DONATELLA D’IMPORZANO, ” SFATIAMO UN PO’ I MITI DELLA DEMOCRAZIA ATENIESE DEL V SECOLO a. C. —da ” Il mondo di Atene ” di Luciano Canfora, Laterza, pagine indicate

interno con gatto

bardelli, interno con gatto, olio su tela, 1,50m X 1m—Macchietta che guarda fuori dalla finestra…

 

 

 

LUCIANO CANFORA

 

Il mondo di Atene

Luciano Canfora

Editore:LaterzaPagine della versione a stampa: VIII-518 p.– 14 euro, meno online

 

Sempre a proposito di democrazia e di denuncia dell”uno vale uno”, rifacciamoci agli antichi, i soliti Ateniesi, studiati mirabilmente da Luciano Canfora:
” Fare teatro ad Atene è un’attività pubblica, un’attività strettamente e formalmente connessa al funzionamento della città, un’attività perciò continuativa, che non contempla soste, interruzioni, silenzi. Il committente, che per i poeti lirici corali ( Pindaro, Simonide) erano i ricchi o i “tiranni”, è ora, per gli autori di teatro ateniesi, la città in quanto comunità politica… Il teatro è un rito primario della città… La contropartita di un tale impegno statale è il controllo sui contenuti. Certo ” la concessione del coro”, ( cioè il sostegno organizzativo per la messinscena) era già una strettoia attraverso cui passare. Chi ” concedeva il coro” era un magistrato, cioè l’arconte eponimo ( l’arconte da cui prendeva nome l’anno)… l’insuccesso, il non gradimento da parte del pubblico, era l’altro fattore decisivo: adattarsi al gusto, alle predilezioni mentali dell’”Ateniese medio” era un’altra, micidiale strettoia… Il teatro tragico molto raramente trattava materia storico-politica che potesse considerarsi attuale. Quando nel 493 ( o 492) a.C. Frinico mise in scena ” La presa di Mileto” il pubblico ebbe una forte reazione emotiva, molti scoppiarono in lacrime. Il poeta fu punito per aver messo in scena quella sventurata vicenda della rivolta ionica (peraltro poco efficacemente sorretta dagli Ateniesi) e fu fatto divieto di portare mai più in scena quella vicenda. Invece vent’anni dopo, Eschilo, coi “Persiani”, che mettono in scena la sconfitta dei Persiani a Salamina e la grande vittoria ateniese che fu alla base della nascita dell’impero, conseguì il successo: e corego fu Pericle, allora appena venticinquenne. Il meccanismo di controllo sui contenuti non potrebbe essere più chiaramente illustrato. Mettere in scena la vittoria sui Persiani era qualcosa di molto simile alla pedagogia storico-politica impartita con il rito quasi annuale degli ” epitafi” per i morti in guerra. Anche negli epitafi Atene appariva sempre vittoriosa nelle guerre del passato, e sempre propugnatrice delle cause giuste, contro nemici che erano despoti o tiranni. ( da ” Il mondo di Atene” di Luciano Canfora, ed. Laterza, 2011, pagg.87-90).

COREGO, nota del blog — IL DIRETTORE DEL CORO

 

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Dato che siamo nella commedia, sfatiamo un po’ i miti sulla democrazia ateniese del V secolo, grazie ai bellissimi e coltissimi studi di Luciano Canfora.
” In linea teorica, all’assemblea popolare parlano tutti coloro che lo desiderano. Chiunque ha il diritto di farsi avanti, rispondendo positivamente alla domanda che viene formulata dal banditore dopo che la seduta è aperta:” Chi vuole parlare?”.
Ma il concreto funzionamento dell’assemblea è tutt’altro. Parlano soprattutto coloro che sanno parlare, che hanno la necessaria formazione, che consente loro il dominio della parola… La più antica commedia di Aristofane che si sia conservata, gli “Acarnesi”(425 a.C.) costituisce anche la più antica descrizione superstite del meccanismo assembleare. E il quadro che ne traccia il protagonista, Diceopoli, un piccolo proprietario del demo di Acarne, è del tutto diverso da ciò che, con consapevole demagogia, ha delineato il Pericle tucidideo.

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GLI ACARNESI RAPPRESENTATI AL TEATRO DI EPIDAURO

 

«A Epidauro, nella quiete, nella grande pace che scese su di me, udii batter il cuore del mondo.»
(Henry Miller, Il colosso di Marussi, 1941.)

