24 settembre 2013 ore 08:25 IL VOLTO DEL ‘900. DA MATISSE A BACON—PALAZZO REALE DAL 25 SETTEMBRE 2013 AL 9 FEBBRAIO 2014

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24/9/2013

Il volto del ‘900. Da Matisse a Bacon

Palazzo Reale, Milano

Capolavori dal Centre Pompidou. L’esposizione e’ articolata in 7 sezioni, suddivise per assonanze sul modo di trattare la figura umana da parte dei vari artisti: I misteri dell’anima, Autoritratti, Il volto alla prova del Formalismo, Volti in sogno. Surrealismo, Caos e disordine, Dopo la fotografia, La disintegrazione del soggetto.

 

comunicato stampa

a cura di Jean-Michel Bouhours

Dal 25 settembre 2013 al 9 febbraio 2014 apre a Palazzo Reale di Milano, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana, la mostra Il volto del ’900. Da Matisse a Bacon. Capolavori del Centre Pompidou, a cura di Jean-Michel Bouhours, conservatore del Centre Pompidou di Parigi.

La mostra è promossa e prodotta dal Comune di Milano – Cultura, Palazzo Reale, MondoMostre e Skira editore in collaborazione con il Musée National d’Art Moderne – Centre Pompidou di Parigi, e presenta oltre ottanta straordinari ritratti e autoritratti, capolavori assoluti di artisti celebri come Matisse, Bonnard, Modigliani, Magritte – il cui celeberrimo Lo stupro con il volto-nudo femminile è l’immagine della rassegna – Music, Suzanne Valadon, Maurice de Vlaminck, Severini, Bacon, Delaunay, Brancusi, Julio Gonzalez, Derain, Max Ernst, Mirò, Léger, Adami, De Chirico, Picasso, Giacometti, Dubuffet, Fautrier, Baselitz, Marquet, Tamara de Lempicka, Kupka, Dufy, Masson, Max Beckmann, Juan Gris, autori di opere magistrali, spesso mai esposte in Italia, di eccezionale qualità pittorica e artistica, che entrano a pieno titolo nella rappresentazione dell’evoluzione del genere ritratto avvenuta nel corso del Novecento.

La storia della rappresentazione della figura umana dall’antico impero egiziano ad oggi è al tempo stesso lunga e complessa, e la selezione di opere provenienti dal Centre Pompidou di Parigi, esposte nel piano nobile di Palazzo Reale, racconta, attraverso una serie strepitosa di icone della pittura e scultura del XX secolo, un periodo fondamentale per l’evoluzione del concetto stesso di ritratto e autoritratto, messo in discussione e trasformato dai più celebri maestri dell’epoca, in seguito ai grandi cambiamenti della società e alle tragedie della storia umana.

“Nella nostra società, invasa dalle immagini e spesso travolta dalla loro rapida caducità, è importante, oltre che affascinante, poter riflettere sui nuovi significati che la rappresentazione della figura umana ha acquisito nel corso del Novecento – ha commentato l’assessore alla Cultura Filippo Del Corno. Il grande choc dell’avvento della fotografia, infatti, ha prodotto nel secolo scorso un nuovo modo di rappresentare il volto umano, provocando un potente fluire di originalita’ creativa nelle opere di ritratto, che sono diventate al tempo stesso più complesse e più libere, perché svincolate dalle committenze e dalle esigenze di documentazione e celebrazione. Questa mostra ci offre la straordinaria opportunità di comprendere questo percorso”.

Al contesto espositivo si unisce come sponsor il marchio Ramazzotti, icona di Milano dal 1815, attraverso un’installazione fotografica a tema “Sinfonia di una città che cambia”, sulla scia della sua ultima campagna pubblicitaria “Posso offrirti una città?”

