Jeremy Hance, 12 Dicembre 2013 — ::: Come ho incontrato il mammifero sopravvissuto ai dinosauri–NOTIZIE AMBIENTALI — è bello da leggere…

 

 

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Come ho incontrato il mammifero sopravvissuto ai dinosauri

 

 

Come ho incontrato il mammifero sopravvissuto ai dinosauri

 

 

La femmina di solenodonte di Hispaniola catturata da Nicolas Corona nella Repubblica Dominicana, mentre aspetta di essere attrezzata di radiocollare. Foto di: Tiffany Roufs.

La femmina di solenodonte di Hispaniola catturata da Nicolas Corona nella Repubblica Dominicana, mentre aspetta di essere attrezzata di radiocollare. Foto di: Tiffany Roufs.

 

 

E così eccomi qua a correre nella foresta, di notte, distante oltre 3.000 chilometri da casa. Questa foresta – fitta, secca e abbastanza spinosa da farti sanguinare – si trova pochi chilometri a nord di una città rurale nella parte più a occidente della Repubblica Dominicana, al confine con Haiti. Sto seguendo un cacciatore e guida locale– o almeno cerco di tenere il suo passo – alla ricerca di uno dei mammiferi più strani al mondo. E’ un animale di cui pochi hanno sentito parlare, ancora meno sono quelli che l’hanno effettivamente visto; perfino la maggior parte dei dominicani non riconosce facilmente il suo nome o la sua fotografia. Ma io ne sono ossessionato da sei anni: il suo nome è “solenodonte”, più precisamente solenodonte di Hispaniola o Solenodon paradoxus, appropriato nome scientifico.

 

 

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Un pallido sentiero, invaso dalla vegetazione, taglia la foresta ma noi non lo prendiamo. La mia guida – una versione dominicana di Indiana Jones – s’immerge invece rapida nella foresta, muovendosi come un fantasma tra rami, rampicanti e spine, su e giù per pareti rocciose, dentro e fuori aride gole. Io non mi muovo come quest’uomo, Nicolas Corona: attraverso la foresta urtando, inciampando, graffiandomi e cadendo. Se Nicolas salta oltre un burrone o semplicemente supera con grazia un albero caduto, io nel fossato ci cado dentro e devo risalire strisciando. Dove lui trova una strada tra cespugli di rovi, io resto incastrato. Una volta talmente incastrato che a ogni passo avanti incappo in un altro rampicante che mi blocca la gamba, il torace e non vuole saperne di spostarsi. Sono un buffone vicino a un abitante dell’Olimpo.

 

 

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Solenodonte attrezzato di radio collare e liberato. Foto di: Tiffany Roufs.
Solenodonte attrezzato di radio collare e liberato. Foto di: Tiffany Roufs.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nonostante i suoi pericoli, la foresta secca che attraversiamo correndo è sorprendentemente incantevole. Una pianta verde, non erba ma più simile al trifoglio, nota come erba d’ acqua, ricopre il terreno in questo periodo dell’anno. Bassi alberi dai rami contorti si incurvano intorno a noi. Larghe rocce emergono dal terreno creando talora delle piccole montagne. Lumache dai gusci coloratissimi, simili a conchiglie, pendono dagli alberi.

 

 

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Di tanto in tanto si sente il frullio di un uccello che, appollaiato su un ramo da qualche parte nelle vicinanze, s’innalza in volo spaventato dal rumore di due uomini che attraversano correndo la sua casa. La foresta è quasi a misura di hobbit, come costruita per piccole cose. Possiamo immaginare creature birichine, le fate e gli elfi della tradizione, vivere qui. Ed è questo il motivo per cui il posto sembra particolarmente adatto per lo strano, criptico, solenodonte con la sua faccia da muppet.

 

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Solenodonte deriva dal greco e significa “dente canicolato”. Gli è stato dato questo nome perché i suoi denti presentano solchi attraverso i quali può iniettare veleno, un po’ come fanno i serpenti: è l’unico mammifero al mondo capace di farlo. Ma non è questa la caratteristica più stupefacente di una creatura che molti potrebbero liquidare semplicemente come un grosso ratto. No, si tratta invece di questo: il solenodonte si è differenziato dagli altri mammiferi 76 milioni di anni fa. Ciò significa che, mentre dinosauri come il Tyrannosaurus Rex e il Triceratopo vagavano per il Nord America, il solenodonte aveva già creato la sua nicchia evolutiva, sopravvivendo a cataclismi, invasioni e distruzioni per arrivare a percorrere ancora oggi le foreste dell’isola caraibica di Hispaniola (dove mi trovo) e di Cuba, relativamente immutate. Non è neanche un roditore, appartenendo invece a un ordine di mammiferi (Soricomorpha) che comprende toporagni e talpe, pur rimanendo abbastanza distinto da costituire una famiglia a sé, quella dei Solenodontidi.

