GIUSEPPE PIPITONE (notizie in fondo), Nella guerra alla corruzione l’Italia non è più maglia nera— IL FATTO QUOTIDIANO DEL 25 MAGGIO 2019

 

 

IL FATTO QUOTIDIANO DEL 25 MAGGIO 2019

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Nella guerra alla corruzione l’Italia non è più maglia nera

Nella guerra alla corruzione l’Italia non è più maglia nera

Se è vero che tre indizi fanno una prova, l’Italia non è più maglia nera nella lotta alla corruzione. Sembra una boutade in un Paese in cui le inchieste per mazzette impegnano a ritmo continuo le procure dalla Lombardia alla Sicilia. Eppure è quello che emerge dai giudizi messi nero su bianco dalle più importanti organizzazioni internazionali del settore. Tre report diversi negli ultimi sei mesi, infatti, riconoscono all’Italia di aver intrapreso un percorso positivo nella guerra alle tangenti. L’ultimo in ordine di tempo è il secondo rapporto periodico della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione.

Dodici pagine in cui si ammettono “una serie di passi avanti” intrapresi “per promuovere la trasparenza generale a livello governativo e l’uso di dati aperti per esempio sulla trasparenza delle informazioni sugli appalti”. Per l’Onu è positiva soprattutto l’introduzione della legge Severino (mai citata direttamente dal rapporto) e il potenziamento dell’Anac. “Pur non influenzando la candidatura o l’elezione, l’Italia ha stabilito casi di ineleggibilità, incompatibilità su un mandato parlamentare”. Disco verde pure per l’obbligo di “designare un responsabile della prevenzione della corruzione” e “sviluppare un piano triennale per la prevenzione della corruzione in conformità con il piano nazionale”. Giudizio positivo anche per la “maggiore trasparenza nel finanziamento di candidati e dei partiti politici”. Su quest’ultimo punto, però, le Nazioni Uniti avvertono: “L’Italia è recentemente passata da finanziamenti pubblici a finanziamenti puramente privati. Ciò metterà più a dura prova il corretto funzionamento dei sistemi di trasparenza”. In questo senso l’Onu invita il nostro Paese a “monitorare l’impatto della transizione dal finanziamento pubblico a quello privato a partiti e candidati. E, se li rende più vulnerabili al lobbismo, intraprendere azioni correttive secondo necessità”.

Due le raccomandazioni finali: “Considerare ulteriormente il problema dei magistrati che vengono eletti a cariche pubbliche o nominati in ruoli di governo, tenendo conto dei principi fondamentali di indipendenza e imparzialità della magistratura” ed “espandere le restrizioni occupazionali per i membri del Parlamento”. Due temi – quelli delle toghe in politica e delle lobby – affrontati dalla bozza di legge sul conflitto d’interessi del M5s, mai calendarizzata in Parlamento.

A promuovere la legge Severino e l’Anac è anche l’ultimo rapporto di Transparency International del gennaio 2019, che riconosceva all’Italia il 53esimo posto al mondo per percezione della corruzione, con due punti guadagnati in un anno e 19 posizioni dal 2012. “C’è qualche segnale positivo ma è ancora poco. Siamo ancora agli ultimi posti, davanti a Slovacchia, Croazia, Romania, Ungheria, Grecia e Bulgaria”, diceva il guardasigilli Alfonso Bonafede. Trasparency, infatti, aveva focalizzato la sua analisi sul 2018: rimaneva dunque fuori dal periodo la legge Spazzacorrotti. Citata espressamente dal Gruppo di Stati contro la corruzione del Consiglio d’Europa (Greco) che, nel dicembre scorso hanno scritto nel loro dossier, che “si sarebbe potuta rivelare fondamentale per far avanzare ulteriormente la lotta contro la corruzione”. Quindici pagine in cui riconosceva all’Italia progressi “nella prevenzione della corruzione nel sistema giudiziario”. Poi avvertiva: “Molto resta ancora da fare per mettere in opera tutte le raccomandazioni che sono state rivolte, in particolare per quanto riguarda i parlamentari”. Insomma da Strasburgo arrivava una specie di “sei meno”, una sorte promozione con riserva: grasso che cola per il Paese che ha inventato Tangentopoli. D’altra parte i dossier misurano l’efficacia delle leggi anti-mazzette e non certo la scomparsa della corruzione. Che è in ottima salute.

 

 

Giuseppe Pipitone

Giuseppe Pipitone

Giornalista

Siciliano di mare aperto che si appassiona ad inspiegabili scogli, sono stato redattore de I Quaderni de L’Ora, mensile d’inchiesta palermitano erede dello storico quotidiano antimafia del pomeriggio. Dal 2010 scrivo sul Il Fatto Quotidiano, occupandomi di giudiziaria, politica, inchiesta e varia umanità. Per Editori Riuniti ho scritto Il Caso De Mauroche poi era anche la mia tesi di laurea. Per la Rai ho realizzato Maxi +25reportage sul Maxi Processo 25 anni dopo. Con Trattativa? Nenti sacciu! ho vinto Generazione Reporter, il premio per giornalisti emergenti ideato da Michele Santoro, mentre nel 2013 sono stato finalista del premio Roberto Morrionesezione del premio Ilaria Alpi. Nel 2014 mi è stata assegnata la Menzione Speciale del Premio Giornalismo d’Inchiesta Gruppo dello Zuccherificio. “La Juve è in vantaggio”, è probabilmente una delle frasi più felici mai udite nella mia infanzia, alla radio e non solo. Il sogno nel cassetto? Scrivere un romanzo. Prima o poi ci proverò.

 

 

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Il caso De Mauro. Così scompare un giornalista: un mistero lungo 41 anni

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