mercoledì 12 settembre “E’ TUTTO SEMPLICE, LO ZUCCHERO E’ BIANCO, GLI STIVALI SONO NERI” (a memoria), DICE SASA A IVANOV, come Diletta lo dice a Chiara. Direttore culturale è Mario Bardelli.

 

 

 

“Ivanov” di Anton Cechov E-mail

Gli articoli – Non solo libri
Martedì 14 Dicembre 2010 14:35
 

Fëdor Korš, il proprietario dell’omonimo teatro moscovita, gli aveva chiesto una pièce; dopo mesi di esitazioni, in ottobre Čechov si mise al lavoro e dopo pochi giorni poteva scrivere al fratello Aleksandr: «Ho scritto lapièce senza accorgermene […] mi ha portato via quindici giorni o, più esattamente, dieci giorni […] L’intreccio è complicato ma non sciocco. Termino ogni atto come sono solito fare nelle novelle; tutti gli atti si snodano dolcemente, tranquillamente, ma alla fine colpisco in faccia lo spettatore. Ho concentrato la mia energia su alcuni momenti veramente forti e memorabili; in compenso, i passaggi che uniscono tra loro le varie scene sono insignificanti, fiacchi e banali. Comunque, sono contento; anche se la pièce non fosse buona, ho creato un personaggio che ha valore letterario».

Questo personaggio è Ivanov, un proprietario terriero trentacinquenne, intelligente, colto e gentile, che finisce con l’essere invaso da una profonda malinconia: la moglie Anna, senza saperlo, è gravemente ammalata, la sua proprietà va in rovina, i debiti si accumulano. La giovane Saša, innamorata di lui, cerca di risollevarlo dall’abulia nella quale è sprofondato. Durante un violento litigio, Ivanov rivela alla moglie che ella ha una malattia mortale. Morta Anna, Ivanov accetta di sposare Saša, ma quando il medico L’vov, sfidandolo a duello, lo accusa pubblicamente di viltà e di aver provocato la morte della moglie, Ivanov si uccide.

 

Ivanov è in realtà un’anima generosa, un intellettuale che aveva creduto nella possibilità del progresso e si era interessato ai problemi degli altri, creando un’azienda modello e scuole per i contadini, ma alla fine sembra essersi reso conto che la Russia non era cambiata, l’oppressione politica e il degrado sociale erano rimaste quelle di sempre ed egli aveva gettato via inutilmente, con le sue sostanze, anche le sue illusioni: di qui la sua depressione e il senso dell’inutilità di vivere.

 

 

 

La prima del dramma non ebbe successo. Già durante le prove Čechov si era convinto che «gli attori non capiscono niente, accumulano sciocchezze su sciocchezze, hanno parti non adatte a loro», e alla rappresentazione del 19 novembre, durante il quarto atto, alcuni attori recitarono visibilmente ubriachi. Il critico de «Il foglio moscovita» definì l’opera «una sciocchezza insolentemente cinica, immorale e odiosa», quello del «Notiziario di Mosca» rimarcò i «parecchi errori dovuti all’inesperienza e all’ingenuità dell’autore».

 

Čechov si rifarà poco più di un anno dopo, il 31 gennaio 1889: l’Ivanov, presentato con qualche rimaneggiamento al teatro Aleksandrinskij di Pietroburgo, ottenne un clamoroso successo di critica e di pubblico che si mantenne inalterato nel tempo. Lo scrittore si era già recato a Pietroburgo all’indomani della caduta del suo dramma, come a sollevarsi dalla delusione nei circoli intellettuali della capitale, dove era stato accolto con ogni onore, aveva rivisto gli amici Leontev-Ščeglov e Korolenko, e conosciuto autorevoli personalità, come il vecchio poeta Pleščeev e il pittore Ilja Repin.

 

Ivanov: depressione d’autore

di Elena Siri – 5 novembre 2004

Spettacolo di particolare originalità “Ivanov” di Anton Cechov ha inaugurato con successo l’apertura della nuova stagione teatrale dello Stabile di Genova al Teatro Duse. Nell’anno del centenario della morte del grande autore russo, assistiamo alla rappresentazione di un testo datato 1887 (la prima opera cechoviana in più atti) che sembra parlare più che mai a noi uomini contemporanei. L’attualità di un tema come la depressione, infatti, ci avvicina in modo impressionante al protagonista dell’opera; il male di vivere, la malattia moderna che sembra oggi pervaderci tutti inevitabilmente, essendo nell’epoca storica del nulla, è descritta da Cechov con lucidità straordinaria.

