ASOR ROSA, REPUBBLICA DEL 23 AGOSTO 2018, pag. 33 ::: FRANCO MARCOALDI, GUIDA ALLA LETTERATURA SOTTO FORMA DI AMICIZIA: DA MUSIL A SVEVO A CAPRONI

 

Il nuovo saggio di Franco Marcoaldi

Da Musil a Svevo a Caproni guida alla letteratura sotto forma di amicizia

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ALBERTO ASOR ROSA,  (Roma,  1933) è un critico letterarioscrittorepolitico e docente universitario italiano.

 

Editore:Donzelli
Collana:Saggine
Anno edizione: 2018
In commercio dal: 30 agosto 2018
Pagine: 160 p. 18 euro

Franco Marcoaldi è uno scrittore, un saggista, all’occasione un uomo di spettacolo e di teatro, in passato anche un giornalista. Ma fondamentalmente è un poeta.

Sento il bisogno in esordio di questo richiamo, perché serve a capire meglio come sono stati scritti e presumibilmente come vanno letti i saggi raccolti in questo suo ultimo, agile libretto, Una certa idea di letteratura

(Donzelli). Si tratta di dieci brevi scritti dedicati ad altrettanti grandi autori fra Ottocento e Novecento che sono: Svevo, Zanzotto, Musil, Szymborska, Hrabal, Caproni, Canetti, Brodskij, De Unamuno, Meneghello. Cos’hanno in comune questi eccezionali rappresentanti della “nostra” letteratura più recente?

Evidentemente nulla, dal punto di vista tematico, ideologico, stilistico; anche l’ordine in cui vengono elencati non presenta una ragione apparente (qualcosa in comune in realtà c’è, che però dirò solo più avanti). E allora?

Allora, si giustifica a questo punto il richiamo che facevo all’inizio.

Marcoaldi non è uno storico della letteratura, che si sforzi di sistemare rapporti, discendenze, parentele: è quel poeta che in ognuno dei suoi autori cerca una verità particolare, che però straordinariamente s’incontra con una o un grumo di quelle che anche lui va cercando o che ama.

Nella lucida premessa Marcoaldi ce ne fornisce una traccia: «Di alcuni di questi scrittori e maestri sono stato amico di persona (per esempio, di Zanzotto e Meneghello). Di altri, solo attraverso la pagina. Mi piace comunque immaginarli tutti come amici dell’anima». Ecco: l’idea di letteratura che Marcoaldi qui ci propone «è fondata proprio su questo: sulla philia, sull’amicizia». Il dire poetico di Marcoaldi apparentemente affabile e discorsivo, poi fa emergere riflessioni (superficialmente) inaspettate sui vari modi dell’essere, del “nostro” essere; e ci chiama a un rapporto frontale, non periferico o indiretto o solo allusivo, come accade con altri poeti, anche grandi, del nostro tempo. Del resto, anche da questo punto di vista è l’autore che ci mette sulla buona strada. Sempre dalla premessa: quello che l’amicizia lo ha spinto a cercare in quegli autori è «un grappolo di temi presenti nei loro libri centrali e assillanti». E cioè (per citarne solo alcuni): «Lo scarto incomponibile tra sentimento e ragione, l’inafferrabilità angosciosa del tempo, il mistero invadente della sessualità». E, forse più importante di tutti: «L’insensata quiete di un senso — anche là dove non si riesca a rintracciarlo».

Difficile distinguere quanto in questo temario sia il frutto di un’analisi scrupolosa dei dieci grandi autori e quanto di un modo specifico e speculare di colui che li legge e li interpreta.

Suggerirò un solo esempio, che forse apparirà a sua volta un po’ periferico rispetto ad altri autori presenti, ma che io trovo, straordinaria mente eloquente: ed è quello di Giorgio Caproni.

 

 

Perché Caproni fa cadere l’accento sulla illimitata capacità di un certo linguaggio poetico di suscitare musicalmente, musicalmente!, la conoscenza del mondo, e di noi stessi. Che nel quadro delle preferenze per lui maggiormente sollecitanti, rientri un’opera come Il seme del piangere, una delle raccolte più straordinarie anche a mio giudizio della poesia italiana novecentesca, non fa che rafforzare e rendere più coerente il quadro che abbiamo cercato di ricostruire. Un’ultima osservazione, più da storico della letteratura. Il gruppo dei dieci grandi autori è contraddistinto da una molto peculiare perifericità, almeno rispetto agli ultimi cinquant’anni. L’italo-ebraico tedeschizzante Svevo, gli stravaganti (rispetto ai modelli dominanti) Szymborska, Hrabal, Brodskij, l’eccentrico, in molti sensi, Canetti, lo spagnolo fuori degli schemi Unamuno… Anche gli italiani Zanzotto, Caproni, Meneghello, non sono proprio centrali nella nostra storia letteraria. Inoltre: non c’è un solo scrittore di lingua inglese, non uno di lingua francese, non un sudamericano, non un orientale.

Tutto ciò mi sembra altamente significativo. Insomma, l’ombra perenne della vecchia, grande Mitteleuropa, con una consistente e non contraddittoria presenza italiana, si staglia ancora su di noi. Se questi sono gli amici in cui confidare e con cui confidarsi, non c’è che da esserne spettatori partecipi. Anche questo, pare a me, fa parte coerentemente e persuasivamente di tutto il resto.

 

 

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