NEMO & Co — NON PERDERE : MARC LAZAR PARTECIPA AL DIBATTITO APERTO SUL REFERENDUM

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MARC LAZAR … con le rughe -foto troppo vicino—occhi storti…
nasce a Parigi nel 1952 
 
MERCOLEDI’ SCORSO, REPUBBLICA p. 31
COMMENTI
IL DIBATTITO
Repubblica
LA FIDUCIA DA RICOSTRUIRE DOPO IL REFERENDUM
MARC LAZAR
ha deciso di ospitare in questo spazio interventi pro e contro la riforma costituzionale in vista della scelta del 4 dicembre.
Un confronto aperto dall’editoriale del direttore Mario Calabresi al quale hanno già contribuito Giorgio Napolitano, Salvatore Settis, Roberto Esposito, Michele Ainis, Massimo Recalcati, Stefano Rodotà, Massimo Cacciari, Angelo Bolaffi e Andrea Manzella
 

DOMENICA scorsa Eugenio Scalfari ha giustamente rilevato la preoccupazione dei «poteri forti» per l’esito del referendum del 4 dicembre, dovuta a tre grandi ordini di ragioni. Innanzitutto, quanto accade in un Paese dell’Unione Europea ha ormai conseguenze più o meno dirette per tutti gli altri: si parla infatti di europeizzazione della politica. In secondo luogo, questa preoccupazione degli europei nasce soprattutto dall’esperienza. Un referendum offre ai cittadini l’opportunità di lanciare un messaggio, che a volte non ha alcun rapporto con la questione da dirimere. Possono approfittarne anche per esprimere la loro insoddisfazione generale per il governo in carica, o al contrario per sostenerlo. Ad esempio, nel 2005 il massiccio no dei francesi al referendum sulla costituzione europea era espressione della loro volontà di punire il presidente della Repubblica Jacques Chirac. E se nel giugno scorso i britannici hanno optato per la Brexit, lo hanno fatto contro David Cameron. Perciò l’esito dei referendum è spesso incerto: oggi più che mai il comportamento degli elettori è imprevedibile. Si ha la percezione che l’eventuale vittoria del no possa comportare un rischio di instabilità politica in Italia: questo il timore dell’Europa, nella fase critica che sta attraversando. Le cancellerie e gli ambienti finanziari, preoccupati per la situazione delle banche italiane, preferiscono la stabilità, quale che sia, all’incertezza. Ma non è affatto detto che il sostegno dei poteri forti sia un vantaggio per Renzi. Al contrario, nel contesto di un’opinione pubblica in rivolta contro quei poteri, tentata oltre tutto da un ripiegamento sulla dimensione nazionale, in Italia come dovunque in Europa, ogni sospetto di intrusione dall’”estero” è ritenuto inammissibile da un gran numero di elettori.

