22 DICEMBRE 2013 ORE 09:03 SAPRETE: NEL CIE DI ROMA UNA PROTESTA TERRIBILE DI OTTO IMMIGRATI ALLA TOTALE DISPERAZIONE E RABBIA DI ESSERE TRATTANUTI LI’ SENZA MOTIVO—NELL’ARTICOLI ALCUNE INFORMAZIONI SUI CIE CHE NON SI SANNO SEMPRE

 

CONTESTANO IL PROTRARSI DELLA PERMANENZA COATTA NELLA STRUTTURA

Choc nel Cie di Roma, otto immigrati
si cuciono la bocca per protesta

 

 

 

 

 

 


Azione autolesionista nel centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria: detenuti magrebini si feriscono. Il sindaco Marino: «Riaprire il dibattito sulla legge Bossi-Fini»

 

Una recente protesta al Cie di Ponte Galeria (Proto)Una recente protesta al Cie di Ponte Galeria (Proto)

 

ROMA – Protesta choc al Centro d’identificazione ed espulsione (Cie) per immigrati di Ponte Galeria, nella periferia della Capitale: in mattinata quattro magrebini ospiti della struttura – tutti di orgine tunisina e di diversa età, tra i 20 e i 40anni – si erano cuciti la bocca per protestare contro il protrarsi della permanenza coatta nel centro – in particolare contro la lunga detenzione (fino a 18 mesi) prevista dalla legge Bossi-Fini – e contro la prospettiva di un reimpatrio forzato. Alla scoperta del fatto, erano subito intervenuti i medici di servizio nel centro e gli addetti alla sicurezza: inizialmente non erano stati trovati gli strumenti con cui i 4 si sono feriti, poi si è capito che avevano modellato la parte metallica di un accendino per fare l’ago, e aveva usato il filo preso da una coperta di fortuna. Nel pomeriggio, poi, i feriti sono saliti a otto altri quattro immigrati marocchini hanno emulato i 4 tunisini e si è anche lui cucito la bocca. Secondo il Garante del detenuti del Lazio, gli otto sono assistiti nel Cie e non è stato necessario il trasporto in ospedale.

L’ingresso del Cie di Roma (foto Jpeg) L’ingresso del Cie di Roma (foto Jpeg)CELLE DI SICUREZZA – Gli otto immigrati si trovavano tutti da circa un mese nel Centro di Ponte Galeria, struttura a due passi dall’autostrada che collega la Capitale con Fiumicino,che contiene al momento circa 100 ospiti. L’area più affollata è quella maschile, dove ci sono circa 70 persone. «La loro protesta ci impone con forza di riaprire il dibattito nazionale su questi luoghi disumani e su una legge, la Bossi-Fini, che equipara a criminali chi fugge da guerre, violenze e povertà – dice con forza il sindaco della Capitale, Ignazio Marino -. Non possiamo, e non vogliamo abituarci alle tragedie. Dobbiamo, al contrario, impegnarci tutti contro l’indifferenza».

LA GUERRIGLIA DI FEBBRAIO – Si tratta dello stesso Cie dove nei mesi scorsi si erano susseguite rivolte e proteste per la nuova direttiva del Viminale sui Centri di identificazione: una direttiva che prevede di ridurre la permanenza nei centri, ma stabilisce anche nuove norme di sicurezza e la creazione di celle di detenzione. Nel febbraio 2013, in seguito alla violenta protesta di un nigeriano che rifiutava l’esecuzione del decreto di espulsione , nel Cie era esplosa la guerriglia: incendi di materassi e vestiti e barricate; dopo gli scontri erano stati eseguiti otto fermi.

QUASI 8 MILA IN TRANSITO – In Italia esistono sei Cie : fino a due anni fa erano 13, ma poi hanno chiuso prima quello di Brindisi (a giugno 2012), quindi Trapani Vulpitta (agosto 2012), seguito da Lamezia Terme (ottobre 2012), Bologna (marzo 2013), poi Crotone e Modena (agosto 2013) e un mese fa quello di Gradisca d’Isonzo. Restano in funzione i centri di identificazione ed espulsione di Bari, Caltanissetta, Milano, Roma, Torino e Trapani Milo. Secondo il rapporto «Arcipelago Cie», pubblicato nel maggio 2013 da Medici per i diritti umani (Medu), nel 2012 nei Cie sono transitate complessivamente 7.944 persone: di queste esattamente la metà (il 50,5%) sono state rimpatriate; 1.049 sono fuggite e 415 sono state dimesse per scadenza dei termini.

5 SU 100 RESTANO 18 MESI – Solo il 5% del totale degli ospiti Cie resta nei centri per 18 mesi (termine massimo, cumulativo in caso di trattenimento successivo in diverse strutture), perché c’è un problema di efficienza: «Il Cie è una macchina che deve girare, c’è un problema di turnover. Difficilmente se la polizia non riesce a identificare una persona in cinque o sei mesi, può farlo prendendosi del tempo in più – spiega Guido Savio, referente della campagna «LasciateCIEntrare» -. Perciò la fanno uscire liberando un posto per qualcun altro, il cui consolato magari collabori di più. In questo modo cercano di aumentare le percentuali di espulsione».

21 dicembre 2013 

 

Redazione Online Roma e Valeria Costantini

 

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