 

Da un punto di vista evoluzionistico, il solenodonte è uno dei più antichi mammiferi della Terra; la sua attuale forma non è molto diversa da quella che, 76 milioni di anni fa, sarebbe stata ignorata con noncuranza da un T-Rex. Eppure, mentre il T-Rex è scomparso, in qualche modo questo piccolo mammifero – questa velenosa meraviglia dal lungo muso – è riuscito a resistere all’asteroide che fece fuori i dinosauri, alla separazione dell’America settentrionale, alla deriva delle isole caraibiche, all’arrivo dei primi esseri umani, i Taino, all’invasione di Colombo e alla conseguente trasformazione dell’isola. Non c’è da meravigliarsi se questo piccolo animale è stato soprannominato “l’ultimo sopravvissuto”.

 

Oltre al veleno, il solenodonte è anche dotato nella punta del naso di un’articolazione ossea molto mobile, soprannominata “proboscide ossea”, che è assolutamente unica nel regno animale. Questa articolazione consente al solenodonte di muovere con destrezza il muso quando fruga il terreno in cerca di insetti, aracnidi e larve. E’ interessante che questo osso si trovi solo nel solenodonte di Hispaniola e non in quello di Cuba. E’ anche stata avanzata l’ipotesi che i solenodonti usino il loro peculiare verso, a base di schiocchi e fischi, come sistema di eco localizzazione per catturare le loro prede nell’oscurità.

 

Una lumaca arcobaleno dagli splendidi colori (Liguus virgineus) aggrappata a un albero nella foresta tropicale della Repubblica Dominicana. Foto di: Tiffany Roufs.
Una lumaca arcobaleno dagli splendidi colori (Liguus virgineus) aggrappata a un albero nella foresta tropicale della Repubblica Dominicana. Foto di: Tiffany Roufs.

 

Nicolas si ferma improvvisamente e si accende una sigaretta. Il bagliore arancione illumina per un attimo il suo profilo: barba incolta, sulla quarantina, occhi visionari e brillanti e cappello alla Che Guevara. In questo preciso momento ho la strana sensazione di essere dentro un film sul Vietnam, la punta della sigaretta accesa che squarcia il buio della foresta tropicale.

“Aspettami qui. Io vado. Torno a prenderti.” dice Nicolas e prima che io abbia il tempo di rispondere è già andato via. In pochi momenti non riesco più a vedere neanche la luce della sua torcia frontale. Anche se sono rimasto solo, di notte, nel mezzo di una foresta, non sono troppo preoccupato; forse è l’adrenalina o forse sono solo fiducioso che Nicolas non mi perderà. Cerco un modo per sistemarmi a terra, ma c’è solo sottobosco e per qualche motivo non voglio sedermici sopra, preoccupato di danneggiarlo. Mi accuccio e aspetto nel buio, la torcia spenta. Non mi annoio: ascolto la foresta, guardo le stelle e sento in lontananza risuonare la musica proveniente dalla città più vicina, Pedernales, distante solo pochi chilometri. Passa qualche minuto e Nicolas è di ritorno.

Cominciamo a muoverci di nuovo insieme. A un certo punto, Nicolas si ferma e punta la torcia di fronte a sé.

“Iguana” dice. “Oggi”. Mentre passa la sua mano sull’erba emette un suono sibilante. Io non vedo grandi differenze, ma chiaramente Nicolas è in grado di dire che un’iguana è passata qui da poco. “Una grande” aggiunge.

Cosa ancora più importante per il nostro compito, Nicolas può dire quanto sono vecchie le tracce lasciate dal naso del solenodonte sul terreno, fino a determinare esattamente a quale notte risalgano. “Queste hanno una settimana” mi dice. Un’altra volta, senza fiato: “Oggi”.

 

Il todo becco largo (Todus subulatus) abita le stesse foreste del solenodonte. Anche questa è una specie endemica di Hispaniola. Foto di: Tiffany Roufs.

Il todo becco largo (Todus subulatus) abita le stesse foreste del solenodonte. Anche questa è una specie endemica di Hispaniola. Foto di: Tiffany Roufs.

 

E poi si ferma, ascolta, si muove un po’, si ferma di nuovo e ascolta. Fa lo stesso un paio di volte. Trovare un solenodonte non è facile. Animale notturno, delle dimensioni di un coniglio, che si nasconde facilmente nel sottobosco: la ricerca sembra quasi inutile. Ma Nicolas, e altri membri della sua squadra, possono effettivamente sentire i solenodonti muoversi in mezzo all’ammasso di foglie secche e alla boscaglia incolta, se sono abbastanza vicini. Se piove le ricerche vengono annullate, perché le zampe di solenodonte non fanno alcun rumore sul terreno bagnato.

