ELENA POLIDORI, AMATRICE NON C’E’ PIU’ (NERI POZZA), … ” MA IL SUO CUORE BATTE ANCORA NEI VERSI DEL BELLI “

 

 

L’anticipazione

Il cuore della mia Amatrice batte ancora nei versi di Belli

ELENA POLIDORI

 © ANSA

(Neri Pozza, pag. 138, Euro 13,50).

Elena Polidori ha vissuto in prima persona, insieme alla sua famiglia, il terremoto che due anni fa devastò il paese laziale. E ora racconta in un libro, tra memoria, cronaca e denuncia, perché quel luogo è e resterà unico

… E quella vorta che qui a la Matricia…

Ecco, così doveva iniziare il libro, quante volte immaginato, anzi già scritto nella fantasia, carezzato in sogno nelle notti di Roma e in quelle di “qui”, sì, proprio qui, a la Matricia.

Quanto di più diverso da questo che inizia traballando sotto una scossa, la Grande Scossa dei giorni perduti, dei muri franati, delle cose tutte ancora lì sotto, che è pure pericoloso avvicinarsi, e il sentiero è ingombro di sassi, e l’erba è cresciuta come una piccola giungla, si è fatta sterpi, e poi ricrescerà a dismisura.

Inizio anni Ottanta. Eravamo giovani, senza figli, senza troppi pensieri.

A casa dei giornalisti le “notizie” arrivano come arrivano. Questa stava nascosta tra le righe di qualche noiosissimo testo che all’improvviso s’illuminò. Diceva che Giuseppe Gioachino Belli, prima di dar corso alla sua più nota e straordinaria produzione, il grandioso “monumento della plebe di Roma”, aveva scritto delle composizioni “in dialetto amatriciano”. E, come un fulmine, era nata l’idea. Come, in dialetto amatriciano? E dove stava? E come metterci al più presto le zampe sopra? Vai a pensare allora al terremoto, o al “teremoto”, o “tremoto”, o “terramoto”, come con diverse varianti lo designa il sommo Belli. Il tesoro fu rinvenuto all’interno del Fondo Belli della Biblioteca Nazionale di Roma, a Castro Pretorio. La filastrocca era composta da venti quartine per un totale di ottanta versi endecasillabi rimasti sepolti per quasi due secoli. Da quel poco che riuscimmo a capire da alcuni riferimenti bibliografici, Belli avrebbe dovuto scriverla quando aveva circa trent’anni, tra il 1818 e il 1822. Capitato da quelle parti viaggiando in diligenza lungo la via Salaria, doveva essersi fermato ad Amatrice, e in quella cittadina la parlata locale doveva essergli entrata nelle orecchie.

Donde la serenata, che così proseguiva: Affaccete a la finestra, o faccia bella Naso de neve bocca inzuccherata Ch’io te la voglio fa la serenata Te la voglio sonà la ciaramella Uè uè uà; uè uè uà….

* * * Sono secoli che Amatrix fidelis deve vedersela con i terremoti.

Una dannazione — color viola nelle mappe sismiche d’Italia — pari solo allo splendore amichevole delle sue montagne dove tante volte ci si inerpicava per ammirare cascate e vallate, sulle piste del Tracciolino di Annibale. Nei boschi di cerri, castagni, querce e faggi, ciascuna specie alle varie altitudini, abbondavano le fungaie di ogni qualità: anche due gettate di porcini l’anno. Nella zona da poco era tornato il capriolo, qualcuno aveva avvistato le aquile, qualcun altro i lupi, specie in inverno. I più lamentavano la presenzamassiccia dei cinghiali che entravano e uscivano dal Parco del Gran Sasso e dei Monti della Laga dribblando i cacciatori e perciò invadendo terreni e colture. La città dell’Amatrice, gioiello ai piedi dei Monti della Laga, è uno spicchio di Lazio ex borbonico che confina con l’Umbria, l’Abruzzo e le Marche, il centro di una cultura profonda non solo contadina.

Motivo d’orgoglio è sempre stata anche la gastronomia, conosciuta a livello internazionale, essendo gli spaghetti, dopo la pizza, ilpiatto più famoso al mondo. Rossi di pomodoro e guanciale o bianchi nella variante Gricia, sempre e comunque un cibo contadino a base di alimenti a portata di ogni casa. La ricetta originale era una specie di controverso e geloso mistero di gastrosofia. Ora, dopo il disastro, l’Italia ha annunciato che vuole candidare l’amatriciana a patrimonio dell’Unesco.

Il cinquantenario della Sagra, in versione kolossal, era stato messo in programma due giorni dopo il giorno del terremoto d’agosto.

A tavola non s’invecchia mai e il lutto non s’addiceva ad Amatrice. Ma stavolta il sisma aveva squartato ristoranti e cucine, rovesciato frigoriferi, aperto voragini sotto le dispense, infranto migliaia di bottiglie di vino. La gloria di Amatrice e delle frazioni, ora in riva al Lago di Scandarello, ora appollaiate sui poggi o rasenti la via Salaria, è difficile da riconoscere perché senza pretese. Qui si viveva di cose semplici. Popolazione astuta e laboriosa. Montanari però anche abili commercianti. Artisti della battuta scettica o del sottile sfottò. Era la storia di un centro di pastorizia, le greggi portate cento e più anni orsono a svernare nell’Agro romano, su prati e terreni suburbani poi divenuti di colpo preziosi perché edificabili, nella città eterna che si faceva metropoli, sia pure secondo una discussa e disordinata espansione urbanistica Arrivata nel cuore della notte, la morte ha rischiato di oscurare tutto questo e il ricordo di quegli attimi è stato ancora peggio.

Famiglie distrutte. Figure la cui scomparsa ha suscitato un senso di sconvolgente incredulità.

La catastrofe sarebbe stata ben peggiore se avesse ceduto la gigantesca diga che contiene le acque del lago di Scandarello.

Una eventuale frana avrebbe senz’altro sommerso l’intera valle del Tronto, uno tsunami che nessuno avrebbe potuto qualificare con la più vieta e abusata espressione: all’amatriciana.

E ora? Ora forse sarà il caso di finirla con quell’etichetta squalificante, mezzo salottiera e mezzo televisiva. Ad Amatrice si sono contate le vittime. Le urla dei sopravvissuti nel silenzio della notte, il pianto e il terrore dei bambini varranno pure a imporre un rispetto altrimenti negato.

 

ELISABETTA STEFANELLI NE FA UNA BELLA RECENSIONE…ANSA.IT, 23 AGOSTO 2018

http://www.ansa.it/sito/notizie/cultura/unlibroalgiorno/2018/08/23/elena-polidori-amatrice-non-ce-piu_dbefe6dd-af26-428f-800e-58b01a80cc4f.html

 

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Elena G. Polidori

 

Elena G. Polidori, professionista dal ’91 e decana tra i giornalisti che si occupano di Rai, scrive di politica e televisione per il «Quotidiano Nazionale» («La Nazione», «Il Resto del Carlino» e «Il Giorno») ed è autrice di programmi televisivi con W l’Italia diretta (Raitre) di Riccardo Iacona.
Per Aliberti è in uscita il suo secondo libro, un approfondimento sul declino del berlusconismo.

BERLUSCONI E LA FABBRICA DEL POPOLO

 Anno: 2011
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