+++ ORIETTA MOSCATELLI, L’accordo Ankara-Tripoli sulle “aree di giurisdizione marittima” preoccupa il Cremlino: se la Turchia lancia un’offensiva sul Mare Nostrum, Mosca non può stare a guardare. — LIMES ONLINE DEL 17 GENNAIO 2020

 

LIMES ONLINE DEL 17 GENNAIO 2020

http://www.limesonline.com/libia-russia-putin-haftar-accordo-petrolio/116244

 

Putin in Libia ha mancato il colpo grosso

 

Carta di Laura Canali

Carta di Laura Canali.

 

 17/01/2020

Al presidente russo il paese nordafricano interessa in ottica mediterranea. L’accordo Ankara-Tripoli sulle “aree di giurisdizione marittima” preoccupa il Cremlino: se la Turchia lancia un’offensiva sul Mare Nostrum, Mosca non può stare a guardare.

 

di Orietta Moscatelli

ARTICOLI, RUSSIA, LIBIA, PETROLIO, ENERGIA, MEDITERRANEO, MARI, AFRICA, RUSSIA E CSI

Il colpo grosso questa volta non è riuscito.

 

La Russia ha dovuto incassare un sostanziale ‘no’ del generale Khalifa Haftar alla proposta di un cessate-il-fuoco generale in Libia patrocinato assieme alla Turchia e sottoscritto invece il 13 gennaio a Mosca dal presidente del governo di accordo nazionale, Fayez al-Sarraj.

 

Dopo oltre 7 ore di negoziati nella Casa dei ricevimenti del ministero degli Esteri russo, il comandante dell’Esercito nazionale libico ha chiuso la porta senza far troppo rumore, chiedendo tempo per ragionare assieme ai suoi sulla tregua. Ma alla fine ha preferito il rinvio al tavolo allargato di Berlino, convinto di poter negoziare qualche concessione in più rispetto al documento presentato alle due delegazioni libiche da Russia e Turchia.

 

Un documento stilato essenzialmente da Ankara, fanno filtrare fonti russe, forse per limitare la portata dello smacco, probabilmente anche per contrastare la generale convinzione che Haftar sia il vero uomo del Cremlino in Libia e che senza i mercenari russi del Gruppo Wagner il generale di Bengasi non sarebbe arrivato a un passo dalla presa di Tripoli.

 

”Se ci sono russi in Libia, non rappresentano lo Stato russo e non sono pagati dallo Stato”, ha detto di recente Vladimir Putin, confermando in qualche modo l’esistenza dei miliziani addetti ad affari mai chiari in varie parti del mondo e allo stesso tempo prendendone le distanze.

D’altronde Haftar, dopo la giornata negoziale moscovita che pare abbia stremato anche l’instancabile ministro Lavrov, il 14 gennaio è volato in Giordania, dove gli emissari degli Emirati arabi sono di casa.

 

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GLI EMIRATI ARABI UNITI sono composti da sette emirati: Abu Dhabi, Ajman, Dubai, Fujaira, Ras al-Khaima, Sharja e Umm al-Qaywayn. La capitale è Abu Dhabi

 

 

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Nella cartina sopra, gli Emirati Arabi Uniti sono in giallino

 

 

Forse la diplomazia di Putin ha sottovalutato proprio il ruolo e la determinazione degli emiratini,i cui droni operano in Libia fin dal 2014 e nella campagna di Haftar per Tripoli hanno fatto team con gli F-16 egiziani.

Né Abu Dhabi né tantomeno il Cairo hanno infatti interesse ad accettare una tregua imposta in sostanza dal turco Erdogan e, malgrado le garanzie che il Cremlino non avrà mancato di dare, hanno declinato. A tempo richiesto scaduto, l’uomo forte della Cirenaica ha ringraziato “il caro amico Putin” per averci provato e arrivederci a Berlino.

 

L’Unione Europea,  malgrado le divisioni e la sostanziale assenza per anni, sta cercando di riprendere in mano il filo diplomatico e con la regia della Germania ha invitato tutti alla conferenza nella capitale tedesca.

Un po’ ammaccata nel suo crescente orgoglio mediorientale, la Russia ha subito abbozzato. In fondo, dicono a Mosca, le basi per la riunione a Berlino sono state poste con la richiesta russo-turca di tregua, il ruolo degli “attori regionali” ora è evidente a tutti e questo fischia la fine della gara italo-francese, fuori tempo massimo già da mesi.

Chiedendo con insistenza che qualsiasi esito del consesso berlinese sia poi inviato al Palazzo di Vetro per il timbro Onu, i russi contano di portare avanti “il dialogo nazionale omnicomprensivo, volto a provare soluzioni di compromesso sulla base delle norme del diritto internazionale”, come da formula ufficiale del ministero degli Esteri.

In pratica, il gioco su due tavoli (con Al-Serraj e con Haftar) aspettando che il quadro si chiarisca, rafforzando nel frattempo posizioni e interessi.

 

Ma cosa vuole Putin in Libia? Molto. E senza esporsi più di tanto.