Improvvisamente, Nicolas scatta in azione: si tuffa nella boscaglia, rovistando con le mani, i piedi che lo spingono in avanti. Lo osservo tentare di prenderne uno – di notte, nel fitto sottobosco e a mani nude – e devo dire di non essere sorpreso quando viene fuori a mani vuote, pur essendo allo stesso tempo deluso.

“Due” dice. Poi, dopo aver bestemmiato in spagnolo, spiega: “Scappati.”

Dopo questa delusione, Nicolas mi riporta indietro alla strada dove la squadra ha parcheggiato. Lì mia moglie, il nostro autista e Rosalind Kennerley, il capo di questa impresa, ci aspettano vicino alla macchina. Kennerley sta studiando il solenodonte per il suo PhD all’università di Reading ed io non sarei qui se non fosse per le sue ricerche sul campo. Lei e i suoi assistenti, tra cui Nicolas, il figlio e il cugino (è un affare di famiglia), fanno questo – e per questo, intendo provare a catturare solenodonti – quasi tutte le notti. Kennerley poi mette agli animali catturati un radio collare, così da poter tracciare i loro movimenti.

Alla macchina li aggiorniamo sui nostri progressi e mia moglie mi porge una bottiglia d’acqua, che io stupidamente ho dimenticato di portare con me. Mentre parliamo cerca di staccare quante più spine può dalla mia maglietta. Fatica inutile, visto che qualche minuto dopo Nicolas mi fa cenno e torniamo indietro verso la foresta. Lungo la strada punta la sua torcia su ogni tarantola che incontriamo: per mostrarmi quante ce ne sono o forse semplicemente per evitare che restino schiacciate sotto i nostri piedi. E poi siamo di nuovo al riparo degli alberi, dove le tarantole non si trovano facilmente. Quindi, la danza ricomincia: scattare, frugare, aprirsi un varco nel bosco, in cerca della nostra preda preistorica.

Mi rendo conto adesso che la mia presenza in questa caccia è assolutamente superflua. Non c’è niente di niente che io possa fare per aiutare Nicolas a tracciare il solenodonte, trovarlo e metterci le mani sopra. Sono solo un osservatore in questa impresa e di fatto probabilmente anche un intralcio, con il mio respiro e la mia corsa tanto più rumorosi dei suoi. Benché si tratti di un pensiero abbastanza ovvio, c’è voluto un po’ perché me ne rendessi conto. Probabilmente volevo credere di poter essere di qualche aiuto. Questo pensiero mi permette però anche di lasciarmi andare, di camminare rapido dietro Nicolas nella foresta senza preoccuparmi se troveremo o no il mitico solenodonte, per vedere il quale ho fatto un viaggio così lungo: è semplicemente fuori dalla mia portata.

 

 

Tarantola sul bordo della strada. Foto di: Tiffany Roufs.

Tarantola sul bordo della strada. Foto di: Tiffany Roufs.

 

La mia mente quasi si svuota mentre mi faccio strada urtando, spingendo, abbassandomi, senza quasi accorgermi del tempo che passa. Da quanto tempo andiamo avanti così? Venti minuti? Tre ore? O di più? Non sarebbe ora di dichiarare semplicemente conclusa questa nottata e sperare di aver maggior fortuna domani?

Ci fermiamo: lui punta la sua torcia verso un paio di tracce di naso sul terreno, che nelle ultime ore sono diventare familiari, quasi prosaiche. “La notte scorsa” dice. Poi, dopo una pausa: “No, no, no. Stanotte.” E con questo la lunga, faticosa, ipnotica ricerca prende improvvisamente un’intensità tale da tirare su il mio morale in discesa. Nicolas mi dice di aspettare e fa qualche passo avanti, puntando qua e là la sua torcia, ascoltando con orecchie che sembrano percepire suoni da me mai uditi. Improvvisamente, si getta dentro un cespuglio di rovi gridando “Qui. Qui. Qui.”. Non riesco a capire, sul momento, se vuole che io faccia qualcosa. Che potrei fare, ad ogni modo? Ma lui grida così insistentemente che mi trovo a tuffarmi goffamente tra i rovi, sperando forse, con un po’ di fortuna magari, che i miei maldestri movimenti spingano il solenodonte spaventato dritto tra le sue mani.