Ma esiste anche un altro motivo che spiega l’interesse degli europei — o quanto meno, di una parte di essi — per il referendum italiano: in questo voto si cristallizza un interrogativo ricorrente, divenuto ormai incalzante, sul divenire della democrazia italiana; e al di là delle sue particolarità, su quello delle nostre democrazie in generale. Lo attesta il confronto teorico, su queste stesse pagine, tra Eugenio Scalfari e Gustavo Zagrebelsky sui rapporti tra democrazia e oligarchia; e lo dimostrano tutte le controversie suscitate dal referendum (non solo sulle disposizioni previste nella legge e sottoposte al suffragio degli elettori, ma anche sull’Italicum) e quelle centrate sulla figura del presidente del Consiglio. I suoi avversari lo accusano di aver ecceduto nel personalizzare questo voto: un argomento discutibile — anche se Renzi ha indubbiamente commesso un errore tattico nel modo in cui lo ha presentato — poiché fin dal suo arrivo a Palazzo Chigi il premier aveva detto chiaramente che la riforma istituzionale e quella della legge elettorale costituivano gli elementi essenziali del suo progetto. Nello schieramento del no, alcuni costituzionalisti e personalità eminenti si limitano a motivare il loro dissenso con argomenti di diritto pubblico. Ma in gran parte, gli oppositori vorrebbero innanzitutto sbarazzarsi una buona volta del presidente del Consiglio. Dal canto loro, i professori e gli esperti che invitano a votare in favore della riforma la difendono nel merito, sottolineando tutti i vantaggi istituzionali che a parer loro ne deriverebbero all’Italia. Ma anche tra chi ha fatto quest’ultima scelta, molti sperano implicitamente che una vittoria del sì rafforzi il prestigio e i margini d’azione del presidente del Consiglio e segretario del Pd. Perciò il risultato del referendum, positivo o negativo che sia, avrà un impatto sul destino personale di Matteo Renzi. Tuttavia in questa vicenda l’oggetto della discussione, la posta in gioco è qualcosa di ancora più profondo. Chi si oppone alla riforma da sinistra denuncia il rischio di favorire in Italia una deriva autoritaria, sia nell’immediato con Renzi, sia dopo di lui con un altro premier. Dietro quest’argomento si profila lo spettro della Storia, la paura di un ritorno del fascismo, già mobilitata al tempo di Bettino Craxi, accusato di cesarismo, e di Silvio Berlusconi, considerato come una minaccia alla democrazia. Tra gli antifascisti c’è chi diffida profondamente degli italiani, ritenendoli privi di una vera cultura civica, alla ricerca di un salvatore e pronti a consegnarsi al primo venuto che prometta mari e monti. I sostenitori della riforma respingono queste accuse, negando qualunque rischio di una deriva del genere; e pur ammettendo che il potere del presidente del Consiglio sarebbe indubbiamente rafforzato, osservano che resterebbe comunque inferiore a quello di altri capi di governo europei — per non parlare dei poteri del presidente francese, vero monarca repubblicano. A parer loro, l’Italia soffre soprattutto dell’incapacità di decidere, e più generalmente dell’assenza di governabilità.

In questo dibattito c’è forse qualcosa di ambiguo. Agli osservatori stranieri, e soprattutto ai francesi, il rischio di autoritarismo appare infondato, e riflette più che altro un grande pessimismo sulla maturità democratica degli italiani. D’altra parte, c’è da chiedersi se il rafforzamento dell’esecutivo risolverebbe in via definitiva il deficit di governabilità. Anche questo è discutibile, dato che in Italia come altrove viviamo una situazione contraddittoria. Da un lato, i popoli aspirano ad avere un leader capace di agire, in questo periodo di grandi incertezze e sconvolgimenti. Dall’altro, vorrebbero poter controllare questo leader e partecipare da vicino ai processi decisionali. L’autorità non è più solo verticale ma anche orizzontale, dato che associa molteplici attori e protagonisti. E questo è forse uno dei maggiori interrogativi, lasciato un po’ in ombra in questo momento. L’Italia, al pari di altri Paesi europei, non soffre solo di una crisi istituzionale, ma anche di una crisi della società politica nel suo complesso, caratterizzata segnatamente dalla profonda diffidenza di vasti settori della popolazione nei confronti delle élite dirigenti. La sera del 4 dicembre, che la vittoria vada al sì oppure al no, l’imperativo sarà quello di ricostruire la fiducia.

Traduzione di Elisabetta Horvat

 http://quotidiano.repubblica.it/edizionerepubblica/pw/flipperweb/flipperweb.htmltestata=REP&issue=20161019&edizione=nazionale&startpage=1&displaypages=2

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1 risposta a NEMO & Co — NON PERDERE : MARC LAZAR PARTECIPA AL DIBATTITO APERTO SUL REFERENDUM

  1. roberto scrive:

    Quindi, al di là delle perifrasi, secondo Marc Lazar., almeno due o tre punti da sottolieare::
    I popoli europei , ma non solo (vedi elezioni USA), non sono capaci a dare una risposta pacata ai quesiti che si pongono loro, al punto da confondere voto per legge costituzionale e permanenza al potere del premier in carica; roba non da ridere ma ,drammaticamente vera.
    I governi europei una una grande paura dei cambiamenti ( che possono anche corrispondere con uno “status quo” non previsto: vedi possibile indebolimento se non caduta del governo in carica, ma non fanno nulla per risolvere questi problemi a livello europeo perchè incapaci o succubi degli unori imprevisti a volte, previsti altre, degli elettori: non si fa il bene della nazione e dell’Europa ma il bene proprio e del proprio partito.
    Potrei proseguire ma i quadro è già abbastanza drammatico così.

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