DONATELLA D’IMPORZANO, LA RAGAZZA CON LA LEICA DI HELENA JANECZEK–GUANDA 2017, RECENSIONE DI BEATRICE MANETTI, L’INDICE DEL LIBRO +++ ALTRI 2 LIBRI

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Foto di Gerda Taro. “Tre uomini alla finestra dell’hotel Colón, sede del PSUC (Partito Socialista Unito della Catalogna)” Spagna, Barcellona, Agosto 1936

 

After leaving Hitler's Germany, Jewish photographer Gerda Taro snapped this image at the funeral of Bela Frankl, a Hungarian Jew who died in the Spanish civil war while serving under the name General Lukacs. (Courtesy of the International Center of Photography)

After leaving Hitler’s Germany, Jewish photographer Gerda Taro snapped this image at the funeral of Bela Frankl, a Hungarian Jew who died in the Spanish civil war while serving under the name General Lukacs. (Courtesy of the International Center of Photography)

 

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Gerda Taro, profughi di Malaga ad Almería, febbraio 1937

 

 

DONATELLA …nella sua rubrica internazionalmente seguita:::

 

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GERDA TARO, L’ALTRA META’ DI CAPA

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GERDA TARO (1910-1937)

 

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INSIEME…

 

La ragazza con la Leica

 

 

Helena Janeczek - La ragazza con la Leica

 

Un libro per non consùmere ( credo che si dica proprio così) nella nostra memoria la guerra di Spagna e la figura di una grande fotografa, Gerda Taro, amica del grande Robert Capa: ” La ragazza con la Leica”, di Helena Janeczek, Guanda Editore.

 

Helena Janeczek - La ragazza con la Leica

guanda, 2017

pp. 330, € 18

 

 

La “ragazza con la Leica” che dà il titolo al nuovo romanzo di Helena Janeczek è Gerda Taro, nata Gerta Pohorylle: una jeune fille intelligente e spregiudicata della borghesia ebraica di Stoccarda, cospiratrice antinazista a Lipsia e a Berlino per amore di un uomo e della libertà, grande fotografa a Parigi per merito e a fianco di un profugo ungherese che deve alla sua immaginazione l’invenzione del nome d’arte col quale è universalmente conosciuto – Robert Capa –, morta a Brunete sotto un carro armato alla fine di luglio del 1937, ad appena ventisette anni, mentre documentava la caduta della Spagna repubblicana. Il suo volto sfrontato e malizioso, il suo talento felino per la vita, la sua civetteria, la sua tenacia e il suo coerente trasformismo riempiono ogni pagina del libro, ma arrivati alla fine si può dire di lei solo una cosa: Gerda Taro non esiste. È paradossale che un romanzo biografico, frutto di una lunga e minuziosa documentazione testimoniata dai ringraziamenti in calce, trasformi in un fantasma inafferrabile proprio la sua protagonista. Eppure la sua autrice ha scelto consapevolmente di raccontarla così. Come un motore invisibile, un catalizzatore di destini altrui, una raffica di vento improvvisa, vivificante, fugace e imprendibile: “Era la gioia di vivere. Qualcosa che esisteva, si rinnovava, accadeva ovunque, prima a Lipsia e poi a Berlino: nella Pension non lontana dal suo studentato, nella camera affittata dietro l’Alexanderplatz presso la vedova di guerra Hedwig Fischer e, infine, sulla branda di Max e Pauline, detta Pauli, in pieno Wedding”.

