VI PRESENTIAMO UN BLOG: IL FOGLIO PSICHIATRICO, IL CUI SCOPO E’ ” LA DIVULGAZIONE DI QUALITA’ ” SU ARGOMENTI RIGUARDANTI LA SALUTE MENTALE +++ UN ARTICOLO DI RAFFAELE AVICO (psicologo cognitivo-comportamentale) SU : ” L’ APPRENDIMENTO DELLA RAPPRESENTAZIONE DI SE’ ” E IL SUO LEGAME CON LE FIGURE PARENTALI

 

IL FOGLIO PSICHIATRICO

Blog di divulgazione scientifica, aggiornamento e formazione in Psichiatria e Psicoterapia

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IL BLOG

Il blog si pone come obiettivo primario la divulgazione di qualità a proposito di argomenti concernenti la salute mentale: si parla di neuroscienza, psicoterapia, psicoanalisi, psichiatria e psicologia in senso allargato:

  • Nella sezione AGGIORNAMENTO troverete la sintesi e la semplificazione di articoli tratti da autorevoli riviste psichiatriche. Vogliamo dare un taglio “avanguardistico” alla scelta degli articoli da elaborare, con un occhio a quella che potrà essere la psichiatria e la psicoterapia di “domani”. Useremo come fonti articoli pubblicati su riviste psichiatriche di rilevanza internazionale (ad esempio JAMA Psychiatry, World Psychiatry, etc) così da garantire un aggiornamento qualitativamente adeguato.
  • Nella sezione FORMAZIONE sono contenuti post a contenuto vario, che hanno l’obiettivo di (in)formare il lettore a proposito di un determinato argomento.
  • Nella sezione EDITORIALI troverete punti di vista personali a proposito di tematiche di attualità psichiatrica.
  • Nella sezione RECENSIONI saranno pubblicate brevi e chiare recensioni di libri inerenti la salute mentale (psicoterapia, psichiatria, etc.)

 

A CURA DI:

  • Raffaele Avico, psicologo psicoterapeuta cognitivo-comportamentale,  Torino
  • Matteo Respino, medico psichiatra, New York
  • Luca Proietti, medico specializzando in psichiatria e in psicoterapia strategica, Genova

 

 

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COME NASCE LA RAPPRESENTAZIONE DI SÈ? UN APPROFONDIMENTO

di Raffaele Avico

La costruzione e la nascita della Rappresentazione del Sé è stata studiata in modo approfondito negli studi di Gallup (1970) su scimmie di diverse specie, negli studi di Lewis e Brook (Lewis & Brook, 1979) e più recentemente negli studi di Povinelli sul riconoscimento alla specchio, effettuati in prevalenza su bambini (Povinelli et al., 1997).

Gallup si propose di osservare se esemplari di scimmia estrapolati da specie diverse fossero in grado di riconoscersi allo specchio, scoprendo che solo alcune delle specie prese in considerazione erano in grado di farlo (orangutan, scimpanzé e bonobo): nei suoi esperimenti gli esemplari di scimmia capaci di riconoscersi utilizzavano lo specchio per osservare le proprie espressioni facciali e per esplorare parti del corpo altrimenti inaccessibili alla vista. Gallup ritenne a partire da queste osservazioni che la capacità di riconoscersi allo specchio dell’animale indicasse la presenza di una coscienza di sé nello stesso: non esplicitò tuttavia le motivazioni sottese al fatto che solo alcuni esemplari appartenenti a specie differenti di scimmia sembrassero esserne dotati, e quali elementi a livello filo- e ontogenetico potessero averne influenzato l’evoluzione in questa direzione (Gallup, 1970).

Anni dopo, Povinelli si occupò delle stesse tematiche, approfondendo gli aspetti della questione legati alle vicende evolutive che avessero portato alcune specie di scimmia e non altre a sviluppare un’autocoscienza e quindi la capacità di riconoscersi allo specchio (Povinelli & Cant, 1995).

L’autore ipotizzò che uno degli aspetti che potevano aver differenziato il percorso evolutivo nelle diverse specie fosse un’acquisita e maggiorata coscienza chinestesica, inerente il corpo, di sè, sviluppatasi a partire da mutamenti nelle condizioni ambientali contestuali alla vita di alcune specie di scimmia.

