di ricordi. Fuori dalla finestra, sopra l’Aventino, si addensano nuvole scure: il tempo volge al peggio.

Le memorie vengono redatte in due esemplari: uno noto e di mia mano, la brutta copia; l’altro ignoto e di mano di una liberta, la bella copia. Il secondo esemplare avrà due vantaggi rispetto al primo: includerà la mia fine, che magari conoscerò ma non potrò narrare, e sarà quello che più facilmente sopravviverà a questo tempo inquieto. Infatti la bella copia verrà consegnata all’archivio del palazzo quando l’imprevedibile mio figlio Nerone avrà finito di vivere.

Benché sia una donna, ho preso a modello le memorie di Giulio Cesare, di Augusto e di Claudio; non quelle menzognere di Tiberio – carnefice di genitori e fratelli –, come avrò modo di argomentare. Mia madre e io abbiamo sostenuto guerre in famiglia sanguinose quanto quelle rivolte ai nemici.

Ricordo poco della vita familiare dei miei primi anni – fatta eccezione del fuoco che crepitava scaldando e profumando la casa in legno sotto la neve –, ma ho nel cuore i racconti di mia madre, che così sempre li concludeva: «Sono l’eredità più preziosa, dicono chi siamo e cosa dobbiamo fare!». Ho anche compulsato i due archivi accolti in Syracusae, soprattutto riguardo al tempo di mia madre Agrippina.

Le gesta che narro si sono svolte alle estremità dell’Impero – tra il Reno e l’Albis e oltre l’Eufrate – e in città come Mitilene, Rodi, Antiochia, Alessandria e soprattutto Roma, nelle case e nei palazzi del Palatino, monte sul quale sorge il villaggio del potere nel quale tra parenti e affini ci si uccide.

Le case sono quelle rivolte alla Velia, all’Arce, al Campidoglio e all’Aventino . In esse e sopra di esse sono sorti poi tre palazzi: la casa di Augusto, che al suo fianco ne ha generato un’altra chiamata Augustiana voluta da mio figlio Nerone; la casa di Tiberio, successore di Augusto, che ha generato la sua estensione chiamata casa Tiberiana; la casa di mio padre Germanico, che ha generato dirimpetto la casa di mio fratello Gaio soprannominato Caligola.

Le gesta della vecchia classe dirigente repubblicana, benché predisposte negli atri delle case, erano deliberate in pubblico nel Foro. Invece le gesta dei principi si preparano e decidono nel chiuso dei palazzi. Affronto pertanto in queste memorie vicende segrete, massimo paradosso, ché la storia può fiorire soltanto quando le contese fra gli uomini si svolgono davanti al popolo.

Ah, se mosaici, marmi, pitture e stucchi, che tutto hanno visto, potessero parlare! Sarebbero i soli testimoni certi delle vite dei Cesari. Oltre ai papiri e alle tavolette cerate, confido di poter decifrare la lingua arcana degli edifici, che della storia sono il volto rivelatore. Potrebbe intendersi il principato d’Augusto ignorando il palazzo dal quale lui e gli altri Cesari hanno governato il mondo?

In tutto l’Impero, il solo uomo rimasto libero è il principe e gli unici esseri che di lui tutto sanno sono sua moglie, i parenti, la corte, i liberti, i servi e le concubine. Da questo punto di vista mi considero la narratrice ideale della casata dei Cesari – pronipote di Augusto, sorella di Caligola, moglie di Claudio e madre di Nerone –, sufficientemente vicina ai fatti senza però averli potuti determinare salvo in qualche onda lunga del potere.
Sono pertanto una testimone inferiore alle pietre, ma superiore ai pettegolezzi che cingono il palazzo con il miasma degli «Ho sentito dire…». Per gli eventi che ho vissuto e che in alcuni momenti ho contribuito a determinare non riferisco chiacchiere o versioni in contrasto tra loro – come fanno abitualmente gli storici – ma le notizie così come le ho sapute.

