THOMAS PIKETTY, REP. 10 MARZO 2018, pag. 31 ::: IL MAGGIO ’68 DISUGUAGLIANZE ED INSEGNAMENTI

 

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maggio francese…

 

L’analisi

IL MAGGIO ’68 DISUGUAGLIANZE E INSEGNAMENTI

Thomas Piketty (AL FONDO SUL SUO LIBRO PIU’ FAMOSO…)

Dobbiamo gettare al rogo il Maggio ’68? Secondo i suoi detrattori, lo spirito del maggio avrebbe contribuito al trionfo dell’individualismo, per non dire dell’ultraliberismo. Ma sono tesi che non reggono a un’analisi attenta: il movimento del Maggio ’68, al contrario, è stato il calcio d’avvio di un periodo storico di fortissima riduzione delle disuguaglianze sociali in Francia, che in seguito ha perso slancio per ragioni di tutt’altro genere. È una questione importante, perché condiziona il futuro.

Per uscire dalla crisi, nel 1968 il Governo de Gaulle firma gli accordi di Grenelle, che includono un aumento del 20% del salario minimo. Nel 1970 il salario minimo viene ufficialmente indicizzato – parzialmente – al salario medio, e tutti i Governi che si susseguono dal 1968 al 1983 si sentono in dovere di dargli una “spintarella”, in un clima sociale e politico in piena ebollizione. È così che il potere d’acquisto del salario minimo progredisce complessivamente, fra il 1968 e il 1983, di oltre il 130%, mentre il salario medio, nello stesso periodo, avanza solo del 50% circa, determinando una compressione molto accentuata delle disuguaglianze salariali.

La rottura con il periodo precedente è netta e di vasta portata: il potere d’acquisto del salario minimo era progredito di appena il 25% tra il 1950 e il 1968, mentre il salario medio era più che raddoppiato. Trainato dal forte aumento dei salari bassi, il monte salari nel suo insieme nel corso degli anni 1968-1983 avanza molto più in fretta della produzione, determinando un forte calo della quota del capitale sul reddito nazionale. Tutto questo riducendo l’orario di lavoro e allungando le ferie retribuite. La tendenza si inverte di nuovo nel 1982-1983. Per prolungare il movimento di riduzione delle disuguaglianze sarebbe stato necessario inventare altri strumenti: poteri reali per i dipendenti nelle imprese, investimenti su larga scala e uguaglianza nel sistema di istruzione, istituzione di un sistema universale di assicurazione sanitaria e pensioni, sviluppo di un’Europa sociale e fiscale. Invece il Governo utilizza l’Europa come capro espiatorio in occasione della svolta rigorista del 1983, anche se in realtà Bruxelles non aveva avuto nessun ruolo nel blocco dei salari: il salario minimo non può progredire in eterno a un ritmo tre volte più veloce della produzione, sia nel caso di economie aperte sia nel caso di economie chiuse. A partire dal 1988, i Governi francesi contribuiscono fortemente al movimento di dumping fiscale europeo sull’imposta sulle società; poi istituiscono, con il trattato di Maastricht del 1992, un’unione monetaria e commerciale dura e pura. Una moneta senza Stato, senza democrazia e senza sovranità: un modello che ha contribuito alla recessione decennale da cui siamo appena usciti. Oggi la crisi della socialdemocrazia europea è generale. È innanzitutto la conseguenza di un internazionalismo incompiuto. Nel corso del XX secolo, e in particolare dagli anni ’50 agli anni ’80, la creazione di un nuovo compromesso tra capitale e lavoro è stata pensata e realizzata all’interno degli Stati-nazione. Con innegabile successo, e al tempo stesso forti fragilità, perché le politiche nazionali si sono ritrovate prese nella morsa della concorrenza crescente fra Paesi. La soluzione non è voltare le spalle allo spirito del Maggio ’68 e al movimento sociale: al contrario, dobbiamo usarli come leva per sviluppare un nuovo programma internazionalista di riduzione delle disuguaglianze.

Traduzione di Fabio Galimberti

 

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THOMAS PIKETTY (Clichy, 1971), è un economista francese

 

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wikipedia  ( A PARTE LE QUESTIONI TECNICHE, SI SEGUE COSA DICE ANCHE PERCHE’ LO VEDIAMO…)

Il libro mostra come l’evoluzione della disuguaglianza dei redditi, della ricchezza, e del rapporto capitale sul reddito, nei paesi sviluppati, segua una curva a forma di U e come i livelli di disuguaglianza raggiunti all’inizio del XXI secolo siano simili a quelli della Belle Époque.

Questi risultati mettono in discussione la curva di Kuznets, formulata nel 1950 da Simon Kuznets, che sottende l’ipotesi secondo cui lo sviluppo economico sarebbe accompagnato, in modo meccanico, da un calo nella disparità di reddito. Secondo Thomas Piketty, al contrario, il capitalismo è caratterizzato da potenti forze intrinseche di divergenza, basate sulla disuguaglianza r > g (rendimento sul capitale > tasso di crescita economica). L’idea è che, in una società che cresce poco, la ricchezza passata acquisisce una crescente importanza e tende naturalmente all’accumulo nelle mani di pochi. La prima metà del ‘900 fu un’eccezione storica, nella quale per la prima volta nella storia del capitalismo la disuguaglianza fu invertita in r < g . Di conseguenza, le ricchezze accumulate negli anni precedenti perdevano importanza molto velocemente mano a mano che l’industrializzazione aumentava vertiginosamente la produttività e quindi l’ammontare di nuove ricchezze prodotte. Piketty suggerisce diverse misure politiche per limitare l’aumento della disuguaglianza tra cui, in particolare, la creazione di una tassa globale sul capitale fortemente progressiva, accompagnata da una maggiore trasparenza finanziaria mondiale.

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