CAROCCI, 2000
Unanimemente riconosciuto come uno dei maggiori pensatori del Novecento, Isaiah Berlin è stato anche un testimone d’eccezione del secolo appena concluso. Michael Ignatieff gli ha dedicato un’appassionata biografia, già best-seller in Gran Bretagna e in corso di traduzione in numerosi paesi, ricostruendone la vita dall’infanzia nella Russia rivoluzionaria agli anni d’insegnamento a Oxford, dall’attività diplomatica a Mosca durante la seconda guerra mondiale ai numerosi incontri con uomini politici come Kennedy, Churchill e Weizmann e con protagonisti della cultura come Einstein e Freud, Pasternak e Virginia Woolf, Wittgenstein e Picasso. Un ritratto coinvolgente in cui spiccano l’ironia e la lucida intelligenza di questo pensatore che ha coniugato come nessun altro cultura russa, anglosassone ed ebraica. «Ignatieff – ha scritto Ralf Dahrendorf – ha realizzato un libro come se ne vedono pochi, che aggiunge una nuova dimensione all’eredità di Berlin».
L’EVENTO più importante nella vita di Isaiah Berlin, secondo quanto si legge nella bella biografia scritta dal suo amico Michael Ignatieff, è stato l’incontro con Anna Achmatova, a Leningrado nel 1945. Dopo la visita, lei vergò i versi d’amore raccolti in Cinque, dove si legge: «E quella porta che tu hai aperto a metà/ non ho la forza di chiudere».
INIZIO DELLA RECENSIONE DEL LIBRO SULLA VITA DI BERLIN SULLA STAMPA, NON ACCESSO AI NON ABBONATI-
Foto: Elisabetta Baracchi
MODENA, PIAZZA GRANDE, 18 SETTEMBRE 2021
FESTIVAL DELLA FILOSOFIA
DAL PROGRAMMA DEL 18 SETTEMBRE 2021 ( Il Festival finisce domenica 19 ) ::
Michael Ignatieff, Rettore e Presidente della Central European University parlerà di filosofia politica contemporanea ragionando sui due concetti di libertà, negativa e positiva secondo il modello di Isaiah Berlin
ISAIAH BERLIN DI MARIO RICCIARDI — notizie in fondo
Poco più di cento anni fa, il 6 giugno del 1909, nasceva a Riga Isaiah Berlin. A quei tempi, la città era parte dell’impero russo. Gli stessi genitori di Isaiah erano ebrei russi, trasferitisi in Lettonia per via degli interessi del padre, che era un commerciante di legname. Ciò spiega perché – pur essendo senza dubbio il più grande filosofo lettone del XX secolo, e come tale celebrato in quella che oggi è una repubblica indipendente –Berlin abbia mantenuto per tutta la vita un legame speciale con la Russia e la sua cultura, di cui c’è una testimonianza costante nei suoi scritti. Anzi, si potrebbe dire che è grazie a lui che i nomi di autori come Herzen o Belinsky sono divenuti familiari anche ai non specialisti di letteratura russa, specie nei paesi di lingua inglese1. Che Berlin scrivesse in questa lingua piuttosto che in quella materna è un secondo tratto peculiare dell’identità di questo straordinario intellettuale, uno dei più influenti pensatori liberali del secolo scorso, testimone tra i più acuti delle vicende politiche e culturali che ne hanno segnato – nel bene e nel male – la storia.
Dopo qualche anno a Riga, la famiglia Berlin era infatti ritornata in Russia, a San Pietroburgo, ed è in quella città che Isaiah assiste ai disordini e alle violenze di quella che sarebbe diventata la lunga rivoluzione russa. L’aver visto, quando aveva solo sette anni, una folla inferocita trascinare via un ufficiale della polizia zarista, probabilmente per linciarlo, è un’esperienza che lascerà il segno nel piccolo Isaiah. Al punto che molti anni dopo, quando era ormai un professore a Oxford, ricorderà questo episodio come la prima presa di coscienza del pericolo che il fanatismo rappresenta per la libertà.
