UN BEL 8 MARZO PER L’INGEGNERE AMALIA ERCOLI FINZI! ::: ” Forse io non faccio in tempo (AD ANDARE SU MARTE)…Sulla Luna invece è facile, bastano due giorni e mezzo. Un pensiero ce lo faccio».

alba su Marte

alba su marte, altra immagine

SOPRA :. entrambe sono immagini di Marte

CRONACA

Al Politecnico di Milano, dove insegna, è conosciuta come la “mamma della missione Rosetta”: Amalia Ercoli Finzi si racconta

 

 

La signora delle comete “A 79 anni voglio la Luna”

EMANUELA AUDISIO

La Signora delle Comete a 79 anni viaggia nel futuro. Parla della Luna dove potrebbe anche andare e di Marte, dove però ci vuole più tempo. Ha appena ricevuto il premio dall’International Academy of Astronautics per la missione Philae, per aver fatto atterrare e lavorare un trapano su una cometa a 510 milioni di chilometri dalla terra. Vi aspettate una donna single, una missionaria dello spazio svagata? Sbagliato. Amalia Ercoli Finzi è sposata, ha cinque figli, molti nipoti. «Insieme a tavola siamo in quindici». Insegna al Politecnico dove è conosciuta come la mamma della missione Rosetta. Già consulente della Nasa, dell’Asi e dell’Esa è stata la prima donna laureata in ingegneria aerospaziale con lode in Italia.

Non hanno provato a farle cambiare idea?

«Sicuro. Ero piccolina, poco appariscente. I miei mi volevano insegnante di matematica. Anche perché al primo anno di liceo trovai che il risultato di un’espressione algebrica era sbagliato e lo spiegai alla professoressa. Feci la miglior maturità d’Italia, ma per farmi desistere la famiglia chiamò un ingegnere del Politecnico. Doveva terrorizzarmi, invece più mi parlava delle difficoltà e più io mi appassionavo. Mi è sempre piaciuto risolvere i problemi».

Anche da bambina?

«Anche. Mi divertivo a smontare biciclette, anche se restavo sempre con qualche pezzo in mano, a casa smontavo le valvole, e mi imbizzarrivo perché nessuno sapeva spiegarmi perché suonano i campanelli».

Non sarà stato facile il Politecnico a fine anni ’50 per una donna.

«La nostra era una presenza scarsa, più tollerata che apprezzata. Eravamo cinque ragazze su 650 maschi. Ho ricevuto 27 domande di matrimonio, ma dopo i miei primi tre esami con 30 e lode i pretendenti sono scomparsi. L’unico a cui ho dato un po’ di confidenza è stato Bruno, il mio futuro marito. Anzi forse l’ho fatto avvicinare troppo visto che abbiamo avuto quattro maschi, a distanza di un anno, e poi la femmina. In quel periodo non facevo che imboccare e grattugiare mele in continuazione. Ho cambiato 32 baby-sitter, ma per fortuna a me per recuperare bastano quattro ore di sonno. Mi sono laureata l’anno in cui i russi hanno lanciato lo Sputnik. Sono amica di Valentina Tereshkova, la prima donna nel ’63 a volare nello spazio: rimase legata al sedile con la tuta e il casco addosso 70 ore e 50 minuti».

Invidiosa?

«Per niente. Mi ha raccontato che fu un inferno: soffrì il vuoto d’aria, vomitò, e quando fu espulsa con il paracadute si ruppe il naso. Era conciata così male che dovettero ripulirla e rifilmare il momento dell’atterraggio».

Lei non è emigrata all’estero per la ricerca?

«Allora non si usava. Mi offrirono solo di andare a insegnare in Somalia, ma avevo tre bambini piccoli e volevo lo spazio non una cattedra. Gli aerei sono belli, anche fare l’astronauta come Samantha non è male, lei è stata scelta perché è la più brava, ma a me interessava la stanza dei bottoni, comandare le operazioni, più che stare a bordo di una capsula. Solo che anche oggi alle donne in questo campo non si danno opportunità, per questo sono favorevole alle quote rosa, un uomo sceglie sempre un altro uomo, il mondo tecnico-scientifico è la loro ultima roccaforte. Puoi fare la pediatra, la magistrata, la chirurga, ma se ti occupi di esplorazione planetaria nei loro occhi leggi la condanna».

Sbagliano i talenti a lasciare l’Italia?

«Assolutamente no. Ma basta lamentarsi. Oggi l’esperienza e gli scambi con l’estero sono fondamentali. Capisco la ricercatrice che ha polemizzato con la ministra Giannini, ma alla ragazza vorrei dire che oggi lavorare in Olanda non significa stare fuori, ma far parte di un popolo europeo. Devono cambiare le categorie mentali, l’Europa è casa nostra, non è altro. E bisogna sapere lavorare in squadra. Il genio spesso ha un carattere infernale e non sa collaborare ».

Sulla polemica sui fondi a istituzioni private con chi si schiera?

«Vorrei maggior trasparenza. Non vedo perché ci debbano essere intermediari tra chi dà fondi e chi li riceve. Così si rischiano sprechi e inquinamenti. Il problema in Italia non è la mancanza di finanziamenti alla scienza, ma l’assenza di certezza, perché magari dopo sei mesi i fondi non vengono riassegnati e così si perde ricerca e ricercatori. È un peccato perché nella scoperta delle onde gravitazionali ci sono anche molta Italia e molte donne. La conferma dell’intuizione di Einstein è importantissima, ma quelle onde non servono a niente, non ci migliorano la vita. Io invece vado pazza per le applicazioni pratiche ».

Il suo trapano SD2 invece serve nella quotidianità?

«Certo che sì. È fatto di Invar, una lega metallica, che resiste anche dopo dieci anni di inattività perché non si deforma nemmeno con il freddo a 90. E la miniaturizzazione degli elementi che abbiamo studiato serve oggi a computer e cellulari, pensi al funzionamento delle batterie dopo un decennio, parte della nostra tecnologia ora è usata nelle radiografie alle mammelle».

Ora è in missione per Marte.

«Si. Parte il Mars Express. Abbiamo la responsabilità di costruire un veicolo che farà cadere un apparecchio per raccogliere dati. Marte ha il metano e dove c’è metano c’è vita. Non sono gli omini verdi che si vedono nel film, ma la possibilità che non siamo soli nell’universo c’è. Solo che per andare su Marte ci vogliono due anni, altri due per tornare, e poi bisogna aspettare il riallineamento. Forse io non faccio in tempo. Sulla Luna invece è facile, bastano due giorni e mezzo. Un pensiero ce lo faccio».

 

PER CHI E’ INTERESSATO E VUOLE ALTRE INFORMAZIONI, DAL CORRIERE DI BERGAMO—UN VECCHIO ARTICOLO DEL NOV. 2013, MA PER CHI NON SA::: INFORMA! 

 

http://bergamo.corriere.it/notizie/cultura-e-spettacoli/14_novembre_13/ercoli-finzi-siamo-atterrati-vi-racconto-mia-cometa-a3e73acc-6b17-11e4-8c60-d3608edf065a.shtml

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