“L’invenzione della psicoanalisi, la negazione dell’individuo operata dai totalitarismi, la distruzione dell’identità nei campi di sterminio nazisti, la diffusione della fotografia messa a servizio della burocrazia per il riconoscimento delle persone (per esempio con le foto d’identità), l’invasione dell’Io da parte di uno pseudo-immaginario collettivo creato dai media: a questo contesto sociale – scrive il curatore della mostra Jean-Michel Bouhours – occorre aggiungere il ruolo dell’arte, la spinta all’astrazione, la perdita del soggetto nell’ideale collettivo delle avanguardie: tutto sembra concorrere all’idea dell’arrivo di un mondo senza più volti.” E nonostante questo, “cresce all’epoca una sorta di frenesia a farsi fare il ritratto, come – scrive ancora Bouhours – per far entrare se stessi in una vertigine di ubiquità e di istantaneità dettate dai media contemporanei: l’immagine della propria immagine si è imposta”.

Dopo la prima rivoluzione moderna rappresentata dai ritratti umanistici di Dürer, Van Eyck o Frans Hals, dopo lo spartiacque dell’Impressionismo che pretende autonomia per il pittore, l’artista moderno pratica il ritratto andando al di là dello scopo di illustrare il modello, passando attraverso il soggetto per trovare il suo “Sé interiore” e le sue personali intenzioni artistiche. Al tempo stesso, l’artista libera se stesso dai vincoli che fino a quel periodo erano connaturati al ritratto, fissati dai committenti, che erano soliti aspettarsi non soltanto un dipinto lusinghiero ma anche di essere visti in una certa posizione sociale, grazie ad alcuni simboli attentamente codificati.

Ma vediamo la mostra in dettaglio nelle sue sette sezioni che non sono ordinate per cronologia, ma per assonanze sul modo di trattare la figura umana da parte dei vari artisti.

1. I misteri dell’anima
Questo è il titolo usato dal regista tedesco G.W. Pabst nel 1926 per uno dei primi film che presero la psicoanalisi come soggetto. Tra la teoria psicoanalitica, per cui i sogni sono visti come un percorso nel nostro inconscio, e altre scienze o pseudo-scienze, come la fisiognomica, che cercano i dati oggettivi della personalità nell’espressione o nella morfologia del volto, c’era, all’inizio del Novecento, una certa convergenza nel tentativo di leggere quella che l’Uomo considerava la parte oscura di se stesso. Due movimenti artistici, il Fauvismo e l’Espressionismo, divennero gli echi della fragile soggettività individuale: i segni sotto gli occhi delle donne di Chabaud o Kupka sembrano simbolizzare la loro oscurità, donne fatali o angeli caduti, presi come nuovi idoli di un nuovo mondo urbano ed elettrico. La malinconia di Dédie, lo sguardo precario e deforme di una pittura inflessibilmente realista, i lineamenti non definiti di Jacques Villon o André Masson enfatizzano la magica presenza del mondo interiore del modello.
La mostra parte con opere importanti che colpiscono subito e ci immergono nella nuova pittura di soggetto femminile di inizio secolo. Yvette o il vestito a quadri (1907-1908) di Auguste Elysée Chabaud, Rossetto (1908) di Frantisek Kupka, Odalisca in pantaloni rossi (1921) di Henri Matisse, La camicetta rossa (1925) di Pierre Bonnard, Ritratto di Dédie (1918) di Amedeo Modigliani sono potentissimi ritratti di donne che rimangono nella memoria, per la loro forza espressiva e una intensa valenza psicologica. Accanto, ritratti maschili anch’essi innovativi per la posizione del soggetto, l’indefinitezza dei tratti o la postura come Ritratto d’André Rouveyre (1904) di Albert Marquet, Ritratto di Fernand Fleuret (1907) di Emile Othon Friesz, Ritratto di un francese (1933) di Max Beckmann, Il dottor Robert Le Masle (1930 circa) di Suzanne Valadon.

