ore 09:23 VI PROPONIAMO PER ORA “L’INTRODUZIONE” DEL LIBRO DI SANDRO CATANI: GERONTOCRAZIA–IL SISTEMA ECONOMICO CHE PARALIZZA L’ITALIA.”

la solita musichina magari aiuta a leggere…ciao, vado alla bici, chiara  ah, dimenticavo, troverete qualche errore, ma non vi sto a spiegare… 

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Catani Sandro
Gerontocrazia
Il sistema economico che paralizza l’Italia

 

Saggi

180 pagine

 

€ 14.90

 

CHI E’ SANDRO CATANI?

CE LO RACCONTA LUI STESSO NEL  SUO BLOG  OSPITATO DA IL FATTO

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Sandro Catani
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Sandro Catani

Consulente e saggista

Biografia

Sono cagliaritano, ho 67 anni, una moglie, una figlia, tre nipotini, molti olivi.

Ho trascorso tre anni nella faculty della Scuola Enrico Mattei dell’ENI e sono stato responsabile del Servizio cultura istruzione e formazione di Assolombarda. Ho avuto la responsabilità di società di consulenza internazionali leader nel campo delle risorse umane.

Negli ultimi 10 anni mi sono dedicato alla remunerazione degli executive e al Governo d’Impresa: lavoro con i comitati di remunerazione delle società quotate e con la proprietà di imprese famigliari.

Sono stato professore a contratto di Organizzazione Aziendale all’Università di Ferrara e presidente dell’Associazione Italiana Formatori. Sono associato a Nedcommunity, l’associazione dei Consiglieri di Amministrazione Indipendenti.

Ho pubblicato Risorse Umane, prospettive anni 2000 con Franco Angeli, Manager Superstar – Merito, giusto compenso e disuguaglianza sociale, Garzanti. Scrivo su quotidiani e testate specializzate. È nelle librerie il mio saggio Gerontocrazia, il sistema economico che paralizza l’Italia, Garzanti

Post

 

INTRODUZIONE

«I problemi non possono essere risolti nello stesso contesto in cui sono nati».

Albert Einstein

mb

 

 

 

400 persone influenzano l’economia italiana: 1’80 per cento dell’occupazione; il 95 per cento della Borsa di Milano; il modesto valore annuo degli investimenti privati in Ricerca e Sviluppo, lo 0,7 per cento sul PIL; la quasi totalità dei giornali e delle televisioni. Sono imprenditori, manager, banchieri, professori, consulenti, avvocati, sindacalisti, regolatori del mercato. Sono anziani: la loro età media è superiore ai 66 anni. L’élite economica continua a invecchiare mentre la XVII legislatura del parlamento eletto nel 2013 ha ringiovanito la politica: l’età media dei deputati è 45 anni (nove anni in meno della precedente legislatura), quella dei senatori 54 (quattro anni in meno). Sono maschi: mentre la percentuale di donne elette in parlamento è salita al 31 per cento, un dato storico, il 98 per cento dell’élite economica è di sesso maschile nonostante i primi effetti positivi della legge sulle quote rosa.

I loro guadagni continuano a essere elevati mentre la gran parte degli italiani si impoverisce. Nel triennio 20102012, il vertice delle trentacinque maggiori aziende quotate italiane ha percepito una media di 2,4 milioni di euro annui. In quelle aziende, nel 50 per cento dei casi, per ogni euro pagato ai manager gli azionisti hanno perso da un minimo di 43 a un massimo di 2715 euro. I cento executivespiù pagati della Borsa di Milano hanno ricevuto un totale di 402 milioni di euro con un incremento di 50 milioni rispetto al 2011.

Nei dibattiti pubblici, esponenti di questa élite sostengono che il posto fisso è un valore negativo: tuttavia molti amministratori delegati godono di un contratto da dirigente a tempo indeterminato, mentre l’assunzione dei giovani prevede incerti percorsi a ostacoli basati su contratti flessibili anche nel caso di laureati con curricula brillanti. Per fortuna le eccezioni non mancano, e la vitalità del paese è illustrata da un lungo elenco di nuove star oltre al mito Ferrero e al fenomeno ormai consolidato della Luxottica: la Prysmian, unico esempio di azienda ad azionariato diffuso, guidata da Valerio Battista, 57 anni; la Moncler, il cui leader è Remo Ruffìni, 47 anni, raro esempio di acquisizione italiana di un’impresa francese; lo Spumante Ferrari, un’eccellenza italiana studiata persino ad Harvard e guidata da un esponente della terza generazione, Matteo Lunelli, 40 anni; la Salini Impregilo, con l’artefice della integrazione Pietro Salini, 56 anni, il nuovo campione nazionale delle opere pubbliche.

E una serie numerosa di aziende piccole e medie in molti settori. L’ENI viene valutata a livello internazionale come un’azienda eccellente e guida la nostra sparuta pattuglia nella Fortune Global 500, la classifica delle più grandi aziende mondiali. Ma nonostante queste indubbie eccellenze il panorama complessivo resta imbarazzante, e soprattutto immobile.

