Valeria RIBEIRO COROSSACZ, LIMES 15-06-2007 ::: ANCORA SCHIAVI DEL PASSATO. I NERI IN BRASILE

 

LIMES-ONLINE   15-06-2007

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ANCORA SCHIAVI DEL PASSATO. I NERI IN BRASILE

 

 

Pubblicato in: BRASILE LA STELLA DEL SUD – n°6 – 2007

Carta di Laura Canali, 2017.

Carta di Laura Canali.

Il 45% dei brasiliani è meticcio o nero: nessun paese fuori dall’Africa ha più abitanti di origine africana. La negritudine alla base di un paese costruito con la schiavitù ma che non ha mai ammesso di essere razzista. Fino ad ora.

 

di Valeria RIBEIRO COROSSACZ

 

1. A UN RECENTE CONGRESSO INTERNAZIONALE, una giovane professoressa universitaria brasiliana di colore raccontava il seguente episodio: invitata a partecipare a un convegno universitario, una volta arrivata sul posto è stata scambiata per straniera. Non si tratta di un episodio isolato. Ben più noto, perché riportato sui giornali nel 2005, è il caso di Hédio Silva Júnior, primo nero a capo della Secretaria da Justiça e Defesa da Cidadania dello Stato di San Paolo, che, riferendosi alla sua esperienza, dichiarava: in Brasile, un nero in aereo è uno straniero.


Questi episodi ci dicono fondamentalmente due cose, opposte tra loro: qual è il posto attribuito ai neri nella società brasiliana, quale posto i neri stanno prendendo nella società brasiliana. Questi episodi ci parlano di una società razzista, in cui non è normale che un nero viaggi in aereo o che una donna nera sia una professoressa universitaria: se proprio ce la si trova di fronte, non deve essere brasiliana. Ma ci parlano anche di una società che sta cambiando, una società in cui i neri occupano nuovi posti nel mercato del lavoro e nella gerarchia sociale. Per capire questi due aspetti contrapposti (il posto attribuito ai neri e il posto che i neri stanno occupando) è necessario ripercorrere brevemente la storia della formazione della nazione brasiliana.


In base al censimento del 2000 il Brasile ha una popolazione di circa 170 milioni di abitanti, di cui il 53,4% si classifica come bianco, il 6,1% come nero, il 38,9% come pardo, lo 0,4% come indigeno e lo 0,5% come giallo, termine che indica i discendenti di immigrati asiatici [1].


Con il termine pardo (letteralmente «scuro») si indicano nel censimento e nei documenti istituzionali le persone nate da genitori di colori diversi o persone di origine africana con la carnagione chiara. Sommando le categorie di neri e pardos, possiamo calcolare che il 45% della popolazione ha origini africane, ossia il Brasile è il paese in cui è presente il maggior numero di discendenti di africani fuori dall’Africa. Per avere un’idea, negli Stati Uniti, la cui popolazione è di circa 276 milioni, i neri rappresentano appena il 12%. La presenza di un così grande numero di discendenti di africani in Brasile è da collegarsi all’importanza che il traffico di schiavi africani ha avuto nella formazione del Brasile e della sua economia in quanto colonia portoghese e successivamente in quanto Stato indipendente.


Il Brasile proclama l’indipendenza dal Portogallo nel 1822 e l’abolizione della schiavitù nel 1888, ultimo tra i paesi del Nuovo Mondo, con uno scarto di diversi decenni dall’abolizione del traffico di schiavi (1850). Il Brasile è così il paese che ha ricevuto il maggior numero di schiavi africani nelle Americhe, essendo parte integrante della diaspora nera e di quello spazio che Paul Gilroy ha definito l’Atlantico nero, ossia «un sistema di interazione e comunicazione storica, culturale, politica e linguistica che ebbe origine con la schiavitù stessa»2. Guardare alla storia del Brasile collocandolo dentro la diaspora nera significa farne una storia dal punto di vista di quei gruppi che sono stati mantenuti in una posizione di subalternità, significa integrare il ruolo svolto dagli schiavi africani e dai loro discendenti e considerare quei passaggi che hanno contribuito alla costruzione di una società razzista.


