THE ART ENSEMBLE OF CHICAGO — CERTAIN BLACKS, 1970 ::: +++ RICCARDO DE GENNARO, IL MANIFESTO DEL 29 LUGLIO 2018 ::: ” Chicago Ensemble, fucili e carabine nel bus per proteggersi dai bianchi “

 

The Art Ensemble of Chicago – Certain Blacks 1970

 

Chicago Beau,

ts. p. perc. Julio Finn,

harm. Joseph Jarman,

ts. ss. Roscoe Mitchell,

brs. William A, Howell,

dr. Lester Bowie,

tp. Malachie Favors, b, perc.

Rec. Paris Febr. 1970

 

1. Certain Black “Do what they wanna”

2. One for Jarman……………………………..21:44

3. Bye Bye Baby………………………………..28:37

 

 

 

IL MANIFESTO- ALIAS DEL 29 LUGLIO 2018

https://ilmanifesto.it/chicago-ensemble-fucili-e-carabine-nel-bus-per-proteggersi-dai-bianchi/

 

Chicago Ensemble, fucili e carabine nel bus per proteggersi dai bianchi

Avanguardie musicali. L’Art Ensemble of Chicago è il longevo gruppo «jazz» che negli anni ’60 lottò per l’autodeterminazione e l’identità afro: Paul Steinbeck lo racconta in Grande Musica Nera, da Quodlibet

Un’immagine storica dell’Art Ensemble of Chicago, costituitosi nel 1966

Non lo definiscono jazz e, nonostante il peso dell’improvvisazione, nemmeno free jazz. No, la loro è Great Black Music, la grande musica nera, che nasce nel South Side di Chicago, il quartiere nero, ma trae la sua linfa e la sua vitalità dalle vene più profonde del continente africano. Il loro è un discorso musicale, politico, sociale, antropologico, come peraltro dimostrano le facce dipinte e i costumi di Joseph Jarman, Malachi Favors e Don Moye durante i concerti (Lester Bowie indossava, invece, un camice bianco da scienziato, Roscoe Mitchell abitualmente una giacca e una cravatta di lana). L’Art Ensemble of Chicago è uno dei gruppi jazz più longevi, molto probabilmente il più longevo, grazie ai princìpi della cooperazione e dell’autonomia dei suoi strumentisti, nonché alla solidità e coerenza del messaggio universale contenuto nella loro musica.
Fondato nel 1966, oggi il gruppo – dopo la morte di Bowie e Favors e due reunion – è ancora in piedi.

La sua storia, o per meglio dire la sua «missione», è raccontata nel dettaglio da Paul Steinbeck in Grande Musica Nera Storia dell’Art Ensemble of Chicago (Quodlibet «Chorus», a cura di Claudio Sessa, traduzione di Giuseppe Lucchesini, pp. 399, euro 25,00), una biografia che incrocia inevitabilmente il dato sociale e i movimenti politici degli afroamericani degli anni sessanta e settanta, a partire dal Black Panther Party, al quale tuttavia l’Art Ensemble non aderirì mai, nonostante i sospetti dell’arcigna polizia francese, convinta che con i proventi dei concerti del loro biennio parigino, dal giugno 1969 all’aprile 1971, Bowie e compagni finanziassero le Pantere nere.
Sebbene lottasse per l’autodeterminazione e l’identità nera e la sua musica avesse un carattere «violento e rivoluzionario», l’Art Ensemble of Chicago non è stato un gruppo politicizzato, ma sperimentale, d’avanguardia, che non ha mai posto alcun vincolo alla musica e alla scelta degli strumenti (a partire dai «piccoli strumenti», come i fischietti, le trombette, le campane, il triangolo, le raganelle…). Un loro concerto è concepito come la più alta forma espressiva, nella quale convergono, oltre all’improvvisazione jazzistica, la poesia, il teatro, la performance.

Quello della Grande Musica Nera è anche un discorso etico e di dignità: «Per quello che so della storia, nessuno riconosce mai al popolo nero – disse Favors nel ’79 in un’intervista a “Musician” – di aver fatto qualcosa. Nessun altro dirà mai che la tal cosa è Nera o Africana. Hanno tentato di portarci via anche il cosiddetto jazz, oppure hanno detto che l’ha creato un tizio, mentre in realtà sono stati i nostri antenati a crearlo».

