ANNA LOMBARDI, REPUBBLICA 19 OTTOBRE 2018, pag. 13:: IL TESTAMENTO DI KHASHOGGI, ULTIMO SUO ARTICOLO SUL WASHINGTON POST–è da leggere tutto…un ampio panorama sul mondo arabo

 

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JAMAL KHASHOGGI  è nato in Arabia Saudita nel 1958, muore il 2 ottobre 2018 nell’ambasciata saudita a Istanbul, Turchia

 

 

 

REPUBBLICA DEL 19 OTTOBRE 2018 pag. 13

 

Il caso

Il dissidente ucciso

Il testamento di Khashoggi “Il mondo arabo non conosce libertà”

L’articolo postumo sul Washington Post Trump: sì, è morto. No Usa alla Davos saudita

ANNA LOMBARDI,

 

 

 

Dalla nostra inviata

 

NEW YORK

Il mondo arabo è costretto in una cortina di ferro che non è stata eretta dall’esterno, ma da forze interne in gara per il potere”. L’ultimo atto d’accusa del giornalista saudita Jamal Khashoggi arriva dalle pagine del Washington Post due settimane dopo la sua scomparsa, svanito a Istanbul, all’interno del consolato del suo paese, dov’era entrato per ritirare i documenti necessari a sposarsi. Karen Attiah, la curatrice delle pagine editoriali del giornale di Washington, spiega di avere aspettato a pubblicarlo nella speranza di parlare di nuovo con lui. Discutere gli ultimi dettagli di quell’articolo arrivato poco prima di quel 2 ottobre che l’ha inghiottito nel nulla. Ma di essersi infine decisa: «Quella speranza è svanita». Khashoggi non c’è più, secondo le autorità turche morto sette minuti dopo il suo ingresso nella sede diplomatica. E oggi le sue parole pesanti come pietre suonano più che mai come un tragico epitaffio.

Tanto che a metà mattinata, poche ore dopo la pubblicazione, perfino il ministro del Tesoro americano Steven Mnuchin annuncia che non parteciperà alla “Davos del deserto”, la conferenza Future Investment Initiative che si terrà a Riad dal 23 al 25 ottobre, organizzata dal fondo sovrano saudita Public Ivestement Fund.

Ultima defezione eccellente dopo quella di numerosi leader della finanza, della politica e dei media americani e mondiali.

Poco dopo anche Donald Trump ha detto di essersi convinto che Khashoggi è morto e, pur senza spingersi, almeno per ora, ad accusare esplicitamente il principe ereditario Mohammed bin Salman, ha riconosciuto come plausibile il contenuto del rapporto redatto dall’intelligence americana. Il presidente ha messo in dubbio per la prima volta la solidità dell’allenza con i sauditi, avvertendo che «potrebbero esserci gravi conseguenze».

“Ho letto il report Freedom in the World del 2018. E sono arrivato alla grave conclusione che nel mondo arabo resti un unico Paese considerato ‘libero’: la Tunisia.

Giordania, Marocco e Kuwait sono ‘parzialmente liberi’. Tutti gli altri sono ‘non liberi’ “. Inizia proprio così l’ultimo durissimo editoriale di Jamal Khashoggi: con un riferimento al report annuale di Freedom House che misura il grado di libertà civili e diritti politici garantiti in ciascun paese.

“Il risultato è che gli arabi che vivono in questi paesi sono contemporaneamente poco e mal informati. Incapaci di discutere delle questioni che li riguardano, politiche e pratiche. La psiche pubblica è dominata dalla narrativa di stato. Una situazione, purtroppo, che non è destinata a cambiare”. Le speranze della primavera araba sono state tradite: “Credevamo di emanciparci dall’egemonia, dai costanti interventi governativi, della censura dell’informazione.

Siamo stati delusi: si è tornati allo status quo e la situazione è peggiore di prima”. Per questo, fa una lunga lista di abusi perpetrati: “Un mio caro amico, il celebre scrittore saudita Saleh al-Shehi, scrisse uno degli editoriali più famosi mai pubblicati dalla stampa saudita. Oggi sconta un’ingiusta condanna a cinque anni. Il governo egiziano ha sequestrato l’intera tiratura del giornale Al-Masry al-Youm: ma tutto questo non suscita né rabbia né reazioni”. Puntando con sicurezza il dito sul mondo occidentale: “Non c’è più alcun contraccolpo da parte della comunità internazionale. Che sempre più permette ai governi arabi di continuare a silenziare i media, bloccare internet, arrestare i reporter, fare pressioni sui pubblicitari”. Ci sono delle oasi, naturalmente. “Qatar, Kuwait, Libano e appunto la Tunisia. Ma anche lì ci si concentra su questioni interne senza mai occuparsi del più ampio problema che riguarda l’intero mondo arabo“. Come rompere quella cortina di ferro, dunque?

Non resta che la libertà d’espressione. “Il mondo arabo ha bisogno di una versione moderna di vecchi media transnazionali.

Come Radio Free Europe”, sì, proprio la radio finanziata dagli Stati Uniti durante la guerra fredda per trasmettere notizie in Unione Sovietica. “Abbiamo bisogno di una piattaforma che ospiti le voci arabe e sempre più articoli tradotti. Solo la creazione di un forum internazionale indipendente, isolato dall’influenza di governi nazionalisti che spargono odio attraverso la propaganda, permetterà finalmente agli arabi di essere in grado di affrontare i problemi strutturali della loro società”. Un sogno che al potere saudita, e a più di qualcuno al di qua e al di là dell’Atlantico, evidentemente fa paura.

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