Queste specie di scimmia sembravano, nel corso dell’evoluzione, essere state forzate a una vita maggiormente sedentaria e meno caratterizzata dalla necessità di effettuare spostamenti veloci (per esempio sugli alberi), che si sarebbe risolta nel tempo in un aumento della massa corporea. A questo secondo l’autore avrebbe fatto seguito lo sviluppo di una rappresentazione corporea più elaborata e adatta a rispondere alle richieste dell’ambiente in modo più efficiente (Povinelli descrive questo processo a partire dal costrutto teorico definito Self Evolved for Locomotor Flexibility). Questo salto evolutivo avrebbe secondo Povinelli dato il via al processo di costruzione di un concetto di Sé in questi esemplari, che avrebbe poi trovato piena maturazione nel percorso evolutivo della specie umana.

Ciò che Povinelli sottolinea è in particolare l’importanza della presa di coscienza del corpo, considerata antecedente alla nascita dell’autocoscienza, per mezzo dell’osservazione di sé allo specchio (processo cognitivo in un certo modo accostabile a quello sotteso alle reazioni circolari teorizzate da Piaget nell’osservazione dello sviluppo del bambino, caratterizzate dall’elaborazione di feedback chinestesici e informazioni propriocettive per arrivare alla presa di coscienza di una propria potenzialità sensomotoria. (Piaget et al., 1966)).

Povinelli sostiene inoltre che il riconoscimento di sé non sarebbe, in questi esperimenti, da ricondurre alla conoscenza di come funziona uno specchio, cioè alla consapevolezza della capacità dello stesso di riflettere le cose (so che lo specchio riflette = imparo a conoscere il mio corpo a partire dall’immagine che vedo riflessa). Secondo l’autore la consapevolezza autonoetica manifestata di fronte allo specchio si tradurrebbe invece in una sequenza di pensiero più simile a:

l’immagine allo specchio = il mio corpo,

senza sequenze di pensiero intermedie (Mitchell, 1993).

Ciò che emerge dagli studi di Povinelli, inoltre, è che il bambino comincerebbe a riconoscersi con continuità, cioè a costruire una Rappresentazione del Sé come costante e duratura nel tempo, solo a partire da un’età superiore ai 4 anni, quindi successivamente rispetto all’acquisizione della nozione di possessione del corpo (Povinelli, 2001).

Per arrivare a queste conclusioni, i ricercatori hanno effettuato su un campione di bambini la prova del riconoscimento allo specchio, inserendo però una variante metodologica che testasse l’acquisizione della Rappresentazione del Sé estesa nel tempo, la presentazione cioè al bambino di lui stesso videoripreso, ma in differita di alcuni secondi. Sottoponendo bambini di diverse età a questa prova, si è osservato che solo i bambini di età uguale o superiore ai 4 anni sembravano riconoscersi nelle immagini video ritardate, cosa che poteva far pensare a una raggiunta acquisizione di una Rappresentazione del Sé estesa nel tempo nel bambino (Povinelli, Landau & Perilloux, 1996).

 

DUE FASI

Ciò ha portato i ricercatori coinvolti nello studio ad ipotizzare la presenza di due livelli o fasi consecutive del processo di costruzione della Rappresentazione del Sé: una più precoce e legata all’acquisizione della nozione di possesso del corpo a partire da feedback sensoriali chinestesici semplici (riconosco che quello è il mio corpo, lo vedo, si muove con me), l’altra, più tardiva, legata invece all’acquisizione di una Rappresentazione del Sé costante nel tempo e svincolata dalla necessità di appoggiarsi su feedback sensoriali (quello sono io, mi riconosco, e rimango io nel tempo).

