JOSEPH STIGLITZ, L’EURO FLESSIBILE —UNA PREZIOSA INTERVISTA SU REP. DI OGGI—–” non sarà che l’abbiamo sopravalutato ? non sarà l’età (73 anni)—sarà, come sempre, il baiòn !

il vertice ue

Joseph Stiglitz.

L’economista premio Nobel: “Non serve un ritorno al passato, la soluzione più estrema è creare due monete per Nord e Sud”

“L’euro flessibile è l’unica risposta per salvare il progetto-Europa”

EUGENIO OCCORSIO

«PER salvare il progetto dell’euro, ed evitare che da strumento di sviluppo diventi fattore penalizzante, bisogna renderlo flessibile, perché si è rivelato impossibile conciliare modelli e livelli di sviluppo assolutamente incompatibili senza strumenti come un cambio elastico e tassi d’interesse diversificati». Joseph Stiglitz, docente alla Columbia, premio Nobel 2001, consigliere economico di Hillay Clinton, da tempo insiste perché l’Europa adegui alla realtà la struttura della moneta unica. Per non essere strumentalizzato dai movimenti populisti, aveva già chiarito che non è contro l’integrazione e la mutualizzazione di rischi e benefici, né contro il progetto dell’euro: «Ma è costruito male. Mi chiedo come sia stato possibile che tanti statisti così prestigiosi abbiano messo insieme un’architettura destinata per natura a non reggere». Per precisare il suo pensiero, Stiglitz ha appena pubblicato il libro “L’euro e la sua minaccia al futuro dell’Europa”.

Cosa vuol dire euro flessibile?

«Una volta accertato che indietro non si torna, e che anzi una moneta unica è un passo verso un’Europa realmente unita, bisogna guardare la realtà. Ci sono diverese ipotesi. Mantenendo tutte le caratteristiche di un mercato comune e aperto, potrebbe staccarsi la Germania, che cresce anche se non in maniera clamorosa. Oppure andrebbe creato un euro del nord e uno del sud. Non c’è nessuna prova che l’euro abbia mai dato un contributo alla prosperità dell’Europa ma ci sono molte prove che ha funzionato da amplificatore delle recessioni fino a inchiodarla a stagnazione di cui non si vede la fine».

Come pensa che verrà accolta la sua proposta in Europa?

«Spero come un contributo utile a modificare quello che c’è di sbagliato. Non propongo di smantellare l’euro, tornare alle valute locali e far finta che non sia successo nulla. Ma di intraprendere azioni coraggiose in grado di sbloccare la situazione: quanti altri anni volete perdere? ».

Lei nel libro però parla dello “spezzatino” dell’euro come soluzione estrema.

«L’ipotesi ottimale è di dotare finalmente l’Europa delle strutture in grado di sostenere l’integrazione monetaria: una vera unione bancaria dotata di un’efficace assicurazione comune sui depositi, programmi di solidarietà in grado di aiutare concretamente i Paesi che restano indietro, una quota significativa di mutualizzazione del debito e di eurobond, una parte di bilancio comunitario con un ministro delle Finanze europeo e tasse comuni sulle transazioni finanziarie e sulle grandi proprietà oggi frammentate e troppo basse, un piano di investimenti pubblici molto maggiore di quelli attuali finanziato appunto con queste risorse, una banca centrale che non abbia come unico focus l’inflazione bensì sviluppo e occupazione ».

La Bce si è avvicinata con il quantitative easing, o no?

«Troppo poco, si rimane nell’ambito monetario, e infatti Draghi non si stanca di appellarsi alle politiche attive che l’affianchino mentre dovrebbe essere messo in grado di partecipare a queste politiche, come la Fed».

Se si arrivasse ad un euro del nord e del sud, in quest’ultimo rientrerebbe la Grecia?

«La Grecia è una storia a parte. Tsipras ha avuto l’occasione di sganciarsi un anno fa, e non capisco perché non l’abbia fatto, io e Varoufakis l’avevamo consigliato in tal senso. Il risultato sono ulteriori sofferenze per la sua gente e sacrifici indicibili di cui non si vede la fine. Spero ancora che la Grecia lasci l’euro nel suo interesse».

Si rende conto delle difficoltà politiche di una ripartizione del genere?

«Qualsiasi problema sarà minore di quelli attuali. Non è possibile rinviare la soluzione di sei mesi in sei mesi, e poi di anno in anno. Prendiamo l’Italia: le sembra dignitoso che un Paese come il vostro sia costretto a elemosinare ogni misura dai partner europei, che non riesca a impostare un programma di sviluppo perché bloccato dall’austerity di marca tedesca, di chi ha come mantra la stabilità finanziaria e una convinzione fondamentalista che una volta stabilizzato il bilancio pubblico sarà il mercato come d’incanto a risolvere tutto? Di fondamentalismi del genere ne abbiamo già avuto uno in America, e ci è bastato».

A cosa si riferisce?

«Agli anni della “supply side” reaganiana, bastava abbassare le tasse e lasciare il più libere possibile le forze del mercato senza più nessun intervento pubblico. Una follia di trent’anni fa che paghiamo oggi. Perché è vero, l’America cresce, ma a livelli inferiori al potenziale. Il Pil è del 15% al di sotto di dove sarebbe se avesse retto il ritmo di crescita degli anni dal 1980 al 1998. Il reddito medio delle famiglie è meno dell’1% superiore a quello del 1989. La percentuale di lavoratori è aumentata solo leggermente da quando è partita la ripresa, anche l’America ha sperimentato l’austerity perché i dipendenti pubblici sono scesi di 500mila unità. L’unica cosa a essere cresciuta a dismisura sono le disegugaglianze, intollerabili eticamente nonché fattore di depressione perché storicamente sono le classi inferiori a spendere di più. Infatti il problema è la carenza di domanda aggregata. Così torniamo all’Europa: in un mondo globalizzato è fondamentale che ci sia una crescita diffusa. E con gli imminenti rialzi dei tassi ci prepariamo a un dollaro più alto, con le conseguenze negative in termini di export».

In tutto questo ci saranno le elezioni, immaginiamo il suo pensiero su Trump.

«Chi? L’uomo del caos globale? Sento che Hillary trionferà. Ma deve fare subito delle cose urgenti, come porre fine alla politica del breve termine delle corporation, e ridurre gli stipendi dei manager».

©RIPRODUZIONE RISERVATA

L’IPOTESI OTTIMALE

Per conciliare modelli di sviluppo incompatibili puntare su unione bancaria, Eurobond e tasse comuni

LA GRECIA

Avevo consigliato a Tsipras di sganciarsi, invece ha scelto la via di ulteriori sofferenze e sacrifici per la sua gente

Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia nel 2001 è docente alla Columbia di New York

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