Poi, all’improvviso, ecco risuonare gioiose grida di successo – in spagnolo o inglese o in qualche bizzarra combinazione delle due lingue. Nicolas spunta fuori dai cespugli, dove alla fine si era praticamente disteso, con qualcosa in mano. Mi sforzo di avvicinarmi, la torcia puntata su di lui e poi lo vedo, proprio come lo avevo immaginato: una bestiola grossa come un ratto, dal pelo rossiccio, i piccoli occhi luccicanti e il naso straordinariamente abile. In due parole: il solenodon paradoxus o solenodonte di Hispaniola.

“Prendilo” dice Nicolas porgendomi il solenodonte – il sopravvissuto antidiluviano, il mammifero che scorrazzava tra i piedi dei dinosauri.

“No, no, no” rispondo io “Va bene così. Non c’è bisogno che lo prenda in mano”.

“Sì, prendilo per la coda” mi dice, il viso arrossato dall’eccitazione per il recente successo. Tenuto per la coda da Nicolas, l’animale pende a testa in giù. I ricercatori prendono sempre i solenodonti dalla coda per evitare brutti morsi, ma anche perché apparentemente in questa posizione l’animale è molto meno stressato, si agita e scalcia un po’, ma è silenzioso e relativamente docile, più disorientato che altro. Non sembra provare dolore o paura, non come quando lo afferri per la testa o il corpo, perché ovviamente la coda ha meno nervi.

“Devo metterlo qui dentro.” Con la mano libera regge un sacco di tela.


Solenodonte nel sacco – letteralmente. Foto di: Tiffany Roufs.
Solenodonte nel sacco – letteralmente. Foto di: Tiffany Roufs.

Io devo ancora avere l’aria incredula, ma lui mi blandisce: “Va bene, va bene. Per la coda va bene.”

Così mi ritrovo a fare qualcosa che avevo giurato di non fare: tenere in mano un solenodonte. Una cosa è voler vedere un animale in natura, tutt’altra faccenda è toccarlo – non ha mai frequentato un corso su come maneggiare un solenodonte.

Lei – perché poi si rivelerà essere una lei – è molto più pesante di quanto pensassi e si divincola mentre la tengo per la coda.

Nicolas apre il sacco e con un paio di movimenti riesce a farglielo scivolare sopra. Io la lascio andare e in un attimo il sacco è chiuso. Siamo pronti a tornare indietro dal gruppo, che avrà probabilmente sentito i nostri urrà vittoriosi, quando la mano di Nicolas va verso la sua cintura.

“Il tuo machete?” chiedo.

“Sì. Sì.” Non c’è più, deve averlo perso in mezzo ai rovi. “Vado a dare un’occhiata” dice e mi porge il solenodonte nel sacco. Mentre sparisce nell’oscurità della foresta, gli occasionali lampi della sua torcia unico segno che non è stato inghiottito per sempre, me ne sto lì fermo pensando un po’ instupidito: “Sto tenendo un solenodonte in un sacco. Sto tenendo un solenodonte in un sacco. Sto tenendo un solenodonte in un sacco.” Anni di ossessione, mesi di pianificazione, migliaia di chilometri per mare e per terra, hanno condotto a questo singolo momento.

Si dimena un paio di volte: posso sentire e intravedere il contorno dei suoi artigli ricurvi che cercano di scavare attraverso il sacco di tela come farebbero, con più successo, per aprirsi una buca nel terreno. Sono sempre fermo in preda allo stupore – pur chiedendomi di tanto in tanto se Nicolas non dovrebbe lasciar perdere la caccia la machete, quanto può costare un machete? Ha forse un valore personale? – quando eccolo ritornare con il machete in mano. Solo più tardi scoprirò che ha avuto lo stesso machete per anni e non lo ha mai abbandonato. Adesso però sta urlando alla squadra che ci aspetta lungo la strada e che si starà chiedendo cosa sia successo, dato l’improvviso silenzio.

Sì, abbiamo un solenodonte. Sì, stiamo tornando indietro. Dovevo solo recuperare il mio machete. Immagino che dica qualcosa del genere, visto che ha il machete in una mano e il sacco con il solenodonte nell’altra mentre apre per noi il sentiero che ci porterà più rapidamente alla strada.


Yimell Corona, assistente di campo, da’ un occhiata. Foto di: Tiffany Roufs.
Yimell Corona, assistente di campo, da’ un occhiata. Foto di: Tiffany Roufs.

Quando arriviamo, tutti sembrano molto sollevati, quasi festosi. Ros ha già aperto il suo kit e sta rovistando tra il suo equipaggiamento. Mentre aspettiamo che sia pronta, Nicolas racconta la storia della cattura in spagnolo. Il solenodonte resta nel sacco fino a quando tutto è pronto.

