MARISS JANSONS, BEETHOVEN, SETTIMA SINFONIA, ORCHESTRA SINFONICA DELLA RADIO BAVARESE — durata: 46,07 +++ GUIDA ALL’ASCOLTO…1/2

 

 

 

 

 

 

ORCHESTRA VIRTUALE DEL FLAMINIO

https://www.flaminioonline.it/Guide/Beethoven/Beethoven-Sinfonia7.html

 

 

 

Sinfonia n. 7 in la maggiore, op. 92

Musica: Ludwig van Beethoven (1770 – 1827)

  1. Poco sostenuto – Vivace
  2. Allegretto (la minore)
  3. Presto (fa maggiore)
  4. Allegro con brio

Organico: 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Composizione: Vienna, 13 Maggio 1812

Prima esecuzione: Vienna, Sala dell’Università, 8 Dicembre 1813

Edizione: Steiner, Vienna 1816

Dedica: conte Moritz von Fries

 

 

Guida all’ascolto 1 (nota 1)

La Settima Sinfonia nasce fra l’autunno 1811 e il giugno 1812, in comunione con l’Ottava e con le musiche di scena per “Le rovine di Atene” e “Re Stefano” di Kotzebue. La prima esecuzione pubblica fu organizzata l’8 dicembre 1813 nella sala dell’università di Vienna in una serata a beneficio dei soldati austriaci e bavaresi feriti nella battaglia di Hanau dell’ottobre precedente: il concerto comprendeva anche due Marce di Dussek e di Pleyel e, dello stesso Beethoven, la Sinfonia “a programma” La battaglia di Vittoria, scritta per celebrare la vittoria di Wellington contro i francesi: opera che, come è stato tramandato non senza una punta di delusione, sconfisse risolutamente ogni altra pagina in quanto a considerazione e accoglienze da parte del pubblico.

Non sarebbe giusto tuttavia tacciare di superficialità i viennesi che lì per lì, sotto l’urgenza dello stimolo patriottico, sembrarono preferire il lavoro occasionale all’opera immortale; per altro, già da quella prima esecuzione, il secondo movimento della Settima, il celebre Allegretto, ottenne un successo strepitoso e se ne dovette dare il bis, circostanza che poi si sarebbe ripetuta in tutte le frequenti esecuzioni dell’opera ancora vivo Beethoven.

L’aspetto estroso, ai limiti della stravaganza, fu uno degli elementi più avvertiti dal gusto del tempo: non solo un arcigno come Friedrich Wieck (il padre di Clara Schumann) percepiva nell’opera la mano di un ubriaco, ma anche un apostolo romantico come Weber individuò eccessi oltre i quali non era più lecito spingersi (più tardi però, nel 1826, doveva dirigerne un’ammirata edizione a Londra); anche la parigina “Revue Musicale”, dopo una esecuzione del 1829, in cui l’Allegretto fu regolarmente replicato, giudicava il finale «una di quelle creazioni inconcepibili che hanno potuto uscire soltanto da una mente sublime e malata». Anche l’esaltazione della Settima fatta da Wagner sarà il capovolgimento di queste censure contro la stravaganza e l’eccesso: «coscienti di noi stessi, ovunque ci inoltriamo al ritmo audace di questa danza delle sfere a misura d’uomo. Questa Sinfonia è l’apoteosi stessa della danza., è la danza, nella sua essenza più sublime». Danza quindi come sublimazione di una essenza ritmica, che percorre tutta l’opera in un graduale e costante crescendo d’intensità metrica, da una lenta messa in moto fino al massimo dell’eccitazione.

Non meno esaltante è quindi la strategia complessiva dimostrata da Beethoven nel maneggio di formule e vocaboli spinti all’incandescenza espressiva. Il Poco sostenuto introduttivo si richiama alle ultime Sinfonie di Haydn, alla K. 543 di Mozart, alle Sinfonie n. 1, 2 e 4 dello stesso Beethoven: la sua trasformazione nel Vivace, attraverso la microscopìa di una sola nota ripetuta, è una di quelle invenzioni irripetibili che non consentono altri sfruttamenti, e infatti Beethoven non scriverà più introduzioni lente in questo spirito.

Nel Vivace che se ne sprigiona la continuità ritmica è talmente costante che vengono cancellati i confini tradizionali fra temi principali e secondari; anche la consueta ripartizione di esposizione-sviluppo-ripresa diventa un punto di riferimento secondario rispetto all’unicità dello slancio vitale.

