Elle Fanning in una scena di Mary Shelley, il film di Haifaa al-Mansour nelle sale italiane dal 29 agosto
SPETTACOLI
La tendenza
Le regine della penna sul grande schermo non sono solo zitelle
NATALIA ASPESI,
Natalia Aspesi (Milano, 1929) è una giornalista e scrittrice italiana
A cominciare da “Mary Shelley”, in arrivo nei cinema, pullulano le bio delle grandi scrittrici del passato che puntano sull’ingegno e contro i tabù
MILANO
In cerca di figure femminili che plachino i malumori delle donne attorno al loro ruolo, alle loro capacità, a questo benedetto corpo che continua a essere considerato una preda oppure un aggressore (come nel primo Novecento, le donne dette perverse, vampire, fiori velenosi), il cinema, esausto, sta cercando nuovi appigli per un pubblico pensante, e ha ripreso a dedicarsi alle protagoniste di penna del passato, rinfrescandone l’approccio: non più zitelline chiuse in cupe casupole isolate e immerse nella tormenta tipo sorelle Brontë (nel 1978 con Huppert e Adjani) e neppure ingegni depressi e suicidi come Virginia Woolf (nel 2002 Nicole Kidman in The Hours di Stephen Daldry).
Oggi di queste antiche signore si scopre finalmente non solo l’importanza letteraria e l’eventuale vita amorosa, ma anche la certezza del proprio ingegno contro ogni arroganza maschile sia sociale che scientifica, la capacità di rompere ogni tabù sessuale imposto, il coraggio di cercare la propria libertà e unicità in tempi di sottomissione e inconsistenza.
Esce adesso Mary Shelley (a cui da noi hanno aggiunto il sottotitolo “Un amore immortale”): è la creatrice del personaggio più sfruttato dal cinema, quel Frankenstein da cui sono nati decine e decine di film. Il romanzo era stato pubblicato anonimo nel 1816 e aveva suscitato un delirio tra i pensatori progressisti che essendo tali erano chiusi in un loro paradiso maschile; quindi ci rimasero malissimo, increduli, quando si seppe che quel capolavoro del pensiero e oggi, addirittura accostato alla psicanalisi, l’aveva scritto una donna, cioè un umano privo di cervello, e che per di più aveva solo 18 anni.
Un ritratto del 1840 la mostra un po’ funerea, mentre nel film la interpreta la fragile e graziosa Elle Fanning.
La regista saudita senza velo Haifaa al-Mansour, ( La bicicletta verde) dà alla sua vita le ragioni per scrivere Frankenstein: bambina, sempre al cimitero davanti alla tomba di mamma morta di febbri puerperali, Mary Wollstonecraft, autrice del primo saggio femminista.
Grandicella, a leggere storie di fantasmi nella vasta biblioteca di papà William Godwin, filosofo e politico senza un soldo.
Matrigna cattiva, sorellastra che la segue quando lei sedicenne fugge con “l’amore immortale”,
il venerato poeta ventenne Percy Bysshe Shelley, sposato e con una piccina, interpretato dal lezioso Douglas Booth; ripudio familiare, povertà, figliolina nata morta, lui che la incita ad andare a letto con un amico per via del libero amore, e per andare a letto lui con la di lei sorellastra però incinta di Lord Byron ovviamente poeta: per forza una d’animo creativo s’inventa il nuovo Prometeo, il mostro creato dallo scienziato Frankenstein (anche Percy si dilettava di chimica con i suoi alambicchi) che poi rifiuta il suo affetto, lo abbandona, lo spinge a distruggere: o a scrivere.
La scena risolutiva è nel ricco salone di una villa vicino a Ginevra dove in una notte buia e tempestosa, Shelley, Byron, Mary, la sorellastra e il medico Polidori se la spassano goticamente. Su quella notte sono già stati fatti ben tre film, da Ken Russell, Ivan Passer, Gonzalo Suarez: nessuno ha dato molta importanza a Mary.
È ancora nei cinema, in assoluto il più bello di questi film nuovi che cercano di attualizzare le eroine della letteratura, ed è
A quiet passion di Terence Davies con una stupenda Cynthia Nixon, sulla vita reclusa e spoglia della poetessa americana Emily Dickinson, che a metà 800 rifiutò il matrimonio, allora un gesto di inaudita ribellione, per dedicarsi indisturbata alla meraviglia dei suoi versi.
Al Sundance Festival hanno presentato con critici contenti (da noi arriva in autunno) Colette, ispirato alla giovinezza primo Novecento della celeberrima sporcacciona francese nella prosa e nella vita.
Il regista Wash Westmoreland racconta solo gli anni in cui giovinetta campagnola, sposa Willy, il suo primo marito, maturo e mondano, superseduttore e sfruttatore della scrittura di chiunque e quindi anche della sua, autrice della serie della empia fanciulla Claudine che firmò lui. Ma la cineColette come quella vera, si emancipa attraverso il sempre soccorrevole lesbismo e infine, massima liberazione e inizio della vera vita, divorzio e pubblica accoppiata con Missy, un’aristocratica transgender.
Colette Data di nascita: 28. Gennaio 1873 Data di morte: 3. Agosto 1954 Altri nomi: Coletteová, Sidonie G. Colette Colette, pseudonimo di Sidonie-Gabrielle Colette , è stata una scrittrice francese, considerata fra le maggiori figure della prima metà del XX secolo. Insignita delle più importanti onorificenze accademiche, nonché Grand’Ufficiale della Legion d’onore, fu la prima donna nella storia della Repubblica Francese a ricevere funerali di stato.
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Colette nel 1907
Colette da giovane nel 1890
foto di Jacques Humbert
” Epoca “, 15 agosto 1954