Quando è il momento, Nicolas, suo figlio e il cugino tirano via il sacco con cautela. Tenuta nuovamente per la coda, lei agita le zampe freneticamente verso la strada.

“Femmina” dice Ros. “Si vedono le mammelle qui, nella parte bassa del corpo.”

E’ bellissima: piccoli, profondi occhi neri; pelo marrone scuro che vira gradualmente all’arancione intorno alla faccia e alle zampe anteriori; una chiazza bionda, sua caratteristica unica , sulla parte destra della testa. Piccole orecchie, lunghi artigli a falce e un lungo naso flessibile completano questo delizioso piccolo gremlin.

L’intero gruppo è in uno stato di euforia, scherzano e le fanno le feste mentre Ros prepara l’attrezzattura. Ben presto il lavoro di ricerca deve iniziare e gli uomini quindi la afferrano, con delicatezza ma fermamente, per il corpo e per la testa.

“Adesso potrebbe strillare un po’” ci avverte Ros.

E in effetti così è. L’animale caccia un grido incredibilmente forte e acuto, come il lamento di una prefica, mentre Ros e gli uomini lavorano con estrema rapidità per metterle il radio collare attorno al collo. Il suono, un urlo lacerante che esprime allarme e rabbia, ti fa rendere conto di quanto poco, in confronto, il solenodonte sia disturbato se lo si tiene per la coda. Sputa veleno sul terreno e defeca, mentre prova a liberarsi, ma poi è tutto finito, il collare è sistemato sul collo, ben fissato e funzionante. Saranno passati forse trenta secondi. La tengono su di nuovo per la coda e lei si calma rapidamente.

Nicolas Corona posa con il solenodonte equipaggiato di collare. In basso a destra si nota l’impugnatura del suo fidato machete. Foto di: Ros Kennerley.
Nicolas Corona posa con il solenodonte equipaggiato di collare. In basso a destra si nota l’impugnatura del suo fidato machete. Foto di: Ros Kennerley.

 

 

 

Seguiamo Nicolas mentre riporta la femmina di solenodonte, appena dotata di collare, nella foresta. La posa per terra, le zampe anteriori per prime, e la lascia andare. Lei trotterella rapidamente attraverso il sottobosco, supera un paio di rocce e poi è andata. E’ di nuovo libera, ma ora i suoi movimenti diranno a Ros qualcosa su questo individuo: quanto lontano si spinge? Quante tane diverse ha? Quanta foresta usa per foraggiarsi? Benché apparentemente banali, queste domande sono di estrema importanza per una specie a rischio di estinzione che gli scienziati conoscono molto poco.

Appena lei scompare, c’è come un calo improvviso di tensione. L’animale che per anni ho sognato di poter vedere, il mammifero grande quanto un coniglio venuto dal Cretaceo, per il quale ho viaggiato più di tremila chilometri, in pochissimo tempo è arrivato e ripartito, tornato alla sua vita, spero solo minimamente peggiorata dopo la sua improvvisa e breve collisione con uno sparuto gruppo di esseri umani. E adesso anche noi dobbiamo tornare alle nostre vite. La mezzanotte è già passata. Catturato il solenodonte, è tempo di rientrare a Pedernales, mangiare qualcosa (sono affamato) e andare a letto. Ma mentre dormo – non tanto bene in realtà – per tutta la notte penso a lei, a quel piccolo solenodonte, l’enigmatico sopravvissuto, l’accattivante creatura che ha avuto la tenacia di sopravvivere a numerosi sconvolgimenti climatici e geologici e tiene ancora duro di fronte alla crescente espansione della presenza umana. Non posso fare a meno di sognare del suo coraggio fino a quando all’alba non vengo svegliato dall’incessante canto di un gallo in cerca di attenzione.

 

 

 

Post scriptum: riuscirà il solenodonte a sopravvivere all’Antropocene?

 

Il solenodonte. Foto di: Tiffany Roufs.
Il solenodonte. Foto di: Tiffany Roufs.

 

Sebbene il solenodonte sia sopravvissuto alla meteora che ha ucciso i dinosauri, potrebbe non farcela a superare l’Antropocene, l’era degli umani. Il solenodonte attualmente è classificato come Endangered (minacciato) nella Lista Rossa dell’UICN ma, benché conosciute alla scienza sin dal 1830, le sue due specie (la Hispaniola e quella ancora più in pericolo che vive a Cuba) sono state oggetto di pochissime ricerche scientifiche e ancor minori interventi di conservazione, almeno fino a tempi molto recenti.

