ALBERTO MAGNANI, IL SOLE 24 ORE DEL 17 MAGGIO 2018::: PERCHE’ I GIOVANI HANNO VOTATI M5S E LEGA… E LO RIFAREBBERO ANCORA

 

IL SOLE 24 ORE DEL 17 MAGGIO 2018

http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-05-11/perche-i-giovani-hanno-votato-m5s-e-lega-e-rifarebbero-ancora-100533.shtml?rlabs=1

 

 

LE SCELTE POLITICHE DEI «MILLENNIALS»

Perché i giovani hanno votato M5S e Lega (e lo rifarebbero ancora)

L’esito del voto che sta sfociando nel governo Cinque Stelle-Lega è stato determinato, anche, dal consenso dei giovani. Anzi, dal dissenso, visto che il successo di Salvini e Di Maio è stato spinto più dall’insofferenza per i “vecchi partiti” che dall’adesione alle offerte dei nuovi. Secondo i dati di YouTrend, una società di ricerca e analisi elettorale, i Cinque Stelle hanno incassato il 39,3% dei consensi nella fascia 18-24 anni, a fianco del 21,2% della Lega. Se si sale di qualche anno, lo scenario non cambia: fra i 25-34 anni, i Cinque Stelle si sono aggiudicati il 39,9% degli elettori, mentre la Lega si è accontentata di oltre il 15%.

Ai partiti “antisistema” oltre il 50% del voto giovanile
In sintesi i due partiti considerati più antisistema hanno finito per assorbire dal 50 a oltre il 60% dei consensi, schiacciando sia i partiti moderati che le forze sbilanciate a sinistra, un tempo feudo dei primi elettori. Solo il 3,6% dei votanti under 24 ha dato la sua fiducia a liste come Liberi e Uguali e Potere al Popolo, una percentuale scavalcata persino dal 3,8% dei neofascisti di CasaPound (che nel resto del paese, e delle fasce anagrafiche, hanno fatto fatica ad arrivare all’1%). Ci si potrebbe attendere qualche segnale di delusione, dopo due mesi di trattative a vuoto e lo spettro ostinato di una nuova chiamata alle urne. E invece sia Cinque Stelle che Lega sono riusciti a capitalizzare lo stallo politico. Un sondaggio dell’istituto di ricerca Demopolis, svolto a due mesi dal voto, ha proiettato i consensi alla Camera del partito di Di Maio al 34% (in crescita del +1,3% rispetto a a marzo) e quelli della Lega al 23% (in rialzo del 5,6%).

 

Il peso del lavoro che non c’è

 

In altre parole, i problemi tattici degli uni e degli altri non sembrano influire sulle ragioni profonde della scelta politica. A maggior ragione in un blocco anagrafico dove l’ipotesi stessa di votare è rimasta in dubbio fino all’ultimo per quasi un elettore under 24 su due. Fra gli altri temi in agenda, quello che ha finito per pesare di più sugli umori dei cosiddetti millennials sembra essere il lavoro. Non solo per le statistiche, ormai ripetitive, sul «tasso record di Neet» e la fuga all’estero del capitale umano. Quanto per il senso di scollamento fra le nuove generazioni e quelle successive, come se i nati negli ultimi 30 anni si sentissero un corpo estraneo (e indesiderato) rispetto al paese e al suo dibattito politico. Anche gli ultimi dati Istat hanno confermato che a febbraio, il mese prima del voto, il tasso di disoccupazione giovanile è rimasto saldo sopra il 30% (31,7%) e quello nella fascia dai 25 ai 34 anni al 16%. I contratti a tempo indeterminato stanno diventando un miraggio (le nuove attivazioni sono calate da 301.435 nel 2015 a 152.486 nel 2017), mentre proliferano quelli a termine e il precariato favorisce forme di paraoccupazione, dai rapporti di impiego mascherati da tirocini al neo-cottimo della gig economy. Di fronte a questo scenario, è la tesi, ci si sarebbe aspettati delle proposte dirompenti, capaci di risvegliare la vicinanza dei nuovi elettori ai partiti. Non è stato così, visto che l’intera campagna si è svolta su questioni lontane dalle urgenze primarie del blocco di elettori più giovani, dalle pensioni ai migranti. Argomenti che non hanno un’attinenza diretta con i disagi degli under 30 italiani, incalzati da questioni più immediate come i costi degli studi fuori casa, la ricerca di un impiego che consenta di svincolarsi dal nido dei genitori e, a volte, la sopravvivenza economica nonostante stipendi da 500 euro lordi al mese.

Il paradosso di partiti che parlano ai (ma non dei) giovani
Indicativo, in questo senso, che i primi punti di convergenza in chiave governativa siano abolizione della riforma Fornero e contrasto alla clandestinità. Anche perché l’intesa arriva proprio da Lega e Cinque Stelle, i due partiti «di rottura» che hanno conquistato i giovani senza il bisogno di parlare dei giovani, con ricette e strategie chiare. Nel programma della Lega, condiviso con il resto del centrodestra, si accenna all’argomento con il proposito di favorire la «piena occupazione per i giovani attraverso stage, lavoro e formazione». I Cinque Stelle si mostrano più sensibili al tema dell’occupazione in blocco, ipotizzando anche una prima forma di regolamentazione per la gig economy. Ma neppure nelle linee programmatiche dei pentastellati emerge un capitolo a sé sul ricambio generazionale, lasciato trasparire parlando di Pa (con la proposta di «inviare i giovani»), politiche attive (con l’idea di un investimento da 2 miliardi di euro) e pensioni (la Fornero andrebbe abolita perché si favorirebbe, così, il «necessario ricambio generazionale permettendo ai più giovani di poter entrare nel mondo del lavoro»).

L’agenda Pd la più “filo-giovane” ma non è bastato
Se si parla della sola quantità di proposte, in effetti, la forza politica con l’agenda più ricca risulta il Pd. Nel programma dei dem l’argomento «giovani» viene menzionato un totale di quasi 30 volte, con ipotesi che vanno dallo sconto strutturale sulle assunzioni a tempo indeterminato alle detrazioni sugli affitti per gli under 30. Ma le intenzioni, a quanto pare, non sono bastate. Nella fascia 25-34 anni, quella dove è più probabile trovare giovani al secondo voto, il Pd si ferma al 12,3% contro il 39,9% dei Cinque Stelle. Non a caso la forza che ha sottratto più voti al centrosinistra, nella crisi generale e generazionale dei «vecchi partiti”

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