Carta di Laura Canali

Carta di Laura Canali


2. Il razzismo che segna la società brasiliana contemporanea non è affatto la sopravvivenza del regime schiavista, ma il risultato dei significati che gli sono stati attribuiti in diversi momenti della storia del Brasile. Innanzitutto, nel processo che ha portato all’abolizione della schiavitù un ruolo non di poco rilievo ha avuto la convinzione che il sistema economico schiavista contribuisse a impedire lo sviluppo economico della giovane nazione brasiliana. L’istituzione del mercato del lavoro libero in sostituzione della schiavitù sembrava inevitabile, agli occhi di una parte delle élite, per favorire l’industrializzazione, l’urbanizzazione, la crescita dell’agricoltura, in sintesi lo sviluppo economico e sociale della nazione3. Una volta abolita la schiavitù e proclamata la Repubblica nel 1889, gli schiavi liberati, e coloro che ancora sotto il regime della schiavitù erano riusciti ad ottenere la libertà, vengono estromessi dalla formazione della nuova società imperniata sul lavoro libero e salariato. Si sosteneva infatti che la schiavitù avesse avuto un’influenza negativa sugli schiavi liberati e sui loro discendenti (ma non sui loro padroni) rendendoli definitivamente incapaci di inserirsi con successo nel mercato del lavoro libero. Gli schiavi africani e i loro discendenti erano in condizione di lavorare solo in un rapporto di coercizione, e dunque non erano adatti al nuovo progetto di formazione di una nazione moderna, divenendo di fatto cittadini di seconda categoria.


È possibile riconoscere qui il nucleo del pensiero razzista, che sottrae alla sfera delle determinazioni sociali ed economiche le cause delle (più o meno reali) difficoltà incontrate dagli ex schiavi nell’opporsi all’insieme di norme e atteggiamenti di sottomissione e servitù che la società post-abolizionista conservava nei loro confronti. La causa di tale incapacità a lavorare nel nuovo sistema viene infatti individuata nella razza degli africani, ossia nella loro natura, oggetto di studio di quelle scienze (antropologia fisica, eugenetica) che si venivano affermando in quegli anni in Brasile in diretto contatto con i dibattiti scientifici europei e statunitensi4. Per risolvere la questione della mancanza di una mano d’opera «adatta» al radicamento del mercato del lavoro libero, si trova una soluzione caldeggiata da più gruppi (politici, proprietari terrieri e industriali) nell’immigrazione bianca europea5.


Tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX secolo arrivano in Brasile diversi gruppi di immigrati europei (tedeschi, polacchi, italiani, portoghesi e spagnoli)6 identificati come lavoratori ideali poiché già abituati al lavoro libero e salariato, che avrebbero sostituito i lavoratori nazionali nell’agricoltura e nella nascente industria. Il progetto migratorio qui descritto si delineava dentro il dibattito, centrale in quegli anni, che aveva come obiettivo principale rendere razzialmente omogenea la popolazione brasiliana e parallelamente costruire un’identità nazionale e culturale forte che permettesse alla giovane nazione di imporsi dentro le fitte maglie che l’avevano fino ad allora legata all’Europa. Di fatto a questi immigrati si chiedeva di portare la loro forza lavoro nel progetto di costruzione di una nazione moderna e civilizzata, e allo stesso tempo di sbiancare (branquear) la popolazione, ossia di «dissolversi» nella popolazione brasiliana, rendendola progressivamente più bianca. Il progetto, più o meno esplicito a seconda dei casi, era dunque quello di eliminare progressivamente la popolazione di origine africana, identificata come la causa di tutti i mali della nazione, dall’arretratezza economica e culturale alle epidemie ricorrenti. Gli ex schiavi si ritrovarono così cittadini liberi in una società che programmava di liberarsi di loro o, nel migliore dei casi, che non investiva in nessun tipo di programma per il loro pieno inserimento nel nuovo mercato del lavoro e nella trasformazione culturale di rapporti ancora legati al regime schiavista.