Nel 2009 lungimiranti conservazionisti lanciarono il programma denominato “Gli Ultimi Sopravvissuti”, il primo programma di ricerca e conservazione incentrato sul solenodonte e sulla hutia (un roditore che vive sugli alberi e che somiglia a un grosso porcellino d’india) di Hispaniola. Il programma era una partnership tra il Durrell Wildlife Conservation TrustSociedad Ornitológica de la Hispaniola, la Sociedad Ornitológica de la Hispaniola e il programma EDGE, della Zoological Society di Londra. Senza questo programma non sarei mai finito a inseguire solenodonti nella Repubblica Dominicana.

Samuel Turvey, uno dei leader del progetto “Gli Ultimi Sopravvissuti” ed esperto di mammiferi dei Caraibi in via di estinzione, recentemente ha detto a mongabay.com: “Il solenodonte è stato a lungo avvolto in un alone di mistero all’interno della comunità zoologica mondiale e molti esploratori che in passato hanno visitato Hispaniola l’hanno descritto come uno dei mammiferi più rari al mondo”.

Eppure, nessuno aveva intrapreso studi sistematici della popolazione di solenodonti fino a questo progetto, che di fatto ha portato alla luce buone notizie per i solenodonti della Repubblica Dominicana.

I solenodonti “non sono così minacciati come pensavamo quando il progetto “Gli Ultimi Sopravvissuti” è iniziato”, ha detto Jose Nunez-Mino, il responsabile di campo del progetto. “I solenodonti sono presenti in aree più numerose di quello che credevamo […]. Se le prove che abbiamo raccolto sono accurate, questa è una enorme opportunità per garantire la sopravvivenza della specie, invece di doverla salvare dal baratro dell’estinzione, che sarebbe una situazione molto più disperata.”

 

 


Ros Kennerley lavora rapidamente per preparare il radio collare per il solenodonte. Foto di: Tiffany Roufs.
Ros Kennerley lavora rapidamente per preparare il radio collare per il solenodonte. Foto di: Tiffany Roufs.

Nonostante ciò, le minacce contro il solenodonte si stanno moltiplicando ed estendendo.

La Repubblica Dominicana ha una vasta e diffusa rete di aree protette – circa un quarto del Paese è in qualche modo sotto protezione – ma questi parchi sono minacciati da specie invasive, deforestazione, sviluppo e dall’avanzare della popolazione umana. In futuro i risultati delle ricerche di Ros Kennerley saranno vitali per scoprire quali siano i requisiti dell’habitat ideale per la sopravvivenza del solenodonte.

“Sarebbe folle cadere nella tentazione di pensare che [il solenodonte] sia fuori pericolo,” afferma Nunez-Mino. “I fossili ritrovati suggeriscono che alcune delle specie mammifere di Hispaniola ora estinte un tempo erano anche più comuni del solenodonte; non sappiamo perché siano scomparse ma riteniamo che ciò sia avvenuto molto rapidamente”.

In effetti gli scienziati hanno scoperto che l’isola di Hispaniola un tempo era una vera e propria miniera di mammiferi, tra cui bradipi terrestri, diverse specie di hutia (perfino una grande come un orso), ratti del riso, toporagni delle Indie occidentali, una scimmia e anche una specie più piccola di solenodonte. Ma l’arrivo degli umani circa 6.000 anni fa e l’invasione europea 4.500 anni più tardi portarono ondate di estinzione, via via che le foreste cadevano, specie invasive venivano introdotte e alcune specie venivano in poco tempo semplicemente mangiate fino all’estinzione. Oggi solo due mammiferi nativi sopravvivono: il Solenodon paradoxus e la Plagiodontia aedium la hutia di Hispaniola, l’ultima della famiglia delle hutie ancora presente sull’isola.

 

I conservazionisti del programma “Gli Ultimi Sopravvissuti” sono determinati a non perdere le due specie rimaste. Esse devono, però, competere con una popolazione di 20 milioni di abitanti, che cresce al ritmo annuale dell’1,3 percento. Questo sta mettendo in pericolo le residue foreste dell’isola, soprattutto nella porzione occidentale della Repubblica Dominicana, vicino al confine con Haiti. L’estrema povertà di Haiti – il Paese più povero dell’emisfero occidentale – spinge gli immigranti a spostarsi nelle foreste circostanti, protette e non.

Turvey afferma che quelle foreste “subiscono una grave pressione in particolare a causa dei disboscamenti per la produzione di carbone vegetale”

Ros Kennerley aggiunge che la situazione è più complicata di quello che potrebbe sembrare di primo acchito.

“Nella Repubblica Dominicana spesso sono gli haitiani a disboscare le foreste per ottenere carbone vegetale, sia legalmente su terreni di proprietà privata sia illegalmente all’interno dei confini dei parchi nazionali, ma a trarne profitto sono tanto haitiani quanto dominicani” ci spiega. “I soldi possono venire non solo dal carbone in sé ma anche dalla successiva messa a coltivazione della terra liberata bruciando gli alberi”.


