FRANCESCO BATTISTINI, INTERVISTA AD ALBERTA BASAGLIA, PSICOLOGA, ” Sono cresciuta fra i matti da slegare di mio papà Franco “. CORRIERE.IT — 7 FEBBRAIO 2014

 

 

 

Le nuvole di Picasso. Una bambina nella storia del manicomio liberato

Alberta Basaglia,Giulietta Raccanelli

Articolo acquistabile con 18App e Carta del Docente
Editore: Feltrinelli
Collana: Varia
Anno edizione: 2014
In commercio dal: 12 febbraio 2014
Pagine: 91 p., Brossura
10 EURO, PREZZO PIENO

Descrizione

I bambini, solo conoscendo il senso delle cose, riescono a spiegarsele. E per capire chiedono, instancabili, sempre. Quando si regge lo stillicidio dei loro perché e ci si sforza di dargli le risposte che meritano, si arriva sempre al cuore delle questioni. La voglia di raccontare la storia già molto conosciuta, ma non ancora da tanti digerita, di Franco Basaglia, del manicomio liberato e del suo superamento, nasce proprio dalle domande dei più piccoli e dal tentativo di provare a ripercorrere fatti già noti con gli occhi e il cuore di una di loro, per darne una lettura inedita, unica e spudorata, quella cioè di chi non ha ancora sovrastrutture imposte da regole sociali. In questo lavoro hanno preso forma le parole per cercare di rispondere a quei tanti perché e per raccontare scampoli di vita della bambina che è stata dentro a quella rivoluzione. Bambina che nel frattempo è cresciuta e che spontaneamente ha fatto di quella esperienza la base per costruire la sua professione.

 

CORRIERE.IT — 7 FEBBRAIO 2014

https://www.corriere.it/14_febbraio_04/sono-cresciuta-matti-slegare-mio-papa-franco-8294df68-8dba-11e3-9737-22dadb171b02.shtml

 

 

IN UN LIBRO, ALBERTA RACCONTA LA SUA INFANZIA

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Alberta Basaglia, psicologa, è responsabile del Servizio partecipazione giovanile e Cultura di pace del Comune di Venezia, dove, dal 1980, ha guidato il Centro donna e il Centro antiviolenza. Ha una lunga esperienza di lavoro sulle tematiche legate al contrasto della violenza di genere e di tutte le discriminazioni.

 

 

 

Sono cresciuta fra i matti da slegare di mio papà Franco

La figlia di Basaglia, l’uomo che, per legge, “liberò” i malati di mente: «Giravano spesso per casa, ma non mi sentivo in pericolo»

di Francesco Battistini

È una casa bella davvero in via dei matti numero… «Scenda dal vaporetto e suoni al civico 1968». Sta scherzando?… «È uno scherzo del destino: quand’ho trovato questo appartamento, mi veniva da ridere… ». La figlia d’uno dei simboli del Sessantotto abita, davvero, in una casa al 1968 d’una calle veneziana. Sulla porta non c’è il nome perché forse quel nome, cominciamo da qui, è diventato un po’ come il Sessantotto: non si porta più tanto… «Dipende », sorride Alberta Basaglia: «Di Franco, oggi si parla in due modi. Se dicono chi è stato, allora ne fanno un santo: che buono, l’uomo che ha liberato i matti… La fiction della Rai, con Fabrizio Gifuni, è stata un successo. Se poi dicono quel che ha fatto, è tutto diverso: regge ancora l’equazione Basaglia uguale matti abbandonati. L’atteggiamento, giustamente, è negativo…». Giustamente?

«È un fatto che la legge 180 sia stata applicata solo in poche città: se lei va a Trieste, non sente i soliti discorsi contro il farabutto Basaglia che ha messo fuori i matti, perché là è un dato acquisito che curarli non significa legarli ». I matti da slegare… «Guardi che era mio padre il primo a pensare che non possono andarsene liberi per strada, anche se sapeva che non avrebbe vinto. Andò a un congresso in Brasile e l’ammise: abbiamo dimostrato che l’impossibile diventa possibile e che un manicomio può essere distrutto, ma io non so come andrà a finire. L’anno dopo, morì».

Più Sartre che Battisti. Nel manicomio liberato, Alberta Basaglia è stata bambina. In via dei matti è cresciuta. Con la follia ha giocato. Andava alla Montessori o al basket o faceva visita agli zii, come tante ragazzine. E come altre amava la radio a transistor e Patty Pravo, leggeva Pippi Calzelunghe e portava i kilt. In casa, perché formidabili erano quegli anni, s’ascoltavano le canzoni dei minatori del Sulcis più che Lucio Battisti, era proibita la tivù “oppio dei popoli”, la ninna nanna veniva da tinelli fumosi dove papà e mamma discutevano di Sartre e Marcuse.

E ogni tanto, ecco che ne spuntava uno: il signor Toni a bere il caffè, “un sorriso mesto e gli occhi tormentati”; il Carletto senza più catene e camicie di forza, che lavava felice i parabrezza; la puzzolente signora Pierina, “come la strega di Biancaneve”, i capelli spettinati e la sigaretta sempre in bocca; il signor Velio, il pittore che strisciava il parquet di blu e d’arancio e colorava le pareti come aveva sognato per anni, quand’era rimasto legato sempre allo stesso letto… «Mio papà  lasciava che venissi su in mezzo a queste persone. Non potevo avere con loro lo stesso rapporto che avevo coi genitori: conviverci, serviva a chiedermi le cose. A capire i diversi da me che facevano cose strane. Se cresci in un certo modo, diventi un adulto d’un certo tipo. Meno stupido di fronte a ogni povertà. Più capace di confrontarti». Non era pericoloso? «Non stavo sempre coi matti, ovvio. Però capitava… Anche se Franco provava di sicuro ansia, anche se non stava sempre lì a proteggermi, arrivava appena ne avevo bisogno. Quando compariva quella donna brutta e cattiva che si metteva dietro la porta, o qualche vecia mi tocchignava, il disagio c’era. Ma la mia percezione era comunque di non correre mai rischi. Imparavo che si può avere a che fare con le paure senza sentirsi in pericolo».

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