ore 23:02 ++++ ———- PIERO INGNAZI / L’ANALISI—” CHE COSA VUOL DIRE PARTITO-NAZIONE”—REP. DI OGGI—DALLA PRIMA PAGINA // al fondo qualcosa sull’autore

Fabrizio Barca - Piero Ignazi - Il triangolo rotto: partiti, società e stato

10 euro—sett. 2013

 

 

Prima
L’ANALISI
Che cosa vuol dire partito-nazione
PIERO IGNAZI

PER ora il segretario Renzi non rottama il partito. Anzi. Demitizzando le primarie a strumento tra i tanti per scegliere candidati e dirigenti il segretario re-introduce un elemento cardine di qualsiasi organizzazione politica che si voglia stabile: il ruolo centrale della classe dirigente. Ora che Matteo Renzi e la sua corrente (del resto, che cosa è la Leopolda se non una classica riunione di corrente, per quanto smart e cool nella forma) sono alla barra del timone si rendono conto che più un partito è “liquido”, più è contendibile.

PERCHÉ oggi non ci sono competitor al segretario, ma se domani le cose dovessero andare male tutto può succedere. Come ricordava domenica Eugenio Scalfari, nessuno è insostituibile: non per nulla, anche dopo De Gaulle non ci fu il paventato diluvio. Quindi, seguendo il motto degli antichi romani, meglio essere pronti ad ogni evenienza. E se si dispone di una organizzazione, ramificata, efficiente e coesa, i momenti critici si attraversano indenni. Ricordino i dirigenti Pd che intonano ossessivamente il mantra salvifico e beneaugurante del risultato elettorale delle elezioni europee di giugno che, in ogni paese e per tutte le elezioni per il parlamento di Strasburgo, la relazione tra voto europeo e nazionale è assai labile… Del resto, cosa rimase del primato conquistato dal Pci alle europee nel 1984? Nulla. Per questo, ritornare ai fondamentali organizzativi di ogni grande partito europeo è cosa saggia e prudente. Poi, lo spazio per le innovazioni è enorme, tanto che, in Europa, le formazioni politiche più importanti studiano e sperimentano nuove forme di partecipazione interna, di trasmissione delle domande dal basso all’alto, di coinvolgimento dei cittadini, di responsabilizzazione e gratificazione dei dirigenti locali, e così via. Anche il Pd deve rinnovarsi e ripensarsi abbandonando alcune velleità inserite al momento della sua fondazione, e affrontando soprattutto il problema del buon uso della rete (quello cattivo lo fa già Beppe Grillo).
Il segretario ha rimandato la discussione su questo punto ad un momento di maggiore approfondimento. Segno che il tema merita riflessione. Ma alcune indicazioni sono già emerse anche perché ogni partito si struttura in rapporto agli obiettivi che si propone. Il Pd, oggi, ama definirsi “partito della nazione”, sul modello britannico: un partito che rappresenta interessi e valori trasversali al punto da ambire, potenzialmente, alla maggioranza assoluta dei consensi. In effetti, il vuoto politico che attualmente circonda i democratici consente lo- ro di porsi obiettivi così ambiziosi: solo una catastrofe economica — come auspica Grillo — può cambiare radicalmente le prospettive. Un partito della nazione recluta a destra e a sinistra, attrae imprenditori e operai, laici e cattolici, dipendenti pubblici e partite Iva. Proprio come voleva fare il Berlusconi del 2001 quando incombendo da quei manifesti giganti con il suo migliore sorriso a 32 carati si rivolgeva a tutte le categorie sociali. Forza Italia non aveva problemi a porsi come un partito “pigliatutti” perché il suo moderatismo (apparente) e il suo benpensantismo condito da qualche fremito anti-establishment si riassumevano nella figura del leader. Il Pd è (ancora) refrattario a ridursi interamente ad un PdR, ad un “Partito di Renzi” secondo il brillante conio di Ilvo Diamanti. Per quanto il segretario-premier domini la scena, il partito sul territorio esiste ancora; e se i circoli languono, le feste dell’Unità resistono bene, a riprova che qualcosa nell’organizzazione politica tradizionale va cambiato.
Il “partito” per quanto un po’ ammaccato — ma non è reponsabilità di Renzi — (r) esiste ancora ed i suoi riferimenti ideali si rifanno tuttora alla tradizione della sinistra di classe e del cattolicesimo democratico. Non è emerso ancora nulla di nuovo e di trasversale, al di là di alcune provocazioni e battute. Non esiste un profilo ideologico del partito della nazione. La stessa debolezza progettuale del partito a vocazione maggioritaria veltroniano rischia di riverberarsi sul progetto renziano. Tra l’altro, le ricerche effettuate dopo le primarie del dicembre 2013 indicano una divaricazione tra iscritti, votanti alle primarie ed eletti all’Assemblea nazionale: gli iscritti sono più sinistra dei votanti che, a loro volta, sono più sinistra dei delegati.
Cosa cementa allora questa “comunità” politica, come la chiama il segretario? Su quali valori si fonda per attrarre sostegno da ogni dove? O è solo il profumo del potere che oggi seduce e domani, una volta svanito, allontana? Un grande partito seduce per la forza delle sue idee, dei suoi progetti, delle sue convinzioni. Il resto è contorno, utile per vincere (come accadde a Berlusconi), inutile per costruire.

Piero Ignazi (Faenza15 febbraio 1951) è un accademicopolitologo italiano, esperto in politica comparata.
E’ PERSONA DI FORMAZIONE DI TUTTO RISPETTO–NON RIPORTO TUTTO WIKIPEDIA NE’ TUTTE LE SUE PUBBLICAZIONI PER LATERZA E IL MULINO
SOLO L’ULTIMA nel 2013:
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