Interessante a questo proposito l’osservazione fatta dagli autori del suddetto studio sul comportamento di una bambina di 3 anni di fronte alla propria immagine ritardata nel video: di riconoscimento in un primo tempo, ma subito dopo di “presa di distanza” dall’immagine di Sé, esplicitata attraverso la richiesta “ma come mai indossa la mia maglia?”. Questo manifesterebbe secondo gli autori il conflitto insito alla fase di transizione verso un’acquisizione completa della Rappresentazione del Sé da parte della bambina: quest’ultima sarebbe stata in altre parole in grado di riconoscersi solo in parte, o solo in alcuni momenti (gli autori suggeriscono per spiegare questo fenomeno la presenza, in una determinata fase dello sviluppo, di più dimensioni del Sé, solo in parte rappresentate cognitivamente dal soggetto) (ibidem).

 

MEMORIA AUTOBIOGRAFICA

I processi cognitivi sottesi allo sviluppo della Rappresentazione del Sé non possono essere pensati come indipendenti da quelli concernenti l’attività di rievocazione di ricordi autobiografici, così come da quelli sottesi al funzionamento del linguaggio.

Vigotskij (1932) a questo proposito teorizzò il concetto di linguaggio normativo, un linguaggio cioè avente un’importante funzione regolativa nei processi cognitivi dell’individuo. Senza l’utilizzo del linguaggio (verbalizzato o interno), secondo l’autore non ci sarebbe possibilità di costruire un’immagine di Sé coerente né di organizzare i ricordi in forma narrativa.

Vigotskij sostiene l’esistenza di una tendenza umana a “fare ordine” attraverso il linguaggio interno, comunicando con se stessi, a parlare a se stessi in modo pedagogico e a conferire un significato alle proprie azioni attraverso la narrazione (ibidem).

Il linguaggio risulterebbe da questo punto di vista uno strumento cognitivo indispensabile al buon funzionamento di alcuni tra i processi cognitivi più importanti per il mantenimento della salute psichica, quali la memoria e la costruzione della Rappresentazione del Sé.

 

In letteratura si considera che la Rappresentazione del Sé venga influenzata durante lo sviluppo anche dall’attribuzione di valore fatta dal bambino a se stesso a partire dai giudizi verbali o meno provenienti dagli adulti.

Secondo la prospettiva cognitivista la modalità con cui il bambino forma un’immagine di sé avente più o meno valore dipenderebbe in larga parte da come il bambino recepisce ed elabora tali giudizi. La costruzione di un profilo psicologico riferito al Sé comincerebbe in età molto precoce, e il successivo rendersi conto delle differenze tra il sé reale e il sé ideale darebbe origine nel bambino alla capacità autoriflessiva.

Alcuni autori hanno descritto il processo di costruzione della Rappresentazione del Sé in relazione alle interazioni multiple con la famiglia d’origine in età molto precoce (Thompson, 1998). Secondo questi studi tali interazioni multiple quotidiane fornirebbero al bambino un laboratorio sociale, una “scuola” in cui imparare a gestire le differenti possibili situazioni interpersonali, come la negoziazione del conflitto, la manifestazione dell’umore, la finzione del gioco, ecc.

Una descrizione dello sviluppo della Rappresentazione del Sé costruito a partire dalle interazioni multiple è anche quella proposta nel modello teorico formulato da Guidano e Liotti (Guidano e Liotti, 1983).

Secondo questi autori il percorso di sviluppo della Rappresentazione del Sé avverrebbe a partire da un’attività cognitiva ancora più precoce e basilare per l’individuo: la costruzione di schemi.

I due autori infatti concepiscono l’uomo come una struttura conoscitiva iper-complessa che fin dalla nascita crea una serie di schemi cognitivi che lo aiutano nell’esplorazione della realtà. Il concetto di schema cognitivo potrebbe essere semplificato utilizzando il termine convinzione: nel corso dell’esperienza l’individuo accumula una serie di informazioni da cui trae conclusioni o inferenze che gli permettano di prevedere i fatti nella realtà da cui è circondato.

La capacità cognitiva di creare schemi è considerata dai due autori una risorsa fondamentale e indispensabile alla vita sociale dell’individuo. La persona è in questa prospettiva considerata un’attiva costruttrice di convinzioni, cioè schemi cognitivi inferiti a partire da situazioni relazionali, contingenze e in generale situazioni di interazione con l’ambiente.

