+++ NEMO::: EZIO MAURO, LA TECNO-IDEOLOGIA DI CASALEGGIO

 

REPUBBLICA DEL 24 LUGLIO 2018  — pp. 1-27

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DAVIDE CASALEGGIO NASCE AD IVREA NEL 1976

 

 

LA TECNO- IDEOLOGIA DI CASALEGGIO

Ezio Mauro

Dunque il buon vecchio Parlamento ha le ore contate, perché (dopo aver incassato la nomina del Presidente di una delle due Camere, con l’elezione di Roberto Fico a Montecitorio) i grillini hanno annunciato ieri la sua prossima morte, fissando anche la data: tra qualche lustro.

L’ha decretata ufficialmente, in un’intervista a Mario Giordano su La Verità Davide Casaleggio, figlio del fondatore del movimento, e presidente di quell’associazione Rousseau che secondo il disegno dei Cinque Stelle è destinata a gestire la nuova era della democrazia diretta: per portare a termine la seconda fase della rivoluzione populista avviata pochi anni fa da Grillo, restituendo al cittadino il potere non soltanto di decidere ma anche di legiferare senza più intermediazioni, deleghe, perdite di tempo e riti del passato come le riunioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

Casaleggio parte dalla constatazione che a causa della bolla di iperproduzione normativa la burocrazia nel nostro Paese assume un ruolo e un potere improprio «e diventa spesso depositaria di un sapere quasi esoterico». La Rete può bucare la ragnatela di questa rendita impropria. E qui il guru dei Cinque Stelle mescola populismo e informatica: i modelli novecenteschi stanno morendo, la sfiducia nella politica cresce, lo scollamento tra Palazzo e realtà aumenta, Internet è la nuova via di partecipazione, la cittadinanza digitale va garantita a tutti. La rappresentanza ha funzionato per lungo tempo: «Oggi però grazie alla Rete e alle tecnologie esistono strumenti di partecipazione decisamente più democratici ed efficaci in termini di rappresentatività del volere popolare di qualunque modello di governo novecentesco. Il superamento della democrazia rappresentativa è quindi inevitabile». In una riforma grillina dello Stato «il Parlamento ci sarebbe, col compito di garantire che il volere dei cittadini venga tradotto in atti concreti e coerenti». Ma «tra qualche lustro è possibile che non sarà più necessario nemmeno in questa forma».

Siamo dunque davanti all’idea della “democrazia digitale” che Gianroberto Casaleggio teorizzava da tempo: superare il voto per il Parlamento, considerandolo una semplice delega, per portare il cittadino a fare direttamente irruzione nella vita politica, anzi a diventare un politico in prima persona. Proseguendo su questa strada, si superano i partiti, si abolisce il quorum per il referendum, si istituiscono i referendum propositivi, si abolisce il voto segreto, si ritorna al vincolo di mandato per il parlamentare, e lo si giudica via Internet con un voto di collegio quando non mantiene le sue promesse elettorali.

È la concezione del Parlamento da aprire “come una scatoletta di tonno”, con deputati e senatori che devono soltanto eseguire quello che i cittadini decidono votando in Rete: spesso a scelte compiute, come nel caso del contratto di governo. Dietro c’è l’idea dell’uomo comune che sovverte lo Stato con la sua sola pretesa di far politica, tanto che Grillo arriva a suggerire la sostituzione delle elezioni con il sorteggio, scegliendo i membri del Parlamento a caso per rendere le Camere davvero rappresentative della società: “significherebbe la fine dei politici e della politica come l’abbiamo sempre pensata”.

Perché mai la politica dovrebbe “finire”, se non per compiacere le idee più qualunquiste? C’è in questa profezia provocatoria l’idea salvifica e autoassolutoria professata più volte da un movimento che è nato con la pretesa esagerata di cambiare il mondo per poi estinguersi, il giorno in cui, dopo la redenzione, la fanta-tecnologia grillina consentirà ai cittadini di costruirsi la democrazia in casa, «da dove potranno agire decidendo “sì” e “no” su ogni cosa, potranno proporre le leggi, votarle, e allora il movimento non avrà più senso».

Stiamo dunque arrivando allo scontro finale tra la democrazia diretta e la rappresentanza. Secondo il credo grillino l’innovazione tecnologica denuda la vecchia forma democratica, mette a nudo tutta l’impalcatura di intermediazioni su cui è costruita la trasmissione fiduciaria del voto e del mandato, mentre la Rete fulmina i metodi del passato, li illumina denunciandoli come vecchia politica, e consente ad ognuno di ritagliarsi nel privato un pezzo di politica privata, fai-da-te, da consumare a casa o al lavoro o nel tempo libero, spendibile a piacere imbucandola nel rapporto diretto ed esclusivo con la piattaforma misteriosa del movimento, finanziata dagli eletti, guidata da non eletti.

Quanto più dovesse crescere il meccanismo della democrazia diretta attraverso le piattaforme digitali sul modello Rousseau, nascerebbe il problema del controllo di quei dati, del loro utilizzo, della garanzia della privacy degli utenti, del potenziale politico e commerciale che in poco tempo quel sistema di raccolta ed elaborazione di informazioni acquisirebbe: un problema di democrazia, evidentemente, che i Parlamenti per la loro parte hanno risolto, aprendo al pubblico e alla stampa le loro sedute.

Tra le intermediazioni che saltano nella pretesa di democrazia diretta, c’è anche quella assembleare, la forma del dibattito attraverso cui si prende una decisione, il concorso di opinioni diverse, l’obiezione, la critica e l’opposizione delle minoranze. C’è l’ascolto, la pubblica combinazione di differenti correnti di pensiero. E c’è infine l’intermediazione delle competenze, annullate dalla solitudine anonima dell’uno-vale-uno, davanti al computer. Io non voglio decidere su tutto, anche su ciò su cui non so nulla: voglio mandare in Parlamento persone competenti, perché decidano al meglio sui vari dossier, anche in mio nome, e proprio perché ne sanno più di me. E’ il rovescio della logica grillina, secondo cui la forza del movimento è trasformare l’incompetenza del singolo in virtù del popolo, quindi degna comunque del comando, proprio perché incontaminata dal contagio castale del sapere.

In realtà, la rappresentanza è ciò che crea il concetto e il soggetto di popolo: fuori dal patto di rappresentanza, infatti, c’è soltanto una folla di individui, non un popolo. E la tecnologia è benedetta: ma quando cambia il volto alla democrazia — in attesa di definire anch’essa un reperto novecentesco come il Parlamento — la cortocircuita in una moderna, nuovissima tecno-ideologia.

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