Il gruppo dei 400 occupa in modo stabile le poltrone del potere economico italiano: le principali banche e assicurazioni, le imprese a maggiore capitalizzazione nella Borsa di Milano, le grandi aziende a proprietà famigliare, le istituzioni regolatrici del mercato, le rnunicipalizzare, i vertici del sistema cooperativo e delle confederazioni sindacali, gli studi legali e le società di consulenza più influenti, le università più prestigiose. Molti ricoprono la carica nella stessa organizzazione da quindici-venti anni, e hanno rapporti di consuetudine se non di amicizia. I curricula personali raccolgono un lungo elenco di incarichi passati e presenti, in taluni casi stupefacente per eterogeneità. I più influenti sono nati negli anni Venti e Trenta, quando l’Italia aveva ancora una vocazione agricola. La seconda generazione è entrata nella stanza dei bottoni, negli anni Settanta. Pochi appartengono alla generazione X nata dopo il 1965. La generazione Y, i figli del digitale, non ha rappresentanza, eccetto qualche giovane erede che siede nel consiglio d’amministrazione dell’azienda di famiglia.

E facile ipotizzare che il declino italiano derivi anche dalla persistenza di un gruppo dirigente economico con scarsi ricambi, caratterizzato da una visione miope del futuro.

Eppure le voci prevalenti sui media e nelle sedi accademiche addebitano la responsabilità dei .nostri mali alle altre élite, da quella politica a quella burocratico-amministrativa: pochi ricordano che alloro fianco siedono i potenti dell’economia. La Corporate Italia, come chiamo la comunità degli affari del nostro paese, specchio della società che dovrebbe guidare, sembra aver perso l’energia dell’intraprendere: vende le attività, le aziende e i marchi costruiti con fatìca, e si ritira a fare l’immobiliarista o a occuparsi di finanza. E già accaduto a Venezia nel corso del XVI secolo: i patrizi veneziani, sazi di guadagni e forse stanchi di rischiare, si «rifugiarono» sulla terraferma e lì concentrarono il centro degli interessi. Si era verificato un cambiamento epocale: lo spostamento dei traffici dal Mediterraneo all’Atlantico, una svolta di portata pari a quanto sta accadendo oggi. Mentre però i maggiorenti veneziani, con un ultimo gesto di innovazione, hanno lasciato alle generazioni successive le ville palladiane, i nostri, salvo poche eccezioni, non sentono l’interesse di contribuire alla difesa di Pompei, della Certosa di Pavia, di Villa Raffo a Palermo, di Villa Giustiniani-Odescalchi a Bassano Romano, per citare alcuni dei nostri palazzi e siti artistici che cadono letteralmente a pezzi.

Questo libro cerca di svelare il funzionamento della comunità degli affari, illuminando i suoi meccanismi di nomina, le remunerazioni, il tempo lungo degli incarichi. Sono infatti convinto, e mi sembra di essere in buona compagnia, che il bandolo dei nostri problemi risieda in un blocco generazionale. Questo è il cuore della riflessione. Non si tratta di un’infatuazione per la giovinezza, né di accentuare la contrapposizione tra giovani e anziani.

Oggi la Corporate Italia appare saldamente in mano alla generazione nata negli anni Venti e Trenta (Generazione dei Fondatori) e in misura inferiore a quella post-seconda guerra mondiale (Generazione Baby Boom); con una scarsa rappresentanza o totale assenza dalla scena delle generazioni più giovani. Ed esistono numerose evidenze che i 400 siano il campione dell’universo economico più ampio formato da attori con caratteristiche generazionali analoghe.

Le generazioni costituiscono una categoria ideale per leggere i fenomeni sociali: esse esprimono infatti i tratti di identità collettiva delle persone che, nate in un comune arco temporale (circa venticinque anni), hanno vissuto gli stessi eventi storici e manifestano un sentimento di appartenenza grazie alle loro relazioni. Dobbiamo tuttavia aggiungere per evitare confusione che conservatore e progressista non corrispondono necessariamente ad anziano e giovane. «Si deve mettere il rilievo che “il poter ricominciare” [di generazione in generazione] non ha nulla a che fare con “conservatore” o “progressista”. Non vi è nulla di più inesatto del pensare [ … ] che la giovinezza sia progressista e la vecchiaia ipso facto conservatrice», spiega Karl Mannheim in Le generazioni.