Tre protagonisti

Come si scrive la biografia della gioia di vivere? Non con un ritratto a tutto tondo, neppure con un’elegia generazionale, meno che mai con un affresco storico. Helena Janeczek lo ha fatto con un po’ di tutto questo, intrecciato però alla memoria privata dei tre veri protagonisti del romanzo. Tre testimoni parziali, coinvolti, inattendibili, di una vita che ha incrociato le loro, sfuggendo di mano anche a loro: il primo è il dottor Willy Chardack, ebreo tedesco come Gerda e come Gerda rifugiato a Parigi dopo la salita al potere di Hitler, che una domenica mattina del 1960, mentre passeggia nei tranquilli sobborghi di Buffalo, New York, è assalito dall’apparizione di una giovane donna in “calze di pizzo e scarpe di una gradazione poco più scura, l’abito colore avorio (…) i capelli castani (…), una distesa di epidermide appena ambrata”, che si specchia nella vetrina di un negozio di Stoccarda e che sotto i suoi occhi adoranti e sbigottiti diventa in pochi anni un soldato temerario armato soltanto della propria macchina fotografica; la seconda è l’exmodella Ruth Cerf, alla quale il ricordo di Gerda fa visita una plumbea mattina parigina del 1938, alla vigilia della sua partenza per la Svizzera con il marito; il terzo chiamato a “deporre” è Georg Kuritzkes, che nella stessa domenica di Willy Chardack, ma dall’altra parte dell’oceano, vagabonda a bordo di una Vespa alla periferia di Roma in cerca di un amico fotografo e di un passato liquidato dalla storia.

Di Gerda Taro, i due uomini sono stati amanti più o meno passeggeri; ora hanno un filo di pancia, occhiali da vista, uno una moglie l’altro nessuno, entrambi un lavoro prestigioso, utopie fallite, ricordi indisciplinati, il mite disincanto degli apolidi. La donna è l’amica del liceo che con Gerda ha condiviso l’adolescenza e i primi amori, una stanza d’albergo e un aborto, e che nel 1938, nell’atelier Robert Capa, sviluppa negativi, cataloga “le immagini di quella guerra perduta” e sorveglia la carriera in ascesa e il lutto declinante del titolare. Nell’andirivieni delle loro memorie, scandite dalla cronologia interiore del rimpianto o del risentimento, da reticenze e da cortocircuiti imprevedibili, Gerda Taro diventa, più che un personaggio dai contorni definiti, l’oggetto di una nostalgia lunga vent’anni, il rimosso e il precipitato collettivo di una generazione la cui giovinezza è divampata e è andata in cenere negli anni delle dittature europee, della bohème parigina, nell’effimera euforia della vittoria del Fronte popolare e della repubblica spagnola, nel genocidio degli ebrei e nella diaspora degli scampati alla persecuzione.

Affresco corale e ricordo privato

Helena Janeczek lavora da sempre nell’editoria ma scrive un libro ogni sei anni, indifferente alle leggi del mercato editoriale, fedele solo alla necessità di ciò di cui racconta. E nei libri che scrive sa come intrecciare memoria privata e storia collettiva. In Lezioni di tenebra (1997) e nelle Rondini di Montecassino(2010) il trauma di sua madre sopravvissuta ad Auschwitz, le peripezie di suo padre scampato fortunosamente alla Shoah, la sua stessa paradossale genealogia di ebrea nata a Monaco da due ebrei polacchi naturalizzati tedeschi e diventata italiana nella vita e nella scrittura, erano il sasso gettato nello stagno del medio Novecento, i cui cerchi concentrici si allargavano fino ad abbracciare la lunga durata e le contaminazioni globali di un secolo che non ha ancora finito di far pesare la propria eredità.

Nella Ragazza con la Leica quel miracoloso equilibrio tra affresco corale e nodi familiari, tra epica e memoir, che era appannaggio esclusivo della voce dell’autrice, è conquistato solo a tratti, più spesso che altrove nel capitolo dedicato a Ruth Cerf, forse perché l’amicizia tra due donne è più sfaccettata e controversa dell’amore tra un uomo e una donna. Nei due pannelli laterali del romanzo, in cui a parlare e a ricordare sono rispettivamente Willy Chardack e Georg Kuritzkes, la scelta di cedere la parola ai testimoni rimane sempre una strategia ingegnosa ma si rivela anche un azzardo, perché la devozione postuma fa velo alla memoria del primo, “il Bassotto” sedotto e abbandonato nel giro di pochi mesi, che rischia di fare del ritratto di Gerda un santino dell’anticonformismo; e la tentazione didascalica si insinua nei ricordi del secondo, mettendogli in bocca un compendio di storia europea del Novecento, dall’incendio del Reichstag alla crisi del Congo, con lo stridore dei romanzi storici troppo scopertamente programmatici.