2. Autoritratti
Leon Battista Alberti nel De Pictura pubblicato nel 1435, in cui descrive le origini della pittura, scrisse di Narciso innamorato della propria immagine. L’artista diviene lo strumento, e usa un riflesso per riprodurre la sua immagine allo specchio, tratto dopo tratto. In questa ricerca di se stessi, che prende la forma di un incontro con la propria immagine, molti artisti affrontano il tema con un ritratto introspettivo, sapendo che il Sé è indubbiamente il modello più complesso e più resistente all’analisi. Beckmann usava dire: “Il Sé è il più grande segreto del mondo; credo nel mio Sé Interiore, nella sua forma eterna e indistruttibile”. Questa difficoltà, caratteristica di una ricerca introspettiva attraverso l’auto-rappresentazione legata alla questione del “doppio”, genera per ciascuna opera un manifesto metafisico e pittorico. È il caso di Van Dongen e Pougny, entrambi all’inizio della carriera, che fanno passare attraverso l’autorappresentazione una gestualità quasi sportiva da futuro campione “pronto a battersi”.
Gli autoritratti esposti in questa sezione sono opere indimenticabili: da quello di spalle muto e incombente di Kees Van Dongen (1895) a quello ieratico e ironico di Maurice de Vlaminck (1911), da quello scomposto e futurista di Gino Severini (1912-1960) a quello “cubista” di Francis Bacon (1971), da quello cupo e severo di Robert Delaunay (1909) a quello angoscioso di Zoran Music (1988), emerge fortemente la ricerca degli artisti di scardinare il consueto ritratto per portare alla luce qualcosa di pregnante della propria differente personalità.

3. Il volto alla prova del Formalismo
Un nuovo uomo? Un superuomo nietzschiano? Isolare il volto dal resto del corpo, semplificare la morfologia umana per una forma con nessun tratto morfologico, allontana l’atto di scolpire l’immagine dall’involucro esterno del modello. È un’affermazione di anti-mimica che si manifesta, in Brancusi, da un concetto platonico di scultura come una Idea. Per i cubisti, è stato spesso evocato il riferimento al primitivismo della maschera rituale o a espressioni antiche del volto, e i loro dipinti hanno spesso causato il disgusto del pubblico che vedeva in essi un oltraggio all’essenza profonda dell’essere umano, o persino li considerava blasfemi verso la parte umana che Dio ha creato a sua immagine. La somiglianza, concetto per secoli connaturato al ritratto, viene definitivamente rifiutata. In ogni caso, anche se siamo lontani dall’esercizio di copiare tratto dopo tratto, il processo di analisi e sintesi della fisionomia del modello da parte dell’artista, non solo permette di produrre nuovi canoni di bellezza della plasticità umana, ma consente anche una espressività che talvolta tradisce una parte della personalità del modello.
Qui sfilano teste-scultura di particolare bellezza, dove il volto umano emerge da forme decisamente insolite, ma di grande impatto visivo come Testa (1915) di Jacques Lipchitz, Testa appuntita (1930 circa) di Julio Gonzalez, le due Maschera (dopo il 1939) di André Derain, la scultura in bronzo Jeannette IV (1911) di Henri Matisse, la splendida Musa addormentata (1910) di Constantin Brancusi, Testa e Testa di donna (1914 e 1922) di Joseph Csáky, la terracotta Testa femminile (1920) di Henri Laurens. E ancora, pitture dove la figura umana è scomposta, duplicata, smontata, come nel Ritratto di Madame Heim (1926-1927) di Robert Delaunay, Contadino con ombrello (1914) di Alberto Magnelli, Thorwaldsen (1980-1981) di Valerio Adami, Donne in un interno (1922) di Fernand Léger, Il nastro blu (1910) di Frantisek Kupka, Il cappello a fiori (1940) di Pablo Picasso.