È ben evidente qui la sovrapposizione di matrice europea tra razza e nazione: per costruire una nazione civilizzata era necessario intervenire sulla sua razza, renderla omogenea e soprattutto depurarla, ossia renderla bianca, in quanto solo il bianco rappresentava la civiltà. Nell’analisi dell’attuale composizione per gruppi di colore del mercato del lavoro della società brasiliana è possibile riconoscere le conseguenze di queste politiche e di questa cultura che ha visto nei discendenti degli schiavi africani la rappresentazione concreta del proprio complesso di inferiorità nazionale, l’Altro dentro se stessi, dentro la comunità nazionale, che andava in qualche modo estromesso. In questo periodo la schiavitù dunque viene identificata come causa di arretratezza, non in quanto rapporto sociale (e infatti non viene considerato inferiore il padrone degli schiavi, ma solo questi ultimi), ma in quanto piaga naturale che si è inscritta in modo indelebile nel corpo, nella natura degli schiavi.


Tuttavia nel corso degli anni Venti e Trenta si afferma una riappropriazione della schiavitù, in quanto momento fondativo della storia del Brasile, rivalutando atteggiamenti ed elementi culturali che erano stati fino a quel momento identificati come barbari e inferiori. La schiavitù e il mondo culturale degli schiavi e dei loro discendenti vengono investiti di nuovi significati che permettono di continuare a progettare una nazione moderna, questa volta «scoprendo» gli aspetti positivi del sistema schiavista brasiliano e delle espressioni culturali degli africani, degli indigeni e dei loro discendenti. In un certo senso possiamo dire che negli anni Venti e Trenta avviene un capovolgimento del negativo in positivo, che trova la sua piena espressione nella valorizzazione del meticciato, dell’incontro, dell’amalgama tra i tre gruppi che hanno contribuito alla formazione del Brasile: gli indigeni colonizzati, i colonizzatori portoghesi e gli schiavi africani. La valorizzazione del meticciato trova espressione soprattutto sul piano delle manifestazioni culturali di origini africane e indigene, ossia popolari, recuperando dentro lo spazio dell’identità nazionale ciò che era stato considerato fino ad allora non adatto alla sua definizione. È importante sottolineare che la valorizzazione del meticciato negli anni Trenta è avvenuta sul piano dell’identità nazionale e su quello delle pratiche culturali, ma non ha riguardato il piano delle relazioni sociali ed economiche, ossia non ha implicato uno sforzo per integrare i cittadini neri nella società brasiliana. Dunque, anche con la valorizzazione del meticciato i cittadini neri continuano ad occupare posizioni marginali del mercato del lavoro, formando quelle grandi sacche di povertà che continuavano a caratterizzare il Brasile di quegli anni.


Questo capovolgimento, in cui ciò che prima rappresentava l’inferiorità e l’arretratezza, ossia i neri e le loro pratiche culturali, diventa il tratto positivo del Brasile, è rappresentato in modo magistrale in uno dei testi principali per la definizione dell’identità nazionale brasiliana, Casagrande & Senzala di Gilberto Freyre, pubblicato nel 1933 (in Italia tradotto con il titolo Padroni e Schiavi). In questo testo l’antropologo brasiliano propone una lettura positiva e ottimista del carattere nazionale brasiliano proprio attraverso uno sguardo sulla società schiavista delle piantagioni del Nordeste. Freyre recupera la schiavitù come momento cruciale della formazione del modello brasiliano di relazioni sociali tra bianchi e neri, tra ex padroni ed ex schiavi, basato su una certa cordialità, una forte prossimità fisica, quasi un’intimità, tratti che egli identifica come specifici e salienti del sistema schiavista portoghese in contrapposizione a quello anglosassone. In particolare Freyre individuerà nelle relazioni sessuali e riproduttive tra padroni e schiave, descritte nella loro violenza ma private del loro significato puramente sociale, il momento in cui si forma il modello brasiliano di relazioni tra bianchi e neri all’insegna di una certa armoniosità e cordialità. Gli studi critici che si sono occupati di questa grande figura e il lavoro delle femministe nere brasiliane ci hanno permesso di riconoscere che lo sguardo che egli porta sulla realtà sociale del regime schiavista non è uno sguardo oggettivo, ma condizionato dai rapporti sociali in cui Freyre era coinvolto, e dunque è lo sguardo di un uomo bianco, appartenente all’élite economica e politica dello Stato di Pernambuco, ma allo stesso tempo fortemente cosmopolita. Uno dei meriti del lavoro di Freyre è di aver richiamato l’attenzione dei suoi lettori su un meccanismo sociale che ritroviamo in diversi momenti della storia brasiliana, ossia la modalità sociale della negoziazione come forma di resistenza al dominio, all’oppressione.