Pur essendo tendenzialmente simpatetici con le istanze liberali emerse nella prima fase della rivoluzione, i Berlin si rendono conto presto che il vento sta cambiando e che tira una brutta aria per i possidenti. Oltretutto, il fatto di essere ebrei in un paese che non è certo estraneo ai pregiudizi antisemiti spinge il padre di Isaiah a prendere una decisione che avrà una influenza decisiva sulla vita del figlio: quella di trasferirsi nel Regno Unito, che considerava non a torto un paese più stabile, che gli avrebbe consentito di continuare con maggiore tranquillità la propria attività commerciale. Così avviene che Shaia, come lo chiamavano a casa, diviene Isaiah, e intraprende il percorso che lo porterà a essere il primo Fellow ebreo di All Souls e infine il Chichele Professor di Social and Political Theory dell’Università di Oxford. Premiato per il suo indiscutibile e precoce talento da un paese che egli riconoscerà sempre come la propria patria di elezione, cui non rinuncerà nemmeno quando gli viene offerta la possibilità di trasferirsi in Israele con la prospettiva di assumere un incarico politico di prestigio. Se il cuore di Berlin è indissolubilmente legato alla Russia, e in particolare agli ebrei russi, e questo lo spinge a essere un convinto sostenitore del sionismo, la sua mente è invece plasmata dall’esperienza degli studi a Oxford, dove diviene uno degli esponenti di spicco di quella generazione di filosofi che emerge nel dopoguerra come un punto di riferimento del dibattito internazionale. Tra i suoi amici e colleghi ci sono John L. Austin, HerbertL. A. Hart, Stuart Hampshire, Geoffrey J. Warnock e Peter F. Strawson. Un ambiente eccezionalmente stimolante, nel quale Berlin si distingue sin dall’inizio non solo per il talento filosofico, ma anche per l’inusuale varietà dei suoi interessi.
A Oxford, nel 1958, egli tiene la sua lezione inaugurale come Chichele Professor, che viene pubblicata lo stesso anno. Si tratta di Two Concepts of Liberty, considerata ancora oggi un classico del liberalismo. Riprendendo la classica distinzione tra due sensi di libertà, Berlin la impiega come la chiave di volta per interpretare lo sviluppo del pensiero liberale e per ricostruirne gli esiti. Da un lato c’è la libertà negativa, che consiste nel non essere impediti nel fare qualcosa, dall’altro quella positiva, che può essere intesa sia come autocontrollo, sia come la capacità di agire in accordo con quel che richiede la ragione. In questa seconda versione, essa è tuttavia vulnerabile all’accusa di condurre a esiti che possono entrare in conflitto con la libertà negativa. Se, infatti, si adotta una concezione della ragione che pone l’accento soprattutto sulla sua dimensione collettiva e universale – come fanno gli idealisti – si può arrivare a sostenere che è appropriato costringere una persona a essere libera. Limitare la sua libertà negativa per promuovere quella positiva. In questa, che egli vede come una grave distorsione del concetto di libertà, Berlin individua una delle cause dell’emergere di tendenze totalitarie all’interno del comunismo, un movimento politico di cui non si può negare l’originale aspirazione a un modo di vita che consentisse l’emancipazione degli esseri umani dai legami imposti dalla divisione del lavoro e dalla struttura di classe della società. La libertà positiva interpretata come azione conforme ai dettami della ragione oggettiva è il fondamento della pretesa dei comunisti di essere i difensori di una concezione diversa – reale piuttosto che formale – della libertà. A tale pretesa Berlin si oppone con una determinazione straordinaria, cui probabilmente non è estranea la conoscenza diretta delle condizioni di vita nella Russia sovietica, dove nel dopoguerra si trovano ancora alcuni dei suoi parenti. Di recente, questo profilo dell’impegno intellettuale di Berlin ha spinto alcuni studiosi a sostenere che a lui si addica, come a Karl Popper