CARLO BONINI, SAN PAULO, BRASILE :: INTERVISTA ALL’AVVOCATO DI CESARE BATTISTI::: ” NON SI CONSEGNERA’. IL BRASILE LO HA LASCIATO FUGGIRE. CHIUSA LA PARTITA CON L’ITALIA “

 

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L’incontro

Igor Sant’Anna Tamasauskas

“Battisti non si consegnerà il Brasile lo ha lasciato fuggire Chiusa la partita con l’Italia”

CARLO BONINI,

Dal nostro inviato

SAN PAOLO DEL BRASILE

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Al decimo piano di un grattacielo del quartiere residenziale di Jardins, al 2441 di Alameda Santos, seduto a un tavolo che apre lo sguardo su un orizzonte urbano che non sembra avere una fine, un giovane uomo di 42 anni, gli occhi azzurri dietro lenti da presbite dalla montatura in titanio, è la sola boa che Cesare Battisti, il Fuggitivo, ha lasciato dietro di sé.

O il suo pesce pilota, se si preferisce. Si chiama Igor Sant’Anna Tamasauskas. Sposato, due figli piccoli, ha sangue italiano. «Mia nonna Annunziata nacque negli anni venti del secolo scorso qui a San Paolo. Dove erano arrivati i suoi genitori, Domenico Antonio Di Sandro e Maria Barbetta, quando la miseria li aveva spinti a lasciare la loro Campobasso», dice con un sorriso garbato. È un giovane principe del foro brasiliano. Ha fatto parte del team legale dell’ex presidente Lula. Divide lo studio con un altro pezzo da novanta dell’avvocatura brasiliana, Pierpaolo Cruz Bottini.

E se esiste ancora un caso Battisti è perché lui è riuscito per sei anni a dare scacco al sistema giuridico del Paese. A infilarsi nelle sue contraddizioni e contorsioni politiche. Con il suo cliente non divide apparentemente nulla. A cominciare dalle maniere pacate dell’argomentare. Dal suo sguardo sull’Italia. «Mi è capitato spesso di pensare in questi anni e a maggior ragione in questi giorni cosa potranno pensare di me gli italiani. E la cosa mi turba, perché amo l’Italia. Ma sto difendendo Battisti non per quel che ha fatto nel vostro Paese quarant’anni fa, o per ragioni politiche o ideologiche, ma per quello che questa vicenda significa nel mio Paese. Perché in gioco non è il destino di Battisti, ma il rapporto tra i diritti umani e il Potere sovrano dello Stato». Riportare per un momento Tamasauskas sulla terra e sulla domanda di queste ore non è complicato. Del resto, quella domanda la conosce e sembra aver pensato a lungo alla risposta. «Dov’è Battisti? Non lo so. Ho provato a capirlo. Ma so che non sarà facile neanche per me.

Posso immaginare cosa gli stia passando per la testa in queste ore. E non credo di sbagliare se dico che non si consegnerà. Mai.

Che non darà alcun vantaggio alla polizia che gli dà la caccia. E dunque non farà l’errore di farsi individuare con una mail, un sms o un whatsapp. Non lo farà. E del resto non ha scelta. Questa storia sarà ancora lunga e non riesco a immaginarne l’epilogo».

La notte della fuga

Mentre ne ricorda perfettamente l’incipit. «Ci siamo sentiti l’ultima volta alla fine di novembre. Direi l’ultima settimana. O, forse, erano i primi giorni di inizio dicembre.

Poco prima che tutto precipitasse.

Era a Cananeia. Mi aveva chiamato perché dovevamo discutere dell’inchiesta in cui è indagato per esportazione illegale di valuta. Si tratta dei 6 mila euro che gli vennero trovati indosso quando fu arrestato l’ultima volta mentre cercava di passare il confine con la Bolivia. Né io, né lui, avevamo alcuna percezione di quanto il giudice Luiz Fux del Tribunale Supremo si preparava a disporre la sera di giovedì 13 dicembre».