Incorniciato da due accordi degli strumenti a fiato in la minore, l’Allegretto è in forma ternaria, con uso di variazioni e scrittura fugala come nella Marcia funebre dell’Eroica: tiene il posto dell’Adagio o dell’Andante tradizionale, e trasfigura il pathos della confessione in una melanconia distaccata e come lasciata in sospensione dalla pulsazione ritmica anche qui inarrestabile (un dattilo seguito da uno spondeo), che non si interrompe nemmeno nel dolcissimo intermezzo in tonalità maggiore. Nel Presto l’accelerazione ritmica riprende il sopravvento, appena arginata da un Trio (derivato, a quanto pare, da un canto popolare di pellegrini che tuttavia assume qui scoperti caratteri marziali) intercalato due volte, come nella Quarta Sinfonia, al movimento principale; e tuttavia non c’è vero contrasto, perché il Presto si conclude ogni volta su una nota, un La, che resta tenuto e immobile per tutta la durata del Trio; accorgimento, come ha notato l’orecchio finissimo di Fedele d’Amico, «che finisce col costringerci a guardare il Trio, per così dire, dal punto di vista del Presto»; in altre parole, quel La tenuto non disperde l’energia ritmica ma la trattiene e la prepara a una nuova corsa. Il finale, Allegro con brio, il cui tema principale Beethoven aveva già usato nella trascrizione di un canto popolare irlandese, riassume e porta a conclusione tutti quegli aspetti trascinanti, bacchici, messi in luce da Wagner, ai quali nemmeno il gusto moderno, passato attraverso nuovi scatenamenti, riuscirà mai a sottrarsi.

 

GIORGIO PESTELLI

 

 

Guida all’ascolto 2 (nota 2)

Con la Settima Sinfonia in la maggiore è l’idea di armonia, di «gioia», che conquista Beethoven. Dopo gli impeti bellicosi della Quinta l’uomo pare raggiungere una nuova compiuta consapevolezza nei riguardi dell’universo, quasi una presa di coscienza nel senso di una rinnovata e ideale sintonia di fronte alle sue leggi eterne.

Terminata nel 1812, cinque anni dopo la Sesta, la Settima venne eseguita sotto la direzione del compositore all’Universitätssaal di Vienna durante un concerto benefico a vantaggio dei soldati austriaci e bavaresi feriti nella battaglia napoleonica di Hanau. Il concerto fu accolto in modo entusiastico dal pubblico e l’esecuzione fu giudicata eccellente, anche in virtù del fatto che vi avevano collaborato i maggiori strumentisti residenti a Vienna nel periodo.

Richard Wagner, colpito dall’elemento ritmico che, incessante, pervade l’intera partitura, cosi la definì: «Questa sinfonia è l’apoteosi della danza. È la dama nella sua massima essenza, l’azione del corpo tradotta in suoni per così dire ideali».

Che la danza ed il ritmo penetrino in ogni settore della composizione è del tutto vero; il ritmo ne diviene categoria generatrice: dà forma ad incisi ed idee, innerva e vivifica la melodia, trasforma plasticamente i temi. Ma anche accelera i cambi armonici, concentra o disperde i motivi tra le varie fasce timbriche, sostiene e sospinge vigorosamente le dinamiche in espansione.

Come si era verificato per la Prima, la Seconda e la Quarta Sinfonia, un’Introduzione lenta precede ed avvia l’Esposizione. Si tratta di una pagina di ampio respiro (tempo Poco sostenuto), la più estesa mai scritta da Beethoven.

All’inizio ai secchi accenti dell’orchestra i fiati oppongono il loro dolce canto, mentre gli archi disegnano un leggero e staccato moto scalare ascendente. Un’atmosfera satura, carica di attesa, accoglie l’ascoltatore ed i suoni paiono i segni premonitori di un evento. Poi lo stesso movimento di semicrome esplode d’improvviso in una fragorosa e partecipata enunciazione. Sulla sua scia sonora, che lentamente si spegne, l’oboe intona una delicata frase bucolica ed i violini la riprendono, prima che di nuovo l’orchestra prorompa, ed ancora più fragorosamente. È un clima selvaggio e aurorale, quello che magistralmente va dipingendo Beethoven, fatto di scosse decise e di curve rassicuranti, di tensioni e di distensioni.

La frase agreste torna, ma si infrange sui fortissimo orchestrali della Coda. Infine l’orchestrazione si dirada, il ritmo rallenta ed un pronunciato esitare sulla nota mi segnala la fine di ogni indugio. È l’annuncio che si aspettava, l’avvio vero e proprio della Sinfonia.

Proprio nella Coda l’accenno al principio della nota puntata corrisponde ad una anticipazione dello scalpitante primo tema. Il valore della continuità nell’unità interessa tutti i tasselli della forma-sonata che Beethoven va costruendo. Anche il secondo gruppo è derivato ritmicamente dal primo, così come pure nell’Epilogo riemerge la figura metrica del primo tema. Persino frasi, o piccole parti, paiono sintonizzarsi e rendersi compatibili con questo carattere ritmico, come avviene nell’inciso di collegamento in apertura di Sviluppo o in prossimità della Coda conclusiva.