Si racconta che quando quattro anni fa i vertici militari gli avrebbero proposto di considerare un’operazione militare libica per creare una base nell’Est già controllato da Haftar, il presidente russo avrebbe opposto un secco rifiuto. Poi le cose si sono complicate: il crescente coinvolgimento di potenze regionali, l’inconsistenza dell’Ue e l’indeterminatezza americana hanno convinto Putin che la partita andava giocata e l’uomo forte della Cirenaica è diventato frequente ospite nella capitale russa.

 

Insomma, il leader del Cremlino ha realizzato che in Libia poteva capitalizzare.

Sia in termini di influenza regionale sia con nuove opportunità per le aziende russe, settore energetico in primis. Quindi ha deciso di coltivare la parte più promettente, ovvero entrambe, tenendo costanti rapporti con Tripoli e dosando con cura il supporto (ufficialmente smentito) ad Haftar, per mantenere alte le quotazioni russe sul campo e nei negoziati.

 

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L’attivismo russo è servito anche a tessere relazioni con le varie tribù ed etnie, moltiplicando i contatti anche nel Sud. I russi hanno messo in campo una discreta presenza nel Fezzan, la regione dove i confini sono pura teoria e si incrociano traffici di ogni genere, ma cruciale sia per la partita energetica che per il controllo dei flussi migratori.

Non ultimo, il Fezzan è la porta per l’Africa subsahariana, dove la Russia lavora con le stesse modalità libiche: rapporti con i governi ufficiali, contratti in cambio di appoggio politico, consulenti e miliziani pronti a fare il lavoro sporco, salvo cambiare rotta se le cose non vanno come previsto. Come accaduto ad esempio con l’alleato Omar al-Bashir in Sudan, assistito dai russi e poi con il loro aiuto deposto.

 

A Putin la Libia interessa molto in chiave economica e il petrolio è una delle ragioni che hanno condotto la Russia a cercare di tenersi buono sia Al-Sarraj sia Haftar.

A fronte delle crescenti difficoltà della National Oil Corporation (Noc), la compagnia al centro della contesa per i proventi petroliferi tra Tripoli e Tobruk, i russi hanno approfittato del caos per mettere un piede nel Sud-ovest, dove si trovano i due più grandi siti produttivi del Paese, Sharara ed El Feel.

 

Nel 2011 Eni (che opera il giacimento El Feel) aveva concordato la futura cessione di una quota nel consorzio per lo sviluppo di El Feel; poi scattò l’intervento della coalizione a guida Nato contro Gheddafi e addio ingresso russo. Però i signori moscoviti del gas e del petrolio sono determinati a recuperare.

Così, pure negli ultimi mesi di aperto conflitto e con i miliziani Wagner a dare manforte ad Haftar (ma anche, qualcuno dice, ad impedire il suo totale controllo dei giacimenti meridionali), i funzionari del colosso del gas Gazprom hanno regolarmente visitato Tripoli e discusso anche a Mosca il ritorno in Libia con i vertici della Noc, che ufficialmente è società indipendente e sotto la supervisione di Tripoli, come ribadito in diverse risoluzioni Onu.

La compagnia pubblica Rosneft da parte sua ha firmato nel 2017 un accordo con la Noc, che non ha avuto per ora seguito.

La più piccola Tatneft – sesta società petrolifera russa – è da qualche mese di nuovo attiva in Libia.

Altre imprese restano alla finestra, aspettando di poter riprendere le attività interrotte nel 2011.

 

Prima e più del petrolio, tuttavia, al maestro di geopolitica Putin la Libia interessa nell’ottica della presenza russa nel Mediterraneo.

Con la guerra in Siria e il patto di non belligeranza con la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan, Mosca si è aggiudicata nei fatti il controllo della parte orientale. Ma per blindare la posizione non può prescindere da quanto accade nel quadrante occidentale.

Tanto più che le vaste risorse energetiche sotto il tratto di mare tra Cipro ed Egitto potrebbero determinare sviluppi poco graditi per la Russia nelle vesti di potenza energetica. Nella stessa ottica Gazprom è molto attiva in Algeria, dove da anni conduce prospezioni in collaborazione con la società statale Sonatrach e nel 2016 nell’area di El Assel ha individuato buone riserve di idrocarburi.

 

Riavvolgendo il nastro degli eventi che hanno portato Putin a lanciarsi nella richiesta di tregua assieme a Erdoğan, il momento di svolta è stato probabilmente la firma a novembre da parte del presidente turco e di Fayez al-Serraj del memorandum di intesa per la creazione di “aree di giurisdizione marittima”, de facto per avviare l’esplorazione di idrocarburi al largo delle coste di Cipro.

La Turchia ha lanciato un’offensiva sul Mediterraneo e la Russia non può restare a guardare né rompere con Ankara.

 

Una partita energetica val bene un azzardo per una pace in Libia ancora lontana, come è stata in fin dei conti l’iniziativa russo-turca a Mosca. Anche senza colpo grosso.

Carta di Laura Canali - 2019Carta di Laura Canali – 2019

 

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