4. Volti in sogno. Surrealismo
Secondo André Breton, il surreale permetteva di svelare il “vero volto della vita”.
C’è nei surrealisti una predilezione per i volti dei dementi o dei criminali: il volto di Germaine Berton troneggiava al centro della galassia surrealista nel primo numero della rivista “La Revolution surrealiste”. Questa fascinazione arriva sino agli sguardi allucinati – quello di Antonin Artaud sarà senza alcun dubbio il più luminoso – ma anche per i volti in stato di estasi (Salvator Dalì, Le phénomène de l’exstase). I volti sono quelli di stati d’animo secondari. I surrealisti sono ugualmente affascinati dall’angoscia del potere pietrificante della Medusa, dallo sguardo seduttivo delle donne fatali, da quello di Nadja descritto da Breton nel romanzo eponimo a quello di Gala riprodotto nel frontespizio del libro La Femme visible. La questione del volto nella pittura surrealista è legata a quella del desiderio e dei fantasmi che questo desiderio è capace di produrre. I volti sono erotizzati e feticizzati. Dalì e Magritte riproducono il fenomeno del transfer nel lavoro del sogno analizzato da Freud, sostituendo un sesso a una bocca (Dalì) o il viso intero a un corpo nudo. Mirò e Ernst rappresentano delle teste alla Ubu. In Mirò, l’essre mostruoso è il luogo di uno scateanamento della libido dove si mescolano eros e thanatos. Nel 1935, la questione del volto fu argomento di disaccordo tra Breton e lo scultore Giacometti. Il ritorno al volto era sentito come un tradimento tanto che Breton esclamò con incomprensione e disprezzo a proposito dei lavori recenti dello scultore: “Una testa? Sappiamo bene che cosa sia una testa!”.
In questa sezione troviamo opere capitali dove l’interpretazione del volto prende le forme più ardite come nel dipinto immagine della mostra Lo stupro (1945) di Magritte, di cui è esposto anche l’enigmatico Ritratto di Georgette con bilboquet (1926), nelle due sculture di Mirò Testa maschile (1935) e Personaggio (1970), nel bronzo L’imbecille (1961) di Max Ernst, nel Ritratto di Roland Tual (1921-1922) di André Masson.

5. Caos e disordine, o l’impossibile permanenza dell’essere
I lavori di questa sezione condividono una pazza gioia per l’imperfezione, l’esatto opposto degli standard di bellezza perfetta ereditati dal classicismo dell’Antica Grecia.
Sia Bacon che Giacometti producono figure sempre sul punto di rompersi, fatiscenti o destrutturate. “Collasso dell’essere”, scriverà Jean Clair a proposito di Boeckl, fracasso del sé interiore in Artaud, visione della morte che si invita in permanenza ma a volte più di altri, nell’arte del ritratto. Nell’impressionante ritratto di Isaku Yanaihara di Giacometti, la miniaturizzazione della testa, che pare essere collocata sullo sfondo dell’intero corpo, trasmette l’intero potere e autorevolezza del modello: “Un piccolo ammasso di vita, pesante come un sassolino, pieno come un uovo”, scriverà lo scrittore Jean Genet. La faccia universalmente umana di Giacometti è anche l’espressione della battaglia senza senso della vita. La moltitudine di linee in Dubuffet, eseguite come uno scarabocchio automatico che si fa telefonando, mostra un’agitazione di esseri non più individualizzati.
Ed ecco infatti le figure rarefatte e scomposte, sintesi purissime della figura umana, Diego (1954) e Isaku Yanaihara (1956) di Alberto Giacometti, Il guardiano (1972) di Jean Dubuffet, Donna con cappello (1935) e Ritratto di donna (1938) di Pablo Picasso, Ralf III (1965) di Georg Baselitz, Ritratto di Michel Leiris (1976) di Francis Bacon, tutti capolavori dove gli artisti portano alle estreme conseguenze il dissolversi della figura umana, al tempo stesso infondendovi la drammaticità e la finitezza del vivere.