Yimell Corona, assistente di campo, tiene il solenodonte per la coda: questa infatti è la posizione meno stressante per l’animale, secondo gli esperti. Foto di: Tiffany Roufs.
Yimell Corona, assistente di campo, tiene il solenodonte per la coda: questa infatti è la posizione meno stressante per l’animale, secondo gli esperti. Foto di: Tiffany Roufs.

Oltre che per soddisfare la domanda di carbone vegetale, le foreste cono tagliate per fare spazio all’agricoltura. Kennerley ci indica, ad esempio, il Parco Nazionale Sierra de Bahoruco che subisce il disboscamento illegale per la coltivazione di avocado destinati all’esportazione.

Tuttavia, continua Kennerley, “il terreno si impoverisce rapidamente con le coltivazioni, talora anche solo dopo un paio di raccolti.”

Anche laddove l’habitat del solenodonte resta intatto e ben protetto, questo mammifero sotto minaccia deve comunque affrontare altre specie che per 60 milioni di anni è riuscito a evitare. Con l’arrivo degli esseri umani, l’isola è stata invasa da cani, gatti, manguste e ratti.

“Al pari di molte altre specie insulari, i solenodonti originariamente si sono evoluti in assenza di altri mammiferi predatori e quindi l’introduzione di tali specie da parte dell’uomo è stata disastrosa” spiega Turvey, e aggiunge: “I solenodonti sembrano essere particolarmente minacciati dai cani di fattoria che vengono lasciati liberi nelle terre destinate all’agricoltura per uccidere le manguste (un altro mammifero invasivo) ma che uccidono allo stesso modo anche specie native.”

Come in molti Paesi in via di sviluppo, i cani randagi – che raramente vengono castrati – nella Repubblica Dominicana sono onnipresenti con impatti incalcolabili sulla biodiversità locale. Per capire meglio l’impatto di questi canidi semi-selvatici, il ricercatore Jess Knapp dell’Università dell’East Anglia recentemente ha dotato di collari GPS alcuni cani allo stato brado della regione e attualmente sta analizzando i loro movimenti.

Anche i gatti sono comuni in questo Paese ma non sembrano essere una minaccia altrettanto grave per i solenodonti.

I ricercatori e conservazionisti del programma Ultimi Sopravvissuti, oltre ad essere stati i primi a documentare l’areale del solenodonte e i principali fattori di pericolo per lo stesso, hanno anche fatto una rilevante scoperta: il solenodonte sopravvive anche oltre il confine haitiano, anche se a malapena. Nel 2007 il gruppo di ricercatori ha trovato nell’ultima foresta di Haiti eloquenti impronte di naso e tre solenodonti morti, tra cui uno mangiato da un contadino.


Nicolas Corona (sulla destra) e un altro assistente di campo, Ramon 'Moncho' Espinal (a sinistra), con un solenodonte catturato a mani nude. Foto di: Rosalind Kennerley.
Nicolas Corona (sulla destra) e un altro assistente di campo, Ramon ‘Moncho’ Espinal (a sinistra), con un solenodonte catturato a mani nude. Foto di: Rosalind Kennerley.

“L’ultima popolazione conosciuta di solenodonti a Haiti si trova nel Massif de la Hotte, una regione montuosa isolata nell’estremo sud-ovest del Paese, che presenta i più alti livelli di endemismo di tutto il mondo” spiega Turvey. “Tuttavia, il massiccio subisce forti pressioni a causa dell’estrazione di carbone e delle sue foreste rimane molto poco.”

Turvey aggiunge che ” A Haiti la conservazioni è una sfida estremamente difficile, ma molto importante”.

Il solenodonte si trova ancora in un ultimo luogo: Cuba. Qui una specie distinta, il solenodonte di Cuba (Solenodon cubanus), sopravvive a malapena: classificato come Critically Endangered (in pericolo d’estinzione), era già stato considerato estinto prima di essere riscoperto negli anni ’70. Nonostante facciano parte della stessa famiglia (e condividano un unico genus) il solenodonte di Cuba e quello di Hispaniola in realtà si ritiene siano separati da 25 milioni di anni di evoluzione, cosa che li rende più distanti della divisione tra le scimmie del Vecchio Mondo, come babbuini e macachi, e i grandi primati come i gorilla, gli orango tango, e noi.

“C’è il bisogno urgente di condurre ricerche di campo su larga scala per capire meglio lo status di queste popolazioni e le principali minacce che [il solenodonte di Cuba] deve affrontare”.

