LA RUBRICA::: LE PERLE DI NEMO… NANNI CAGNONE E UMBERTO GALIMBERTI

 

 

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Nanni Cagnone : ” Non amo i fuochi d’artificio “

16
GEN
2018

“””… < […] Le persone mi piacciono, quelle singole, intendo, non mi piace il genere umano. Mi piacciono gli amici che si sono allontanati e quelli che non ci sono più. Non faccio grande differenza tra i vivi e i morti, tra il visibile e l’invisibile >. D. Tipico di un poeta ?  R. < O forse dei matti >. D. So che ha conosciuto l’esperienza del manicomio. R < Sono stato in manicomio prima che Basaglia rivoluzionasse l’istituzione. Elettroshock, psicofarmaci potentissimi, docce gelate e poi le case di cura con uno stile di vita meno carcerario >.  D. Quando accadeva?  R. <Tra il 1962 e il 1964 soffrii di afasia cerebrale. La crisi esplose che ero ospite di Mario Spinella. Preoccupato telefonò a mio padre medico. Che gli rispose: ‘ Ah, lei è l’amante di mio figlio! ‘ Quel cattolico fanatico vedeva ‘diavoli’ ovunque. Oggi non so più il senso di quelle cose. Ma allora fui scagliato in un mondo totalizzante che divorava ogni possibilità. Ho imparato la scaltrezza dello scacchista, anticipare le mosse dell’avversario, per evitare gli elettroshock e le prepotenze che l’ambiente scatenava >. D. Qualcosa di simile ha vissuto Alda Merini. R. < Sì, ma non mi piace che abbia messo la propria follia nel curriculum. Fino a spingere sull’idea insulsa di valorizzare i matti quando non danno più fastidio e si sentono beatamente integrati. Non amo la sua poesia. Troppo esclamativa, enfatica. Sembra una poltrona in similpelle >. D. Cosa ama? < Amo il non dipendere dalle circostanze. Dai cosiddetti fatti. Mi interessa ciò che la storia non può offrire. Il vero è solo un’iperbole; il falso è disgustoso. Pensare con sincerità questo è il solo lusso che mi sono permesso >.

 

(da Straparlando: Intervista al poeta, scrittore e traduttore Nanni Cagnone di Antonio Gnoli, la Repubblica – Robinson di Domenica 14 Gennaio 2018)

Umberto Galimberti : ” Se durante la vita interiorizzassimo l’inevitabilità della nostra morte

14
GEN
2018

“””… < […] noi enfatizziamo il nostro Io e, rimuovendo il fatto di essere semplici funzionari della specie, viviamo a partire dai nostri progetti, dalle mete che vogliamo raggiungere, dai nostri ideali, dai nostri sogni, probabilmente ….  per distrarsi dal pensiero della morte. […]  Se durante la vita interiorizzassimo l’inevitabilità della nostra morte, condurremmo un’esistenza che non si affanna spasmodicamente nell’accumulare denaro o nell’acquisire potere. E quando giunge la nostra ora non avremmo il carico d’angoscia tipico di chi non ha mai pensato alla propria morte. Perché in quel momento ciò di cui davvero ci si angoscia non è tanto l’addio ai nostri cari, come solitamente si crede, ma l’addio al nostro Io, del quale, nella nostra vita, dopo averlo tanto enfatizzato, ci siamo anche innamorati >.

 

(da Risponde Umberto Galimberti, D la Repubblica di Sabato 13 Gennaio 2018 )

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4 risposte a LA RUBRICA::: LE PERLE DI NEMO… NANNI CAGNONE E UMBERTO GALIMBERTI

  1. roberto rododendro scrive:

    ” se durante la vita interiorizzassimo l’inevitabilità della nostra morte” Dice Galimberti.
    Io, per un caso strano ho pensato alla morte ed alla “mia” morte fin dall’adolescenza, vedendolo come fatto inevitabile e logico, perfino gradito ( ho provato ad immaginarmi una vita senza fine e m’ha preso il terrore), eppure, solo ora che mi ci sto avvicinando, che “la sento”, che l’ho toccata, comincio ad averne anche un po’ (solo un po’, per la verità) paura. Insomma: mi crea una certa ansia… 🙂
    Credo che ci sia poco da “interiorizzare la morte” dunque ( bellissima espressione astratta), sarebbe un po’ come, per un uomo, voler vivere i dolori del parto.

    • Chiara Salvini scrive:

      CARO ROBERTO, la pensi un po’ come Freud che sosteneva che l’uomo non è in grado di rappresentarsi la propria morte. Se leggi Epicuro e, poi, magari più bello, Lucrezio ” la morte non può niente su di noi…” , è abbastanza ” convincente “::: noi non sentiamo più… come non abbiamo sentito quando c’erano i Cartaginesi intorno a Roma; ma forse quello che spaventa non è il momento successivo alla morte, quando appunto niente ci può più toccare, ma il momento che la precede e che può essere assai doloroso, puoi star male e, poi, non sai come reagiranno le persone intorno a te…che uno ne abbia una certa ansia mi pare che faccia parte della assoluta normalità, insomma, caro Roberto, sei assolutamente ” normale “! ti abbraccio nella tua stracciata normalità, chiara

  2. Donatella scrive:

    Anch’io, scusate la presunzione, sono molto normale.

  3. roberto rododendro scrive:

    Cara chiara, mi sono letto il Lucrezio”la morte non può niente su di noi…” e grazie, anche se ti ho già ringraziato là.
    E, Donatella, quanto mi piace quel tuo tocco di leggerezza 🙂 Non sbaglio, vero?
    Ma certo che il “momento dopo la morte” non mi spaventa affatto per ovvi motivi ( che essendo ovvi non spiego). Anzi ho ricordo bellissimo di quella volta che sono svenuto ( più o meno due anni fa nel bel mezzo di una manifestazione): ho sentito che stava arrivando ( lo svenimento) , così mi sono allontanato pensando che camminare un po’ ( in realtà barcollavo ma non lo sapevo), non resistendo mi sono appoggiato con entrambe le mani ad una cancellata. Mi sono risvegliato, immagino trenta quaranta ( ma non saprei) secondi dopo, per terra ma sempre con le mani strette alla cancellata. Insomma : sono scivolato giù e mi son seduto. Ma il bello è che durante lo svenimento ho sognato come se stessi dormendo e ricordo solo che c’era un giardino fiorito ma soprattutto che sentivo su e intorno a me tanta serenità.
    Quindi, se la morte assomigliasse anche solo un poco a quel mio sogno mi andrebbe benissimo!
    Purtroppo ho ancora alcune cose urgenti e necessarie da fare…….. 🙂 e giuro che è vero!

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