Il meticciato, inteso come la mescolanza di tradizioni africane, indigene ed europee, il sincretismo religioso possono essere infatti intesi come una forma di comunicazione tra gruppi che si trovano in una relazione di potere, una forma di negoziazione in cui i dominati, i subalterni si ricavano spazi di autonomia, di lotta e di manipolazione. La pluralità delle culture africane, isolate dal proprio contesto di origine con la traversata dell’Atlantico nelle navi negriere, è stata successivamente reinventata nella diaspora, entrando in contatto con il mondo dei colonizzatori, a loro volta in continuo contatto con l’Europa, così come con quello degli indigeni. Questo processo di costante comunicazione tra diversi gruppi e diversi continenti è senz’altro uno dei tratti caratteristici del Brasile, così come del Nuovo Mondo; il suo riconoscimento non significa negare il carattere di violenza, di oppressione e di dominio che ha segnato questa storia di contatti e comunicazione. L’importanza del lavoro di Freyre, che in questo seppe cogliere un elemento già presente nella società brasiliana, sta nell’aver valorizzato un’accezione ibrida di cultura e di nazione, in contrapposizione all’idea di purezza, dominante in Europa, sia in quegli anni drammatici, sia nell’attuale contesto dell’Unione Europea. La valorizzazione del meticciato che ci propone Freyre nella sua lettura della storia coloniale brasiliana ci permette di avvicinarci a un’altra caratteristica della società brasiliana, ossia la continua dialettica tra un sistema gerarchico che crea disuguaglianze e una rete di resistenze che permettono ai singoli di convivere con la dominazione, contrattando, negoziando spazi di libertà e di espressione culturale. Questo movimento, questa dinamica tra violenza e sfruttamento da una parte e resistenza e manipolazione delle norme dall’altra, credo si manifesti in quell’ambiguità che fa sì che tanti viaggiatori euroccidentali bianchi (ma per esempio non africani neri) credano che il Brasile non sia una società razzista, pur constatandone la stratificazione sociale e razziale.


Carta di Laura Canali - 2014

Carta di Laura Canali – 2014


3. Come è noto la percezione del colore della pelle e dei tratti fisici è soggetta a diversi tipi di condizionamenti, culturali, storici e anche soggettivi. Il caso del Brasile testimonia quanto la percezione e la classificazione del corpo umano siano influenzate dal contesto e dalle relazioni sociali. Sin dai primi studi antropologici sul tema, negli anni Cinquanta, si registra che i brasiliani impiegano un vasto numero di termini per indicare il colore di una persona, e che tendono a preferire termini o espressioni che indicano sfumature piuttosto che definizioni certe, con una netta prevalenza per il termine moreno. Questo comportamento è messo in relazione con quel tratto nazionale che è stato identificato come valorizzazione del meticciato, ossia la tendenza a privilegiare la mescolanza tra gruppi piuttosto che la loro contrapposizione. Inoltre gli studiosi notano che nell’attribuire un colore (a se stessi o agli altri) i brasiliani usano un criterio relazionale e situazionale, che fa sì che la stessa persona possa essere classificata o classificarsi con termini diversi, anche se raramente contrapposti tra loro, a seconda del contesto e delle relazioni. Questi tratti continuano a caratterizzare il sistema brasiliano di rappresentazione e classificazione razziale, comunemente definito con il termine continuum.