La regia di Juri Ferrini è ormai una garanzia di qualità nel panorama teatrale italiano e il gruppo URT non delude neanche questa volta. Il personaggio di Ivanov (interpretato dallo stesso Ferrini) attraversa un percorso di dissolvimento psicologico e di nausea della vita che lo porta al suicidio come ultima soluzione di una esistenza che ha irrimediabilmente perso ogni senso.

Pur appartenendo alla Russia di fine ottocento, Ivanov è un personaggio totalmente moderno: la sua sofferenza è così credibile e contemporanea che ogni spettatore vi si può agevolmente riconoscere oggi tragicamente. Anton Cechov con il suo stile letterario “umano”, “semplice”, “quotidiano”, forma una galleria di personaggi gustosi e disgustosi insieme, e costruisce una serie di quadri intensi e realistici. Il risultato è un opera straordinariamente “universale”, “poetica”, con quel solito senso di “sospensione” del tempo insito nel teatro cechoviano.

La regia sceglie di trascurare la ricostruzione storica, l’ambientazione e l’atmosfera ottocentesca a favore della messa in scena di uno spettacolo postmoderno utilizzando anche linguaggi multimediali: la narrazione è spesso contrappuntata da proiezioni del back-stage dello spettacolo stesso e di immagini che sembrano uscire direttamente dall’inconscio dei personaggi.

L’utilizzo del video, le immagini e le musiche suggestive, la scelta di una rilettura contemporanea di questo testo fanno di “Ivanov” un percorso innovativo e suggestivo.

Spicca su tutti, in una compagine peraltro validissima, la vivida interpretazione di Federico Vanni. Un Ferrini coraggioso che ricerca attraverso il teatro i percorsi dell’intelligenza e dell’arte con tutto se stesso, mettendosi anche in gioco personalmente senza imbarazzo e senza vergogna.

Ivanov, infatti, è uno spettacolo che nasce anche come esperienza autobiografica sul peso dell’esistenza e sulla depressione che Juri Ferrini affronta da uomo, a testa alta, e con determinazione presentando al pubblico sé stesso come Ivanov e Ivanov come sé stesso. Energia, ironia, innovazione e freschezza sono gli ingredienti di uno spettacolo di gusto.

Da lodare un finale insolito con la struggente musica di Vasco Rossi che il regista propone al tradizionale pubblico dello stabile, non come una provocazione ma come un bisogno di svecchiamento e di nuove risorse estetiche.

! Elena Siri
siri@ragionpolitica.it

 

chiara: non ho nessuna idea se per caso sia questa la canzone usata in teatro.

 

http://www.youtube.com/watch?v=Nx10Tsnibxg

Lyrics to Anymore :

anymore…anymore…anymore…anymore… 

una parola che non vuol dire mai
la stessa cosa uguale
io l’hoimparata dentro gli occhi tuoi
quando finì l’amore

anymore…anymore…anymore…anymore

una parola che è tutta una canzone
la puoi cantare per ore
e risentire ancora quel sapore
“amaro dentro il cuore”

anymore…anymore…anymore…anymore

se te la senti dire non ci credi mai
“si può ricominciare”
ma la tua anima nel profondo sai
sa che cosa vuol dire

anymore…anymore…anymore…anymore

la puoi infilare dentro una canzone
la puoi cantare per ore
per risentire ancora quel sapore
“amaro dentro il cuore”

anymore…anymore…anymore…anymore

cosa possiamo noi se non “finire male”
cosa possiamo fare
se anche l’amore può finire dai
dammi da bere

…one more! …one more! …one more! …one more!

(Grazie a Georgia per questo testo)

[ These are Anymore Lyrics on http://www.lyricsmania.com/ ]

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2 risposte a mercoledì 12 settembre “E’ TUTTO SEMPLICE, LO ZUCCHERO E’ BIANCO, GLI STIVALI SONO NERI” (a memoria), DICE SASA A IVANOV, come Diletta lo dice a Chiara. Direttore culturale è Mario Bardelli.

  1. diletta luna scrive:

    “l’amore che può finire dai dammi da bere ” è un parlare troppo ermetico, per me ! Che cosa vuol dire ? L’amore che è amore non finisce proprio dentro a niente, semplicemente non finisce.

  2. D 'IMPORZANO DONATELLA scrive:

    Trovo magnifica e divertente, brillante, la contrapposizione tra il modo di pensare di Chiara e quello di Diletta Luna. Questa valle ( non dico baratro) tra le due scuole di pensiero potrebbe prestarsi ad una commedia. Do

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