È importante chiarire, in secondo luogo, che le persone citate o di cui traccerò brevi ritratti offrono una migliore comprensione delle tesi, ma sono irrilevanti nella loro individualità: questo libro ha l’ambizione di descrivere un sistema. I singoli membri possono entrare e uscire di scena (come è accaduto e accade) senza modificare i comportamenti collettivi tipici. Da parte mia, per la professione che svolgo da molti anni, ho potuto riflettere sulle regole non scritte di questo mondo e sulla sua cultura contraddittoria: individualista e al con tempo capace di pensare al collettivo, generosa e sparagnina, fatta di piccoli passi prudenti e di squarci di visione sul futuro. Alcuni dei protagonisti di cui si parla li ho conosciuti personalmente, altri li ho appena incontrati nei convegni o in situazioni sociali, della maggior parte ho letto o ho sentito parlare attraverso comuni relazioni. Ho utilizzato la copiosa mole di informazioni resa disponibile dai siti aziendali, dai curricula dei personaggi, e i riflessi della loro partecipazione a eventi o interviste ai mass media. Come diremo più avanti la Corporate Italia è infatti diventata pubblica e si è offerta ai riflettori in cambio di visibilità: biografie e comportamenti sono ormai sotto gli occhi degli investitori e della gente comune, i suoi protagonisti compaiono in televisione e sui media tradizionali e si .affacciano  su Twitter o su Facebook. Molti di loro onorano I la generazione che ha contribuito allo sviluppo del paese. Ora potrebbero con generosità creare le condizioni di una successione. Credo peraltro che estendere lo slogan popolare della rottamazione al contesto economico sarebbe poco salutare; è cruciale, al contrario, favorire una conciliazione Ira le generazioni. È insomma il momento di mettere insieme le competenze e non di disperderle, per offrire a coloro che lo desiderano e lo meritano un ruolo adatto alla propria stagione di vita. Se una persona ricca di esperienza aiuterà una più giovane animata da energia positiva verso il futuro, riuscirà a passare il testimone tracciando un percorso ideale. Certo se questo non accadrà il conflitto tra le generazioni assumerà intensità e forme preoccupanti.

Infine, vorrei esplicitare le motivazioni che mi hanno indotto a scrivere questo libro: l’amore per il nostro Paese la passione per il benessere delle persone che lavorano, (e confesso la principale – il sentimento di frustrazione per la rassegnazione con cui guardiamo al nostro presente e per I la caduta di fiducia nel futuro. Ci siamo abituati a un lento procedere verso il basso, in un territorio grigio dove a furia di sostenere che l’economia è separata dall’etica, non si ravvisa più ciò che è bene. Ringrazio gli esperti e gli autorevoli esponenti della Corporate Italia con cui ho avuto la fortuna di ragionare sul tema. Trovo opportuno non citarne i nomi, per mantenere la responsabilità personale di queste conclusioni. Mi auguro che accettino comunque la mia, riconoscenza, sia coloro che mi hanno confortato sia coloro che hanno manifestato sorpresa e dissenso nello scoprire le tre ipotesi di fondo del libro: il declino del paese, la responsabilità dell’élite economica, il potere degli anziani. Ogni conversazione ha aggiunto spunti preziosi per capire un fenomeno complicato e difficile da esplorare. A maggior ragione per chi come me nutre simpatia verso la comunità che indaga a causa della professione che svolgo e dell’età che ho. Ne ho tratto la conclusione che sull’opportunità di chiamare la crisi con il suo vero nome di declino siamo d’accordo in molti, così come in molti pensiamo che un intervento di salvataggio richieda attori, terapie e impegno diversi. U ricambio generazionale e culturale è l’atto di discontinuità capace di mobilitare e indirizzare le energie verso nuove mete. La politica ha iniziato a farlo, in modo talvolta ingenuo e dopo un lungo dibattito. Le imprese e coloro che vi lavorano intorno non possono rimanere intrappolati in un rituale di lamenti, manifesti, richieste. I buoni esempi non mancano: chi ha preso l’iniziativa ha trovato opportunità sorprendenti nel mondo, sull’esempio della generazione passata che si espandeva all’estero con minori mezzi e più modeste competenze.

Salvatore Bragantini, classe 1943, già commissario CONSOB e autorevole analista del mondo delle imprese, scrive sul «Corriere della Sera». il 13 giugno 2013: «Tutti scrutiamo i movimenti dei frusti tendaggi del salotto buono, come fossero foglie di tè in cui leggere il nostro futuro. Per fortuna esso è piuttosto affidato alle medie imprese esportatrici, ignorate dallo star system; dovremmo occuparcene di più, a meno che non sia proprio questa disattenzione la loro, e nostra, fortuna».

Se pensiamo di rimanere chiusi nei nostri confini, sperando di difendere i vecchi sussidi o le vecchie produzioni non troveremo salvezza. L’innovazione, l’investimento, il coraggio, l’apertura al mondò sono le doti che hanno sempre premiato, e oggi più che mai sono necessarie. Forse sono competenze possedute in misura maggiore da persone che oggi non occupano ancora la scena.

 

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2 risposte a ore 09:23 VI PROPONIAMO PER ORA “L’INTRODUZIONE” DEL LIBRO DI SANDRO CATANI: GERONTOCRAZIA–IL SISTEMA ECONOMICO CHE PARALIZZA L’ITALIA.”

  1. Donatella D'Imporzano scrive:

    Sembra molto interessante ed anche obiettivo, distante dalle solite semplificazioni, almeno per un’ignorante come me.

  2. Donatella D'Imporzano scrive:

    Che bella la foto o pittura di MB. Veramente bella!

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