e a Raymond Aron, la qualifica di«Cold War Liberal». In effetti, non c’è dubbio che l’opposizione al totalitarismo, in particolare quello sovietico, sia il motivo unificante della riflessione matura di Berlin che trova la propria espressione nella lezione inaugurale sui due concetti di libertà e nei diversi cicli di lezioni che la preparano negli anni precedenti. In questi lavori, tra l’altro, emerge il legame tra la chiarificazione del concetto di libertà politica e la polemica nei confronti del determinismo. Al punto che si potrebbe affermare che la libertà negata dai deterministi è l’altra libertà, oltre quelle negativa e positiva, che è al centro delle preoccupazioni di Berlin. Sempre nel saggio del 1958 c’è l’altra idea per cui Berlin è oggi considerato un classico del liberalismo: il pluralismo dei valori. In quello scritto, infatti, il possibile conflitto tra due diverse interpretazioni della libertà diviene anche l’occasione per sottolineare che l’idea che sia possibile comporre tutti i valori in un insieme coerente, in modo che essi siano congiuntamente soddisfatti, è un’illusione. Immaginare una società perfetta in cui non c’è conflitto tra diverse interpretazioni della libertà, oppure tra libertà ed eguaglianza, o tra soddisfazione dei desideri di ciascuno e giustizia, è indulgere in un sogno che può facilmente trasformarsi in un incubo. Questa, per Berlin, è la ragione per cui una società decente deve necessariamente riconoscere e tutelare una sfera di libertà negativa all’interno della quale ciascuno possa perseguire i propri progetti di vita al riparo dalle interferenze altrui, anche quando queste sono giustificate richiamando il bene comune. Un ideale, questo del liberalismo pluralista di Berlin, che conserva la sua attualità anche oggi che la società liberale è minacciata anche dall’interno, in particolare da chi sostiene che la libertà negativa è un lusso che non possiamo più permetterci. L’enfasi sul determinismo potrebbe sorprendere i lettori meno familiari con l’opera di Berlin. Tuttavia, non c’è ragione di stupirsi. Anche se oggi egli è noto al grande pubblico soprattutto come pensatore politico e storico delle idee, la produzione intellettuale di Berlin non si limita affatto a questi due ambiti di ricerca. Spesso si dimentica che lo studioso britannico di origine lettone ha scritto anche lavori importanti di filosofia della storia. In questi scritti, Berlin insiste sempre sul legame – di carattere psicologico piuttosto che logico – che c’è tra diverse forme di determinismo storico e la sottovalutazione della libertà politica. In questo saggio vorrei soffermarmi proprio su un aspetto della riflessione di Berlin. Sono convinto, infatti, che l’opposizione al determinismo sia uno dei motivi profondi del percorso intellettuale di questo autore sin dal suo esordio come giovane studioso nella Oxford degli anni Trenta, e che esso orienti anche i suoi lavori posteriori sulla libertà e il pluralismo dei valori. Per illustrare la mia interpretazione del ruolo dell’anti determinismo nel pensiero di Berlin, credo sia indispensabile ricostruire in breve la formazione che egli ha ricevuto, allo scopo di mostrare che il suo interesse per questo tema emerge probabilmente dalle discussioni che lo vedevano impegnato con altri filosofi della sua generazione, in particolare Austin e Alfred J. Ayer. In seguito, vorrei presentare e commentare i suoi argomenti contro il determinismo cercando di mostrare come essi gettino luce sul suo modo di intendere la filosofia e sul suo pensiero politico.
DAL TESTO :
MARIO RICCIARDI, L’ALTRA LIBERTÀ.
ISAIAH BERLIN E IL DETERMINISMO
CONTINUA MOLTO INTERESSANTE NEL LINK–
https://air.unimi.it/retrieve/handle/2434/171295/175776/L%27altra%20libert%C3%A0.pdf
MARIO RICCIARDI, OLTRE CHE PROFESSORE DI FILOSOFIA DEL DIRITTO ALL’UNIVERSITA’ STATALE DI MILANO, E’ DAL 2018 DIRETTORE DELLA RIVISTA DEL MULINO, SUCCEDENDO A MICHELE SALVATI