Guidano e Liotti sostengono che tra questi schemi uno dei più importanti sia appunto quello riferito al Sé e alla rappresentazione cosciente che ne ha l’individuo.

La costruzione della Rappresentazione del Sé si manifesta dunque in questo modello come un processo di semplificazione di una realtà complessa come il Sé attraverso la costruzione di schemi cognitivi più o meno rigidi. La psicopatologia è spiegata in questo modello a partire dal grado di rigidità di queste convinzioni su sé e gli altri, nel senso che convinzioni troppo rigide o modelli operativi interni poco flessibili porterebbero a meccanismi disfunzionali dal punto di vista emotivo e sociale.

Per il processo di costruzione del Sé, Guidano e Liotti considerano di primaria importanza le esperienze precoci dell’attaccamento, tanto da considerarle come il “paradigma integrativo dello sviluppo” (Guidano e Liotti, 1983). Le primissime interazioni con le figure di riferimento costituirebbero, infatti, la base su cui verrebbero create dal bambino le prime convinzioni rispetto a cosa aspettarsi dalle relazioni future e i primi schemi su come considerare se stesso.

Le fasi di sviluppo delineate dal modello di Guidano e Liotti rispetto alla costruzione della Rappresentazione del Sé in relazione alle esperienze di attaccamento sono quattro:

  1. La prima infanzia (0-2 anni)

In questa prima fase della vita il bambino non possiede secondo Guidano e Liotti un Sé psicologico, ma solo un sé biologico che si manifesta in comportamenti istintivi a base innata, come appunto il comportamento di attaccamento. Seppur non possedendo una rappresentazione di sé come essere dotato di individualità e caratteristiche proprie, il bambino possiede già alla nascita la capacità potenziale di costruire le conoscenze e di provare emozioni. La costruzione della Rappresentazione del Sé avviene in questa fase attraverso un processo definito da Popper “learning to be a Self”, un procedimento cioè di natura imitativa con cui il bambino impara a “essere un Sé” attraverso gli altri Sé che trova intorno a lui. A questo proposito gli autori osservano che evidenze cliniche dimostrano che i bambini cresciuti in isolamento non raggiungono una piena conoscenza di Sé. Il processo di costruzione del Sé e della Rappresentazione del Sé si configura quindi come, inizialmente, un atto di natura sociale.

Gli autori sostengono che nelle prime fasi della vita la Rappresentazione del Sé sia costruita di riflesso ai comportamenti e alle caratteristiche psicologiche dei genitori: in un certo senso il Sé si rispecchierebbe, durante l’infanzia, nelle figure primarie di attaccamento. Gli autori descrivono questa attività di rispecchiamento del Sé del bambino in quello dei genitori introducendo l’ipotesi secondo cui il bambino compirebbe un’elaborazione cognitiva dei differenti aspetti della personalità dei care-givers, riunendo in un “mosaico” i diversi frammenti della personalità degli stessi.

In questa prima fase di sviluppo Guidano e Liotti considerano fondamentale sia il processo interattivo di relazione con gli altri, sia l’attività di selezione da parte del bambino delle informazioni in entrata.

A partire poi dalla dalle interazioni di natura affettiva con i genitori, a seconda cioè di quanto i modelli operativi interni siano connotati da una coloritura affettiva positiva, il bambino si aspetterà, anche nelle relazioni future, di trovare figure d’attaccamento disponibili, percependo se stesso come degno d’amore e comprensione.

  1. La seconda infanzia (2-5 anni)

In questa fase il bambino ha già formato un’immagine stabile di sé e delle figure di riferimento. A partire dalle aspettative sviluppate nel corso della prima infanzia, il bambino partirà alla “conquista dell’ambiente”, tendendo a generalizzare ad altre figure le convinzioni e gli schemi primari di attaccamento. Guidano e Liotti inoltre manifestano particolare attenzione al processo opposto all’attaccamento, cioè al processo di distacco. Secondo gli autori in questa fase dell’infanzia il bambino, se cresciuto in modo sano, sarà particolarmente portato a distaccarsi dalle figure di attaccamento, che considererà come “basi sicure”, per esplorare l’ambiente e finalmente differenziarsi dalla madre.