A differenza del contesto nordamericano, e in sintonia con altre regioni latinoamericane, in Brasile la varietà di alcuni tratti fisici – colore di pelle, tessitura dei capelli, forma del naso e della bocca – è percepita su una linea, il continuum, ai cui estremi si trovano il bianco e il nero, e su cui prendono posto non solo le diverse gradazioni di questi due colori, ma anche i risultati degli incontri con altri colori o gruppi, quale il rosso e il giallo, categorie che indicano nel linguaggio comune rispettivamente persone di origine indigena e asiatica. La tendenza a risaltare la tonalità nella scelta del termine per definire il colore di una persona è un atteggiamento molto frequente, ma diventa quasi la norma nel caso di persone che si avvicinano di più al polo nero. Questo atteggiamento indica una sorta di tabù nel nominare il polo devalorizzato, il nero, ricordandoci quanto essere classificati come neri costituisca uno stigma sociale. Il continuum dunque funziona negando l’opposizione bianco/nero, ma non il sistema di valori socialmente stabilito che valorizza il polo bianco e devalorizza quello nero. Costituendosi su una gradazione, il continuum frammenta l’opposizione più sgradevole e significativa bianco/nero in tante piccole opposizioni impercettibili, mettendo così le persone più a loro agio, ma lasciando inalterato il meccanismo sociale che produce la discriminazione della popolazione non bianca, ossia il razzismo. Come già sottolineato, alla valorizzazione del meticciato, e delle sfumature di colori che ne derivano, non ha mai corrisposto una valorizzazione degli individui non bianchi, se non attraverso il meccanismo della valorizzazione restrittiva7. Ai neri è riconosciuto di eccellere in tutto ciò che concerne il corpo, una fisicità plastica permetterebbe loro di essere tra i migliori negli sport (ma non in tutti: si è mai visto un pilota brasiliano nero di Formula Uno?), nella musica e nella danza, e alle donne un predominio speciale: la sensualità, la sessualità della famosa mulatta8. Di fronte a questo iato tra due realtà, altrettanto concrete, una in cui si valorizza la mescolanza e l’altra che produce meccanismi di discriminazione ed emarginazione della popolazione di origine africana, la società brasiliana ha iniziato a mettere a fuoco il razzismo che la caratterizza.


Soprattutto con la fine della dittatura, all’inizio degli anni Ottanta, è stato possibile elaborare progetti politici e scientifici in grado di nominare e di rappresentare il razzismo in Brasile. In questo passaggio è decisiva la definizione del rapporto tra classe e razza, in un paese in cui la categoria di classe, e la differenza di classe, è lo strumento storicamente più diffuso per la comprensione delle esperienze quotidiane di ogni brasiliano. Proprio perché la valorizzazione del meticciato, della mescolanza tra gruppi, è stata ed è così forte, in Brasile la realtà sociale è letta attraverso la categoria di classe e non attraverso quella di colore. Questo ha portato a sottostimare l’importanza e la diffusione del razzismo come meccanismo sociale. Il rapporto e la sovrapposizione tra classe e razza è un nodo centrale per la comprensione delle attuali forme di razzismo, senza tuttavia dimenticare che gli studi sociologici e statistici hanno dimostrato, sin dagli anni Ottanta, che il colore funziona come un elemento indipendente dalla classe nel determinare le opportunità di un individuo di muoversi all’interno della struttura sociale9. Le attuali politiche di lotta al razzismo, che si sono delineate nell’arco degli ultimi decenni nella pratica di gruppi di attivisti neri, si fondano sul progetto di capovolgere lo stigma negativo che definisce i neri, utilizzando un’agenda di lotta politica ricorrente tra diversi gruppi socialmente minoritari.


La formazione di un’identità nera positiva, che si è espressa anche attraverso il recupero del termine negro con un’accezione positiva, in un paese che ha fatto del meticciato il fulcro della sua identità nazionale, è uno degli obiettivi che sono stati identificati per far fronte alle forme di violenza ed esclusione razzista. In questo processo ancora una volta la schiavitù viene recuperata, reinvestita di nuovi significati: recuperare la memoria storica della schiavitù, in una chiave opposta a quella che abbiamo visto in Freyre, è il passaggio necessario per costruire un nuovo progetto di cittadinanza e per realizzare una società moderna, in cui moderna significhi inclusiva e non più razzista. L’attore principale di questo cambiamento è il movimento negro, espressione con cui si indica l’insieme di gruppi e associazioni di attivisti neri che dagli anni Ottanta si dedicano alla denuncia del razzismo e a iniziative volte a contrastarlo10. L’importanza di questo movimento è che con esso in Brasile si afferma un soggetto politico che parla pubblicamente del razzismo e che prende la parola su una parte della narrazione nazionale che per lungo tempo ha visto gli schiavi e i neri più come oggetto che come soggetto storico. Malgrado il movimento negro non possa rappresentare l’eterogeneità delle esperienze dei cittadini neri brasiliani, la sua presenza pubblica è un elemento nuovo e decisivo della storia di questo paese. Mentre Freyre narrava la vita dei padroni e degli schiavi in una casa coloniale per ricordare e affermare che il meticciato è un valore positivo alla base di ogni storia familiare e della storia nazionale, che i sincretismi culturali e religiosi sono diffusi più di quanto all’epoca si volesse ammettere, per il movimento negro oggi guardare alla schiavitù implica decostruire il meticciato e la sua valorizzazione, concepiti come il meccanismo che ha permesso di rendere invisibile il razzismo attraverso una retorica in cui la mescolanza cancella sia i bianchi che i neri, unendo tutti in un’unica entità, il popolo brasiliano. Da questa posizione parte la critica del movimento negro anche alla classificazione del continuum che diluisce l’opposizione bianco/nero.