Ma anche il solenodonte di Hispaniola – che ha conosciuto una breve ondata di popolarità guadagnandosi anche un posto nell’arca immaginaria di David Attenborough (dove il noto documentarista sceglie dieci specie che salverebbe dall’estinzione) – rischia di essere improvvisamente trascurato. Il progetto “Gli Ultimi Sopravvissuti” è terminato alla fine del 2012, culminando in un incontro nazionale per discutere la conservazione delle specie.

“Uno dei prodotti finali del progetto sugli ultimi sopravvissuti è stato un Piano d’Azione per le specie sotto Creative Commons 3.0, che ha coinvolto molti soggetti interessati provenienti da organizzazioni governative, non governative e dalla società civile” spiega Nunez-Mino. “Ci sono progetti ancora attivi gestiti da svariate organizzazioni impegnate nel progetto.”

La casa del solenodonte si trova spesso nel variegato paesaggio della Repubblica Dominicana: foreste, terreni agricoli e pascoli. Foto di: Tiffany Roufs.
La casa del solenodonte si trova spesso nel variegato paesaggio della Repubblica Dominicana: foreste, terreni agricoli e pascoli. Foto di: Tiffany Roufs.

 

Con la chiusura del programma il solenodonte è ancora una volta privo di azioni di conservazione mirate, ma il progetto ha creato una maggiore consapevolezza riguardo a queste specie, a livello locale e internazionale. Nel frattempo il Gruppo Speciale Piccoli Mammiferi, creato all’interno della Commissione per la Salvaguardia delle Specie dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (UICN), fornirà su base permanente consulenza sulla conservazione del solenodonte.

Nunez-Mino aggiunge che “c’è anche la speranza che il Ministro per l’Ambiente [della Repubblica Dominica] possa essere più proattivo nella conservazione a lungo termine di queste specie uniche”

Al momento, tuttavia, il governo non sembra prendere sul serio la conservazione del solenodonte. In effetti di recente il Ministro per l’ Ambiente della Repubblica Dominicana, Bautista Rojas Gómez, ha mandato i bulldozer a distruggere una porzione della Riserva Biologica di Charco Azul, che ospita specie di iguana ad alto rischio di estinzione e una popolazione recentemente confermata di solenodonti.

“In definitiva la biodiversità endemica di Hispaniola sopravvivrà soltanto se il Paese riuscirà a preservare habitat forestale di buona qualità in misura sufficiente” nota Turvey “Preservare le bellissime e uniche foreste della Repubblica Dominicana è una priorità per la conservazione e richiede un sostegno forte e proattivo da parte del governo, altrimenti questi ecosistemi chiave rischiano di degradarsi e andare perduti nel prossimo futuro.”

In conclusione la maggiore minaccia alla sopravvivenza del solenodonte è l’anonimato. Se la tigre non fosse stata universalmente amata e protetta attraverso leggi, creazioni di parchi, impegni da parte dei governi e centinaia di milioni di dollari, ora sarebbe estinta. Tuttavia, la tigre è anche uno degli animali più riconoscibili: è grande, bellissima, e stimola l’immaginario comune dell’uomo. La maggior parte delle specie esistenti non può dire lo stesso e tra queste il solenodonte. Ma se dovessimo perdere questo fossile dal buffo muso ci priveremmo non solo di una specie unica, ma anche di una vera e propria meraviglia della natura, testimonianza vivente della tenacità della vita.

Animale notturno che si camuffa facilmente, il solenodonte è quasi impossibile da avvistare, figuriamoci catturare. Foto di: Tiffany Roufs.
Animale notturno che si camuffa facilmente, il solenodonte è quasi impossibile da avvistare, figuriamoci catturare. Foto di: Tiffany Roufs.

 

 

Il solenodonte ha le dimensioni di un coniglio. Foto di: Tiffany Roufs.
Il solenodonte ha le dimensioni di un coniglio. Foto di: Tiffany Roufs.

 

Foreste carsiche e mangrovie: anche il Parco Nazionale Los Haitises ospita il solenodonte. Questo sopravvissuto dell’era dei dinosauri è stato avvistato in molte più parti del Paese di quanto ci si aspettasse. Foto di: Jeremy Hance.
Foreste carsiche e mangrovie: anche il Parco Nazionale Los Haitises ospita il solenodonte. Questo sopravvissuto dell’era dei dinosauri è stato avvistato in molte più parti del Paese di quanto ci si aspettasse. Foto di: Jeremy Hance.

 

 

 

Solenodonte di Hispaniola. Foto di: Jose Numez-Mino.
Solenodonte di Hispaniola. Foto di: Jose Numez-Mino/Creative Commons 3.0.