Tamasauskas sapeva almeno dalla fine del 2017 che la nostra diplomazia aveva risollevato il caso dell’estradizione con un nuovo ricorso. E ne era anche preoccupato. «Avevo provato in tutti i modi a cercare di conoscere il contenuto di quel ricorso, ma non avrei mai immaginato che la questione avesse l’accelerazione che ha avuto. Quel giovedì stavo mettendo a letto i miei figli quando arrivò la notizia della decisione del giudice Fux e dell’ordine di arresto. Provai a contattare Battisti sul cellulare.

Quindi attraverso Whatsapp, le mail. Aveva staccato tutto. E quando provai con i suoi amici ebbi la stessa risposta. Aveva interrotto ogni contatto. Allora, mi aprii una bottiglia di vino e rimasi tutta la notte in piedi per redigere il testo di un nuovo ricorso che avrei presentato il giorno successivo». Da quella notte insonne e da quel che ne è seguito, Tamasauskas sostiene di aver maturato una convinzione.

“Lo hanno lasciato scappare”

«Non era mai successo in questo Paese che un ordine di cattura firmato da un giudice del Tribunale Supremo venisse annunciato in diretta dai notiziari radio e tv, finisse on line e il giorno dopo fosse su tutte le prime pagine dei giornali. Normalmente accade che sia io che venga svegliato all’alba da un cliente che mi dice “avvocato, mi stanno arrestando”. E non che mentre vado a letto venga chiamato da decine di giornalisti che mi dicono che stanno per arrestare un mio cliente. Credo che quella fuga di notizie, che per quanto so ha fatto imbestialire la Polizia Federale, sia quello che, in portoghese, definiamo un Ato falho, un’azione che ha come suo scopo l’opposto di ciò che si prefigge. Detta in altro modo, penso che quella fuga di notizie sia servita a chiudere la partita senza danni per nessuno. Il Brasile ha messo fine a una partita politica delicata con l’Italia, capovolgendo la decisione di Lula, e Battisti è stato messo nelle condizioni di non doverne pagare il prezzo lasciandogli la possibilità di fuggire, come ha fatto. In mezzo, sono rimaste solo le macerie del diritto. Perché la questione, quella che ho sollevato in questo mio ultimo ricorso, è che la decisione del giudice Fux svela come di fronte a quella che noi chiamiamo sovranità, ma che è solo un modo per definire il Potere, vengono meno i diritti umani». A ben vedere, parlando di diritti umani, ci sarebbero anche quelli dei familiari delle vittime di Battisti che chiedono giustizia da 40 anni. Tamasauskas annuisce.

«Lo so. Quando nel 2013 accettai l’incarico di difendere Battisti, gli chiesi come mai l’Italia tutta, destra e sinistra, lo odiasse. Mi rispose che era innocente, che non aveva commesso gli omicidi per cui era stato condannato e che pagava la colpa di aver provocato politicamente l’opinione pubblica italiana durante il suo periodo di esilio in Francia. Non ho mai voluto approfondire. Ho imparato a non giudicare i miei clienti ed è quello che ho fatto in questi anni e continuo a fare con Battisti, cui peraltro, senza mai essere troppo ascoltato, ho sempre consigliato di mantenere un profilo basso».

Per la sua difesa, assicura l’avvocato, «Battisti non paga».

«Nel 2013 decisi di assisterlo pro bono. Era una scommessa su quello che questo caso rappresentava per il Brasile. E dunque che sarei stato ripagato su un altro piano, come è stato». O, almeno, così pensava fino a giovedì scorso. «Già. Ora la situazione è tale che la questione giuridica che ho posto con il nuovo ricorso non potrà essere discussa prima di febbraio 2019 quando, dopo la sospensione feriale, il Tribunale Supremo tornerà a riunirsi. Conoscendo la Corte, si rifiuterà di discuterne il merito se Battisti non accetterà di consegnarsi. Ma se Battisti si consegna, dopo qualche ora sarà su un aereo per l’Italia. È uno stallo da cui non so come si uscirà. Anzi, sono certo che presto arriverà un nuovo ordine di arresto per i 6 mila euro dell’ultima fuga.

Capisce ora perché Battisti non si farà mai prendere?».

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