In questo processo la schiavitù è vista come il marchio che ha segnato la nascita e la formazione della nazione brasiliana, non solo per quello che ha rappresentato, ma per come successivamente è stata integrata nella storia del Brasile, definendo quale è il posto dei neri nella società. L’impegno del movimento negro, in sintonia con altri movimenti americani, soprattutto nel processo che ha portato alla conferenza delle Nazioni Unite contro il razzismo, la xenofobia e le forme correlate di intolleranza, tenutasi a Durban nel 2001, è stato dunque quello di richiedere l’adozione da parte dello Stato brasiliano di politiche di compensazione come strumento per riparare i danni della schiavitù e dei meccanismi di esclusione sociale dei neri. La schiavitù dunque viene nuovamente reinvestita di significati, divenendo il momento in cui la nazione ha contratto un debito verso una parte di essa, trasformandosi in memoria storica da cui partire per elaborare un progetto che realizzi la piena eguaglianza di tutti i cittadini brasiliani.


In questo contesto lo Stato brasiliano, inizialmente con il presidente Fernando Henrique Cardoso a metà degli anni Novanta, decide di riconoscere che il razzismo esiste ed è un meccanismo strutturale della società brasiliana, rompendo lo storico patto politico e culturale che aveva portato tutti i governi precedenti a negarne l’esistenza. Tale riconoscimento è un passaggio cruciale, perché trasforma il razzismo da problema dei neri a problema dell’intera società. In questo senso va la creazione nel 2003 da parte del presidente Luiz Inácio Lula da Silva della Secretaria Especial de Políticas de Promoção da Igualdade Racial – il dipartimento speciale per le Politiche di promozione dell’uguaglianza razziale – guidata da Matilde Ribeiro, attivista del movimento negro. La creazione di questo dipartimento, così come la scelta del ministro, sono anche il riconoscimento del ruolo svolto dal movimento negro, e in particolare dalle donne negras, nel denunciare l’esistenza del razzismo nella società brasiliana. Attualmente le azioni positive, ossia l’insieme di iniziative volte a trasformare il ruolo dello Stato da agente passivo, orientato alla sola intenzione di non discriminare, ad attivo, ossia promotore di politiche di eguaglianza, sono identificate dallo Stato, dal movimento negro e da una parte della popolazione come il miglior strumento per combattere il razzismo. Benché non necessariamente classificabili all’interno delle azioni positive, è possibile identificare quattro grandi aree di impegno dello Stato: la discriminazione di tutti i dati statistici in base al colore, in modo da poter conoscere e dare visibilità all’entità del razzismo in tutte le sue specifiche manifestazioni (a seconda del genere, della provenienza geografica, dell’inserimento nel mercato del lavoro eccetera); la creazione di quote universitarie per studenti che si autoclassificano come neri o pardos per l’accesso alle università pubbliche, che sono a numero chiuso; l’attenzione alla salute della popolazione nera, ossia maggiore riconoscimento del ruolo del razzismo nell’accesso ai servizi di salute e maggiore attenzione a quelle malattie, definite etnico-razziali, che colpiscono maggiormente la popolazione di origine africana11l’assegnazione di terre ai discendenti degli abitanti dei quilombos, ossia le comunità formate dagli schiavi fuggiti dalle piantagioni durante la schiavitù12.