 

IL MANIFESTO DEL 10 MAGGIO 2018

https://ilmanifesto.it/tra-le-stanze-dei-palazzi-la-forza-di-una-imperatrice/

 

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STATUA DI AGRIPPINA MINORE (per distinguerla dalla madre, Agrippina Maggiore, moglie di Germanico), IN BASANITE, I sec. d. C

 

CULTURA

Tra le stanze dei palazzi, la forza di una imperatrice

SALONE DEL LIBRO DI TORINO. «Io, Agrippina», di Andrea Carandini, domani alle 12 in Sala Rossa

Nello studiolo chiamato Syracusae, posto al primo piano della parte privata del palazzo che fu di Augusto e dove il princeps si isolava come se si trovasse, appunto, a Siracusa – la città contenuta in un’isola – Giulia Agrippina Augusta, nel giorno del suo quarantesimo natale, decide di scrivere le sue memorie, redatte in due esemplari: uno di suo proprio pugno e l’altro, in bella copia, per mano della liberta Caenis.
Con questo artificio, Andrea Carandini dà vita all’autobiografia di una delle figure più enigmatiche della storia di Roma. Io, Agrippina. Sorella, moglie, madre d’imperatori (Laterza, pp. 312, euro 20) è un esperimento storico-letterario germogliato dalla folgorazione dell’autore per la sontuosa statua in basanite di Agrippina incoronata

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(e per la sua testa originale conservata alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen) che si trova al museo della Centrale Montemartini a Roma: «La figura e il volto mi hanno attratto a tal punto – confessa Carandini nella nota finale del volume – che mi è venuto il desiderio d’impossessarmi ancora una volta degli anni e delle vite dei Cesari».

TUTTAVIA, una conoscenza approfondita dei testi di Tacito, Cassio Dione e Svetonio non sarebbe bastata a costruire un racconto organico del periodo intercorso tra Augusto e Nerone. Serviva un personaggio, anzi una personaggia avvincente, che focalizzasse gli eventi nella sua psicologia. Così ecco che Agrippina, pronipote di Augusto, sorella di Caligola, moglie di suo zio Claudio e madre di Nerone, una donna «moderna» che alle qualità femminili univa qualità maschili, si presta alla perfezione al ruolo di voce narrante.
Il punto di vista unico ambito da Carandini è quello che egli ha potuto dedurre rielaborando le fonti e considerando i perduti – ma citati da Plinio il Vecchio e Tacito come sorgente di informazioni – Commentarii di Agrippina. Il modello letterario a cui l’autore ha voluto fare da pendant, invece, è I, Claudius di Robert Graves (1934) con la cui figlia ha la fortuna di intrattenersi durante i soggiorni estivi a Deiá, il villaggio di Mallorca dove il poeta e romanziere britannico ha vissuto ed è stato sepolto. Ma il pozzo a cui Carandini ha potuto attingere come a una festosa cornucopia è costituito dai trent’anni di scavi e ricerche condotte in prima persona sul Palatino, perché se lo storico è maestro del tempo, l’archeologo è un alchimista dello spazio e può trasformare le pietre in visioni architettoniche.

AVANGUARDISTA del metodo stratigrafico in Italia e capostipite della scuola di Topografia che sovrintende la pubblicazione di The Atlas of Ancient Rome presso la Princeton University Press, l’autore riesce a tracciare un affresco grandioso, sostenuto da una scrittura rétro ma mai oscura. Come in una pittura elegiaca dei fratelli Carracci, sfilano tra le pagine del libro imperatori crudeli, pazzi e megalomani, prefetti senza scrupoli e liberti scaltri.
Ad emergere sono soprattutto le donne: determinate, vendicative o licenziosamente ribelli. Tutti i personaggi si muovono (e muoiono) tra le stanze dei palazzi e delle ville d’otium – descritte con precisione e visualizzabili nelle illustrazioni a cura di Maria Cristina Capanna e Francesco De Stefano – mentre nel foro si consumano congiure e matrimoni, trionfi e funerali. Il potere immaginifico che l’autore riesce a suscitare è sorprendente, a dimostrazione che l’archeologia non è affatto una scienza ausiliaria della storia ma una faccia della stessa medaglia.
Risuscitare i luoghi antichi è, per Carandini, un gesto di pietas, che aiuta a capire meglio paesaggi e monumenti incastonati nell’oggi e contribuisce alla formazione culturale dell’umanità.
Andrea Carandini terrà una lectio magistralis sui temi del suo libro – con introduzione di Alessandro Laterza – al Salone del libro di Torino domani 11 maggio (ore 12, Sala Rossa)

 

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Andrea Carandini (Roma, 1937), professore emerito di Archeologia e Storia dell’arte greca e romana presso l’Università di Roma La Sapienza, ha condotto importanti scavi tra il Palatino e il Foro. L’autore è Presidente del FAI.

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