La poetica del gioco è un altro elemento costante e ricorrente. Nella Ripresa, ad esempio, dopo che il primo motivo è tornato regolarmente, interviene una significativa variante: al culmine del crescendo c’è un repentino cedimento con fermata su corona, sospensione e risoluzione evitata; ma il tema non si è dileguato, semplicemente riappare del tutto trasformato e filtrato in una luce serena e leggiadra. Si tratta solo di un esempio dell’arte della variazione che, costantemente, affiora da queste pagine beethoveniane.

L’Allegretto è in forma di canzone ternaria. Non si è ancora dissipata la trasparente risonanza dell’accordo di la maggiore, con cui si era chiuso il tempo precedente, che i fiati precipitano su di una cupa armonia di la minore.

Il contrasto violento di colore è un invito a voltar pagina, a passare ad altro, senza il quale non sarebbe stato possibile cogliere con la stessa immediatezza il cambio di temperie emotiva. Un tema fioco e sommesso è esposto nel registro grave dagli archi. Passa ai violini secondi, mentre gli si sovrappone un tenue controcanto di viole e di violoncelli. Quando sale ai violini primi e secondi è una linea ancora triste, ma limpida e trasparente. Infine si estende al tutti compatto in un vibrante fortissimo. Da misterioso qual era, il tema è ora divenuto un solenne canto di preghiera.

La parte centrale è una parentesi tranquilla e disimpegnata. Vede i fiati dialogare serenamente in ameni scambi e giochi d’eco e lascia presto il posto alla Ripresa della prima sezione. Qui il tema iniziale si ripresenta già diversamente rispetto alla prima sezione in un sordo pizzicato ai bassi, mentre il controcanto risuona ai fiati ed i violini realizzano cesellate figure in arpeggiato. Tuttavia si presagisce che qualcosa ancora deve cambiare: l’armonia, infatti, ancorata ad un lungo pedale di tonica, si fa increspata nell’insistito ritmare al basso, cosa che induce ad un diffuso senso di inquietudine. Beethoven rivela la sua spiccata vocazione teatrale e decide di produrre tensione all’interno dei gruppi strumentali: si apre cosi uno splendido fugato sul tema iniziale (il cui controsoggetto è la variazione del controcanto) che via via viene notevolmente esteso ed amplificato.

L’irruzione del Presto rinnova il vitalismo del primo movimento. Beethoven ricorre qui ad un uso massiccio della ripetizione: può interessare incisi o singoli frammenti, così come diramarsi alle strutture portanti ed influenzare la grande forma. Già il tema di apertura, scattante e brioso, è costruito sul principio di iterazione ritmico-melodica. Ma anche il meccanismo di elaborazione tecnica che il materiale subisce poco dopo, l’imitazione, è pure una forma particolare di ripetizione, così come la riproposta del tema principale alla coppia oboe-flauto e la sua amplificazione all’intero organico. Se si estende il raggio di osservazione tale principio si allarga alle sezioni: dopo che si è aperta una tranquilla zona centrale, Assai meno presto (un delicato Trio di carattere arcadico), c’è una prima Ripresa dello Scherzo ed una del Trio stesso, però duplicate in una seconda Ripresa dello Scherzo ed ancora del Trio accorciato in funzione di Coda.

Il Finale della Settima, l’Allegro con brio fu cosi definito da Wagner: «Con una danza agreste ungherese [Beethovenj invitò al ballo la natura; chi mai potesse vederla danzare crederebbe di vedere materializzarsi di fronte ai suoi occhi un nuovo pianeta in un immenso movimento a vortice». E di festa di suoni bisognerebbe parlare già all’ascolto del primo tema, variopinta girandola sonora cui seguono la scoppiettante fanfara dei fiati ed il ritorno del tema stesso variato ed imitato. Dopo il secondo gruppo, scattante e vivace e l’Epilogo, lo Sviluppo ripresenta il primo tema in chiave scura e greve, poi lo prosegue schiarito nella limpida tonalità di do maggiore. Si fa più volte ricorso ad accorgimenti ed artifici: ancora nello Sviluppo, dopo un veloce e trafelato episodio di progressione armonica, una vistosa cadenza a fa maggiore introduce un’anticipazione del primo tema nella voce del primo flauto, ma «spostata» a si bemolle maggiore.

Ben si comprende come si tratti di una simulazione di Ripresa. Quest’ultima interviene invece «regolarmente» poco dopo con la citazione dell’intero materiale tematico contenuto nell’Esposizione, questa volta nel tono d’impianto.

 

 

MARINO MORA

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