Con le attuali politiche di promozione per l’uguaglianza razziale proposte dal movimento negro, e in parte sostenute dallo Stato, ci troviamo di fronte a una strategia di resistenza e lotta al razzismo di carattere politico, istituzionale e comunitario, in cui il paradigma non è tanto la negoziazione o la manipolazione da parte del gruppo discriminato, quanto l’esplicitazione del conflitto. Quanto e come questa strategia sia riconosciuta e fatta propria dai brasiliani, neri e bianchi, nelle loro esperienze quotidiane, è ancora presto per verificarlo. Resta comunque imprescindibile l’impegno di tutti i settori della società per sradicare il razzismo, quel comportamento culturale e mentale che ricorda sempre a un nero quale sia il posto di un nero.


Carta di Laura Canali

Carta di Laura Canali

1. Nel censimento la domanda relativa al colore è aperta, si chiede all’intervistato di scegliere come classificarsi tramite una di queste categorie.

2. P. GILROY, The Black Atlantic. Identità nera tra modernità e doppia coscienza, Roma 2003, Meltemi, p. 18.

3. C.M. MARINHO DE AZEVEDO, Onda Negra, Medo Branco. O Negro no imanginário das Elites. Século XIX, São Paulo 2004, (ed. orig. 1987), Annablume.

4. Bisogna notare che in questo discorso e in questa pratica politica sono assenti gli indigeni, che di fatto nel corso dell’espansione coloniale portoghese e della formazione dello Stato nazionale brasiliano sono stati progressivamente sterminati. Gli indigeni sono comunque implicitamente presenti in questo discorso quando associati alla popolazione meticcia.

5. È bene ricordare che l’immigrazione bianca europea rispondeva alle esigenze di una classe di proprietari terrieri per lo più del Sud e del Sud-Est che, per favorire l’espansione delle loro colture, richiedeva operai agricoli «civilizzati», così come la nascente industria richiedeva operai europei.

6. Ma non solo europei: giapponesi, siro-libanesi sono tra i gruppi di immigrati che in quegli anni arrivano in Brasile cercando una vita migliore; cfr. G. SEYFERTH, «Os paradoxos da miscigenação: observações sobre o tema imigração e raça no Brasil», Estudos Afro-Asiáticos, n. 20/1991, Rio de Janeiro, pp. 165-185.

7. Per un’analisi del meccanismo della valorizzazione restrittiva, si veda C. GUILLAUMIN, L’Idéologie Raciste, genèse et langage actuel, Paris 2002, Éditions Gallimard (ed. orig. 1972).

8. Da notare che per la sensualità e la sessualità è la donna mulatta, e non la nera, ad essere privilegiata nel senso comune: già G. Freyre notava: «Bianca per sposarsi, mulatta per f…, negra per lavorare; detto in cui si sente, accanto al convenzionalismo sociale della superiorità della donna bianca e dell’inferiorità di quella negra, la preferenza sessuale per la mulatta», Padroni e Schiavi, Torino 1965, Einaudi, p. 9.

9. A questo riguardo rimando alle ricerche di C. HASENBALG, Discriminação e desigualdades raciais no Brasil, Rio de Janeiro 1979, Graal, e C. HASENBALG e N. DOVALLE SILVA, Relações raciais no Brasil contemporâneo, Rio de Janeiro 1992, Rio Fundo Editora.

10. Altre forme di attivismo nero sono state presenti nella storia del XX secolo in Brasile, ma l’espressione movimento negro generalmente designa la forma più recente, nata nel contesto del processo di ridemocratizzazione della società brasiliana degli anni Ottanta.

11. Su queste linee di azione, mi permetto di rimandare a V. RIBEIRO COROSSACZ, Il corpo della nazione. Classificazione razziale e gestione sociale della riproduzione in Brasile, Roma 2004, Cisu, e Razzismo, meticciato, democrazia razziale. Le politiche della razza in Brasile, Soveria Mannelli 2005, Rubbettino.

12. Si veda il lavoro di R. MALIGHETTI, Il Quilombo di Frechal. Identità e lavoro sul campo in una comunità brasiliana di discendenti di schiavi, Milano 2004, Raffaello Cortina Editore.

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