QUASI 11.000 KM2 DI SALINA —CHE RIFLETTE IL CIELO — A UYUNI, NELLE ANDE NELLA PARTE SUD-OVEST DELLA BOLIVIA

 

 

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Salar de Uyuni, situata nelle Ande a sud-ovest della Bolivia, è la più grande distesa salata al mondo. Questo territorio desertico, caratterizzato da sale bianchissimo, formazioni rocciose e isole ricche di cactus, si è creato in seguito al prosciugamento di un lago preistorico e si estende per quasi 11.000 km². Il suo paesaggio lunare si può osservare dall’isola centrale di Incahuasi. Nonostante questo ecosistema così unico sia quasi privo di fauna selvatica, numerosi sono i fenicotteri rosa.

 

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1 risposta a QUASI 11.000 KM2 DI SALINA —CHE RIFLETTE IL CIELO — A UYUNI, NELLE ANDE NELLA PARTE SUD-OVEST DELLA BOLIVIA

  1. Donatella scrive:

    Che immagini stupende! Incredibili i cactus che riescono a vivere in un ambiente del genere.
    A proposito di libertà,suggerita da questi paesaggi, mi viene da parlare del film visto ieri. Si tratta di ” The Post” di Steven Spielberg, sulla libertà di stampa:
    Si svolge nel 1971: Katharine Graham è la prima donna alla guida del The Washington Post in una società dove il potere è di norma maschile. Ha ereditato dal padre il giornale, diretto fino ad allora da suo marito, bravo giornalista purtroppo morto prematuramente. Lei ha legami di amicizia con l’élite politica e finanziaria dell’epoca. L’altro protagonista è Ben Bradlee, il direttore del “Washington”.
    L’analista Daniel Ellsberg, che ha visto da vicino la terribile realtà della guerra in Vietnam, riesce a impossessarsi nel 1969 di un buon numero di faldoni prodotti dalle amministrazioni americane nel corso di vent’anni di guerra nello sfortunato Paese asiatico (1947-1967). Nei “Pentagon Papers”ci sono tutte le menzogne dei vari Presidenti che si sono succeduti alla guida degli Stati Uniti: l’incidente provocato ad arte per iniziare la guerra, l’impossibilità di vincerla dichiarata da tutti gli analisti, la sottovalutazione ad arte delle vittime americane. I Presidenti hanno taciuto lo studio che essi stessi avevano commissionato, incuranti delle migliaia di vittime delle loro proterve decisioni. La vicenda , da storica, diventa personale, soprattutto per la proprietaria del “Washington”, che nelle sue amicizie personali conta addirittura Mac Namara, a cui la lega un’antica e vera amicizia. Lei, donna costretta ad occuparsi del futuro del giornale, deve scegliere tra amicizia e difesa della verità: è una scelta molto sofferta e onesta, anche perché il “New York Times”, che ha avuto per primo i “Pentagon Papers”, è stato incriminato da Nixon, allora presidente, e deferito per tradimento alla Corte Suprema. Il “Post” decide di continuare a pubblicare i documenti secretati, viene incriminato come il “Times” e alla fine la Corte Suprema decide per la libertà di stampa, con una sentenza memorabile in cui si dice che la stampa deve servire ai governati, non ha chi ha il potere di governare. Oltre al profondo radicamento del sentimento a favore della libertà di stampa che caratterizza gli USA, viene messo in primo piano il travaglio di questa donna, apparentemente inesperta e debole, che ha come direttiva principale l’onestà: prima di decidere parla con il suo amico di lunga data Mac Namara, perché non vuole colpirlo alle spalle, è seriamente angosciata per i posti di lavoro che andrebbero persi se il giornale dovesse chiudere. Non ripete l’ errore fatto a suo tempo dal pur coraggioso direttore del “Washington”, che aveva considerato come amici i Kennedy, non riuscendo a separare l’amicizia dalla politica. Insomma, secondo me è un film profondamente femminista, perché Katharin Graham è sicuramente una donna di potere, con enormi responsabilità da lei non desiderate, ma che riesce a destreggiarsi e a fare una scelta coraggiosa ed umana al tempo stesso. E’ messa in primo piano la fondamentale onestà di coscienza di questa figura femminile che è cosciente del proprio potere, ma che mantiene fede ai suoi principi e alla sua sensibilità di donna, in un mondo ancora quasi totalmente maschile. Il film, del 2017, diretto da Steven Spielberg, sceneggiato da Liz Hannah e da Jos Singer, è interpretato magistralmente da Meryl Streep e da Tom Hanks, oltre che da altri bravissimi attori. E’ anche un grande riconoscimento alla pratica del lavoro giornalistico,prima ancora che alla sua etica. Da qui l’insistenza sulla difficoltà di riordinare il materiale trafugato da Ellsberg: la fotocopiatura che richiede giorni, la fatica di dare un ordine alle migliaia di pagine che avevano perso la numerazione, la volontà di un’intera e numerosa redazione di trasformare la storia in un documento comprensibile a tutti.

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