Ma nel capitolo finale, che riprende nell’impianto quello d’apertura e che vale da solo tutto il libro, la voce è proprio quella, inconfondibile, di Helena Janeczek: intima, potente, avventurosa, capace di partire da un dettaglio – due fotografie di Gerda Taro e Robert Capa seduti a un tavolo del Café du Dôme – per scandagliare le pieghe di una relazione troncata troppo presto per essere davvero decifrabile, di seguire una valigia di fotografie da un capo all’altro del mondo insieme alle vite di chi le ha scattate e di chi le ha salvate, e infine di concedersi la prima persona, risalendo di colpo dalle storie degli altri alla propria storia, con un piccolo coup de théâtre che sigilla il romanzo con l’autobiografia, nella convinzione “che per ritrovare qualsiasi cosa bisogna attingere alla memoria, che è una forma d’immaginazione”.

beatrice.manetti@unito.it

B Manetti insegna letteratura italiana contemporanea all’Università di Torino

 

 

L'Indice dei Libri del Mese

Helena Janeczek – La ragazza con la Leica

 

Descrizione del libro sotto:
Parigi, 1934. Si è lasciata la Germania alle spalle, ma la paura è rimasta dentro di lei, sedimentata nella sua anima. Per questo la giovane Gerta si chiede come André – anche lui ebreo e profugo – riesca a vivere con tanta disinvoltura, a sorridere alla vita con quegli occhi nerissimi, ad avere in testa soltanto la fotografia. Poi, d’un tratto, pure nello sguardo di André lei coglie un’ombra: il timore di essere solo un fantasma che fotografa altri fantasmi. E in quel momento che Gerta capisce di amarlo e di volerlo salvare dalle sue ossessioni. Quindi inventa per entrambi una nuova identità: lui sarà Robert Capa, un fotografo americano ricco, bello e famoso; lei sarà Gerda Taro, la sua manager. Insieme si lanciano alla conquista del mondo, delle storie più esaltanti, delle immagini più vere. E insieme, allo scoppio della guerra civile spagnola, decidono di sposare la causa delle Brigate Internazionali e di partire per il fronte, convinti di poter segnare il corso della Storia, e ignari che quella guerra, destinata a infrangere le speranze di pace e di libertà coltivate da un’intera generazione, non avrà pietà neanche di loro e li condannerà alla separazione definitiva, unendoli tuttavia per sempre nella leggenda… Questo romanzo di Susana Fortes ci consegna una struggente raccolta d’istantanee di due persone eccezionali, che hanno vissuto un amore unico e irripetibile, definitivo come lo scatto di una macchina fotografica e palpitante come la luce di una stella.

Istantanea di un amore

Susana Fortes

Traduttore:P. Spinato
Editore:Nord
Anno edizione: 2010
In commercio dal: 03/06/2010
Pagine: 232 p., Rilegato  16 euro
  • EAN: 9788842916611

 

 

altro libro:: 

 

Gerda Taro

Subito Disponibile

Prezzo solo online:

€ 29,75

€ 35,00 -15%

Il volune è stato pubblicato realizzato in occasione della mostra di Milano (Centro Intermazionale di Fotografia, 27 marzo-21 giugno 2009). Donna controcorrente, spirito libero e fotografa pionieristica, Gerda Taro ha speso la sua breve e intensissima vita documentando il fronte caldo della guerra civile spagnola con forte capacità visiva e molto coraggio. Fino ad oggi, le sue fotografie sono state poco viste e spesso sottovalutate. Per la prima volta questo volume rende onore al suo lavoro e la consacra, finalmente, grande e sensibile fotografa.

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