6. Dopo la fotografia
In contrasto con il progressivo sviluppo del ritratto accademico attraverso lunghe sedute, alla metà dell’Ottocento la fotografia offrì il miracolo, ma forse anche la dittatura, dello scatto istantaneo. Fare un ritratto significa ora rivelare il soggetto in un istante, dando una garanzia di naturalezza e obiettività. Mentre la fotografia ha imitato e riprodotto le convenzioni della pittura, specialmente nel campo del ritratto, la pittura ha seguito un sentiero identico ma simmetrico, adottando il principio di posa con scatti istantanei e improvvisati (Cassandre, Baltus), con prospettive abbassate o sommerse (Beckmann, Derain), affermando nello stesso tempo le qualità del dipingere, sia nei materiali che nel soggetto (Marquet o Derain). La pittura del XX secolo ha superato la fotografia e rifiutato il principio di obiettività a favore dell’affermazione di una situazione pittorica. Infine, la pop art e la figurazione narrativa hanno abbandonato il principio del modello per la sua riproduzione fotografica, inabissando la rappresentazione.
Questa sezione della mostra è un eccezionale colpo d’occhio su alcune opere di grande perizia formale, dove gli artisti fanno a gara nel far emergere la personalità del soggetto. Tra i più importanti dipinti ricordiamo: Ritratto di Erik Satie (1892-1893) di Suzanne Valadon, Kizette al balcone (1927) di Tamara de Lempicka, Ritratto di Francisco Iturrino (1914) di André Derain, Ritratto di Madame V.d.K. (1962) di Martial Raysse, sino ai più recenti Stravinsky (1974) di Erro, e Arne (1999-2000) di Chuck Close.
Qui si fanno anche vere scoperte, dipinti di autori meno conosciuti, ma di una fortissima potenza espressiva, quali: Ritratto di Chaliapine (1921-1922) di Boris Grigorieff, Ritratto di Maurice Ravel (1902) di Henri Manguin, Ritratto di Guynemer (1922) di Roger de La Fresnaye, Ritratto della baronessa Gourgaud in mantiglia nera (1923) di Marie Laurencin, Ritratto di Pierre Reverdy (1943) di Cassandre.

7. La disintegrazione del soggetto
Gli anni Sessanta, dove domina l’arte minimale, sono marcati da un riflusso del principio della soggettività in arte, mentre al contrario i mass media (cinema, televisione, video, fotografia) intensificano il principio inerente al ritratto, con una messa in scena. Il Sé sparisce a beneficio dell’icona, dell’immagine. I film di Kurt Kren e Paul Sharits hanno in comune l’interesse per questa questione di un secondo grado della rappresentazione. Kren ritorna sulla fisiognomica e altre scienze dei volti con il testo del professor Léopold Szondi. Psico-patologista ungherese, Szondi aveva definito un insieme di 48 teste rimarchevoli, censite secondo le otto psico-patologie che egli aveva studiato. Kren ripruce cinematograficamente il lavoro selettivo, appropriativo della memoria vis-à-vis dei volti. In Sharits, lo stesso volto declinato serialmente da una serie di gesti molto semplici, di colori primari e di positivo/negativo, è il modo che ha trovato l’autore per rendere conto del proprio stato psicologoico, utilizzando ritmi visivi spinti alle soglie della percezione.
I due film di Kren e Sharits chiudono il percorso della mostra con immagini inquietanti che restano impresse nella memoria.

Una carrellata di volti, figure, posture di un’intensità straordinaria, attraverso la quale la mostra raggiunge quindi lo scopo di raccontare l’evoluzione del genere ritratto nel XX secolo, con capolavori assoluti di grandi maestri e opere di grandissimo livello di artisti meno noti, che è un vero piacere scoprire e apprezzare.

Il catalogo dell’esposizione, edito da Skira, contiene il saggio del curatore Jean-Michel Bouhours e un testo di Flaminio Gualdoni sul Novecento e le ragioni del ritratto.

Ufficio stampa:
Lucia Crespi – Ufficio Stampa Skira Tel: 02 89415532 Fax: 02 89410051 lucia@luciacrespi.it
Antonella Fiori – mondomostre Tel: 06 6893806 Fax: 06 68808671 ufficiostampa@mondomostre.it

Inaugurazione martedì 24 settembre ore 19

Palazzo Reale
piazza Duomo, 12 – Milano
Lunedì 14.30-19.30 Martedì-domenica 9.30-19.30Giovedì e sabato 9.30-22.30
Intero 11 euro, ridotto 9.50

 

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