  1. La fanciullezza (6-11 anni)

La maturazione cognitiva conosciuta dal bambino a partire dalla formazione scolastica, dalle prime esperienze sentimentali e delle aumentate interazioni sociali, gli permette di raggiungere un livello di maggiore articolazione dell’identità di sé. Tra i processi psicologici fondamentali utilizzati dal bambino  in questa fase di sviluppo vi sono l’imitazione e l’identificazione con i modelli.

 

  1. L’adolescenza

Secondo Guidano e Liotti questa fase coincide con un periodo cruciale della vita. Emerge infatti in questa fase una capacità metacognitiva mai raggiunta, e attraverso la riflessività l’adolescente è in grado di mettere in discussione gli schemi precostruiti, creandone di nuovi. La Rappresentazione del Sé acquisterebbe a seguito di questa fase una stabilità ulteriore e una straordinaria resistenza al cambiamento.

Gli studi di Guidano e Liotti teorizzano quindi una costruzione della Rappresentazione del Sé molto vincolata dai processi di attaccamento e dalla qualità degli stessi.

A partire da queste considerazioni è opportuno considerare la Rappresentazione del Sé come influenzata nel suo sviluppo da fattori di natura temperamentale(per esempio una particolare sensibilità ai giudizi negativi, e di conseguenza la costruzione di un’immagine di sé più fragile o negativa) e da fattori di natura maggiormente psico-sociale e relazionale (come la trasmissione di una particolare immagine stereotipata di “maschio” o “femmina”).

Inoltre, come la nascita della Memoria Autobiografica risulta influenzata da fattori relazionali legati all’utilizzo del linguaggio, così la Rappresentazione del Sé si dimostra sensibile a un utilizzo più o meno consapevole del linguaggio verbale da parte dei genitori nel comunicare con il bambino.

Questo può essere spiegato da un punto di vista cognitivo sia considerando la qualità dei giudizi dati al bambino (positivi o negativi, svalutanti o meno), sia considerando la modalità comunicativa prevalente da parte della madre. E’ stato dimostrato infatti che un tipo di comunicazione aperta e democratica basata sulla negoziazione dei significati e sulla possibilità di critica reciproca creerebbe nel bambino una predisposizione all’interazione sociale positiva e favorirebbe un’interiorizzazione più sana dei valori genitoriali (Hoffman, 1975; Maccoby & Martin, 1983), cosa che influirebbe sulla costruzione della Rappresentazione del Sé.

Questi studi inoltre hanno evidenziato che l’utilizzo da parte della madre di un tipo di linguaggio orientato alla spiegazione dei meccanismi psicologici sottesi alle interazioni sociali (un tipo di comunicazione “orientata all’altro”), porterebbe alla costruzione di una migliore teoria della mente nel bambino (ibidem).

A livello di processi cognitivi interni il linguaggio viene utilizzato secondo Vigotskij in modo regolativo, permette al bambino cioè di comunicare con se stesso nell’organizzare pensieri e ricordi: il linguaggio in questo caso avrebbe una funzione sociale anche nel caso in cui venga utilizzato nella comunicazione con il Sé (linguaggio interno). Nell’osservazione del comportamento infantile sono spesso stati riscontrati fenomeni di creazione di “compagni immaginari”, a cui è stata attribuita una funzione simile a quella del Sé come interlocutore: sarebbero entrambi meccanismi attraverso cui il bambino controlla e gestisce se stesso sperimentando le nuove tecniche relazionali apprese nell’interazione con le figure di riferimento. Questi compagni immaginari durante la crescita assolverebbero l’importante funzione di confidente privilegiato e di agente socializzatore non ansiogeno, poiché creato dal Sé.

Appare evidente che l’utilizzo del linguaggio risulta di primaria importanza nella messa in atto di questi processi cognitivi, che manifestano una tendenza del bambino alla comunicazione interna (definita appunto regolativa da Vigotskij) e alla metaconoscenza di sé.

Qui un bellissimo video illustrativo della questione:

 

 

BIBLIOGRAFIA

disponibile su richiesta scrivendo a avico.raf@gmail.com

 

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