Precisò Lester Bowie: «L’uomo viene dall’Africa, anche gli scienziati devono ammetterlo. E lo stesso la musica, ecco perché è tanto potente».

E ancora Jarman: «Rhythm and blues, rock and roll, spiritual, swing, dixie, reggae, bebop, funky: tutto ciò è a nostra disposizione dal momento che pratichiamo la Grande Musica Nera».
Dopo i due anni trascorsi in Francia, una meta ideale per i musicisti neri americani (vi erano già approdati altri musicisti «free» come Don Cherry, Sun Ra, Ornette Coleman, Steve Lacy, Albert Ayler e Cecil Taylor), gli Art Ensemble tornano negli Stati Uniti e stabiliscono un doppio binario: ogni componente suona nel gruppo, ma è libero di fare altre esperienze, anche teatrali, come fece Jarman.

Il richiamo del gruppo di origine, tuttavia, è sempre molto forte: «Quando torno qui porto idee, nuovi brani, nuovi sentimenti», spiegò Bowie. Jarman, ad esempio, collabora con John Cage e registra un disco in duo con Anthony Braxton, Bowie fonda un gruppo di soli fiati e incide con Fela Kuti. Nel frattempo, i cinque – i cui dischi parigini per la piccola Byg Actuel erano stati distribuiti poco e male – passano con l’etichetta Atlantic (con cui producono Bap-Tizum e Fanfare for the Warriors) e poi con la prestigiosa Ecm (Nice guysFull forceThird decadeUrban bushmen e, infine, Tribute to Lester), fino a fondare loro stessi la Aeco Records, che esordì con la registrazione dal vivo del concerto di Montreux, ospite il pianista Muhal Richard Abrams.
Paul Steinbeck è attento a tutte le registrazioni del gruppo (una cinquantina di dischi in totale, compreso Reunion, pubblicato dal manifesto nel 2003), fino a dedicare tre capitoli del libro a un’approfondita analisi, brano per brano, di tre lavori che considera tra i migliori: nell’ordine, A Jackson in your houseLive at Mandell hall e Live from the jazz showcase (di quest’ultimo esiste soltanto una videoregistrazione). «Contengono – scrive – alcune delle migliori composizioni e delle migliori improvvisazioni degli anni Sessanta, Settanta, Ottanta… o di qualunque altra epoca».

Il suo libro è talvolta ripetitivo, ma fornisce anche parecchi dettagli della vita privata dei cinque musicisti che possono interessare agli appassionati: ad esempio, Bowie, che aveva fatto parecchi soldi con la cantante Fontella Bass, la sua prima moglie, guidava una Bentley color verde smeraldo metallizzato; Jarman, dopo tre anni nell’esercito per aiutare nelle spese i genitori, rimase muto per un anno; negli anni sessanta e settanta Roscoe Mitchell giocava tutti i giorni a scacchi; quando attraversavano gli Stati Uniti sul bus che avevano acquistato direttamente dalla General Motors, portavano con sé fucili e carabine per proteggersi da «quei bianchi scatenati là fuori». È un bus che continua a viaggiare anche nell’èra Trump.

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1 risposta a THE ART ENSEMBLE OF CHICAGO — CERTAIN BLACKS, 1970 ::: +++ RICCARDO DE GENNARO, IL MANIFESTO DEL 29 LUGLIO 2018 ::: ” Chicago Ensemble, fucili e carabine nel bus per proteggersi dai bianchi “

  1. Donatella scrive:

    Non c’entra nientissimo, era per il tuo compleanno, ma il computer avanzava dei dubbi. Te la mando con un po’ di ritardo:

    Compleanno leonino ( non scherzate con la coda del leone):

    Compleanno sbarazzino,
    abbiam fatto un bel cammino.
    Con me porto picciol dono
    di parole e il loro suono.
    Allegrezza o allegria
    di ogni ora sia la spia.
    La tristezza sia bandita
    dalla casa e dalla vita.
    La dolcezza tosto arriva,
    quella vera, non corriva.
    Gentilezza, sguardo puro,
    cuore aperto, testa dura.
    Se la rima non la fa,
    beh, pazienza, la farà
    Tutto questo è poi per dirti,
    con le rime alla carlona,
    che vogliamo un po’ abbracciarti
    e un po’ rider di persona.

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