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EPIDAURO NELL’ARGOLIDE

 

“L’assemblea è deserta. Quelli se ne stanno a chiacchierare in piazza e passeggiano, ma si tengono bene alla larga dalla corda rossa ( Era un metodo drastico per bloccare le vie che non portavano alla spianata ovest dell’acropoli dove si teneva l’assemblea e costringere i cittadini a parteciparvi). E neanche i pritani ( quelli che dovrebbero presiedere) si vedono arrivare. Diceopoli, che vuole assolutamente decisioni chiare in favore della pace, è solo, “guarda verso la campagna, odiando la città”, e descrive comicamente come passa il tempo in attesa che l’assemblea finalmente si popoli. ” Ma questa volta-dichiara- sono venuto ben preparato, pronto a urlare, interrompere, insultare gli oratori, se qualcuno parla di altro che non sia la pace”. “Insultare, interrompere, urlare”: non certo intervenire con argomenti opposti a quelli dei politici professionali (rhetores). Il suo diritto di parola è l’urlo, l’insulto, l’interruzione violenta della parola altrui, della parola appunto di coloro che dominano quello strumento e sono perciò gli abituali protagonisti della tribuna. I quali ovviamente non affrontano l’assemblea soli e ” disarmati”…hanno lo stuolo dei loro aiutanti, i ” retori minori”, che spiritosamente un politico e avvocato provetto di epoca demostenica, Iperide, chiamava ” i signori dell’urlo e del tumulto”, il cui compito era appunto di propiziare il buon ascolto del capo e bloccare le improvvise incursioni dei cittadini che non parlano ( ma urlano). Diceopoli è consapevole- e con lui il pubblico di Aristofane- che un “povero” non si permette di parlare all’assemblea: l’esatto contrario dell’oleografia demagogica periclea. Quando, dopo vani tentativi di farsi ascoltare ( è lo stesso banditore, cioè colui che dovrebbe sollecitare gli interventi a zittirlo! ), Diceopoli parla- rivolgendosi ovviamente agli spettatori-, per prima cosa chiede che gli venga perdonata tale audacia: ” Spettatori! Non me ne vogliate se io, pur essendo un pezzente, mi metto a parlare e a trattare addirittura degli affari pubblici”. Ma già il coro lo aveva messo in guardia:” Che farai? Cosa dirai? Sappi che sei proprio sfacciato…Tu che vuoi esporre, tu solo, opinioni contrarie a quelle di tutti! “. Diceopoli- cioè uno che potrebbe al più manifestarsi con l’urlo e la protesta scomposta- si mette a parlare come farebbe un grande dominatore della tribuna… L’impostazione che Diceopoli adotta è dunque di immediata comicità, poiché di sicuro un ” povero”, anzi un ” pezzente” come egli stesso si definisce prima di attaccare, mai parlerebbe con la padronanza e lo sprezzo delle possibili reazioni del pubblico, tipici dei dominatori della tribuna… Ma l’esordio, irresistibile, denota un madornale capovolgimento dei ruoli…La commedia, a suo modo, e non senza qualche rischio, può farlo. ( da ” Il mondo di Atene ” di Luciano Canfora, Laterza 2011, pagg. 82-84 ).

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  1. Domenico Mattia Testa scrive:

    Ho avuto al liceo la fortuna di avere insegnanti di grande caratura intellettuale ed,in particolare,il prof di Latino e Greco,Gregorio Serrao,poi docente universitario, che con le sue lezioni dava una lettura critica della democrazia ateniese,generalmente allora vista come un modello insuperabile,perchè garantiva la partecipazione alle assemblee dei ceti popolari.Il mito della democrazia periclea veniva contestato partendo dalla mancanza della giustizia sociale,data l’emarginazione degli schiavi e delle donne.Il ceto contadino,artigianale,mercantile partecipava alle assemblee,godeva del diritto di parola e di voto,tuttavia privo di abilità oratorie e di autentica alfabetizzazione politica,non incideva molto sulle decisioni finali.Anzi cadeva spesso nel ridicolo quando presumeva di argomentare il suo punto di vista senza possedere le competenze indispensabili per formalizzarlo correttamente.In tal contesto il commediografo Aristofane,conservatore illuminato ed umorista d’eccezione, aveva un vasto materiale per far ridere il pubblico specialmente quando prendeva di mira le classi meno acculturate, le donne e non solo.La democrazia ateniese -argomentava il Prof Serrao- era formalmente rappresentativa,in quanto il vero potere era in mano all’oligarchia economica ed intellettuale.Aggiungo solo per sfatare un altro luogo comune che persiste:gli insegnanti di lettere classiche,calati nell’antichità,non sanno leggere criticamente il presente.Le smentite sono tante.Nella democrazia ateniese i Di Maio,i Salvini, sarebbero stati messi alla berlina dagli autori comici del tempo,anzi considerati dei”Barbari”non solo per la povertà del linguaggio.

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