DONATELLA E FRANCO PICCININI CI HANNO MANDATO QUESTO BEL DOCUMENTO DELL’ANPI DI CINISELLO BALSAMO DOVE LORO ABITANO—LO PUBBLICHIAMO CON MOLTO INTERESSE.

 

 

 

 

DAL FACEBOOK DELL’ANPI DI CINISELLO BALSAMO

 

 

 

Via Milano, oggi via della Libertà, all'altezza di piazza Turati, nel mezzo la nostra partigiana Dina Cereda

Pubblicato da ANPI Cinisello Balsamo su Venerdì 27 febbraio 2015

 

 

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  • Anpi Cinisello Balsamo : il giorno del ricordo fra Storia e revisionismo

  • Lo storico e la polemica sulle foibe: Cari fascisti i negazionisti siete voi

  • Articolo dello storico Giacomo Scotti

Vi trasmettiamo l’allegato testo che cerca di fare un po’ di chiarezza sulle numerose strumentalizzazioni in corso a livello nazionale sul tema delle foibe e dei fatti accaduti sul fronte orientale.

I tentativi di revisionismo storico su quei fatti passano attraverso la loro decontestualizzazione. In pratica, si fa credere alla gente che prima di quei fatti non era accaduto nulla, suddividendo in maniera manichea i buoni e i cattivi, dove ovviamente i buoni erano gli italiani, indistintamente tutti gli italiani, compreso il nostro esercito e le camice nere che, nel 1941, a fianco della Wermacht e delle SS, invasero la ex Jugoslavia, stracciando gli accordi internazionali.

Questa progressiva rimozione fa sì che sui massacri di migliaia di civili operati dalle truppe italiane e tedesche (senza esclusione di  vecchi, donne e bambini, gli incendi dei villaggi, le torture, le deportazioni di decine di migliaia di persone di lingua e cultura slave) si rischi un silenzio colpevole e imbarazzante.

Contestualizzare i fatti in quella regione significa partire almeno dagli anni ’20, quando in seguito al Trattato di Rapallo, l’Istria e alcune parti del litorale vennero assegnate all’Italia e, con l’ascesa del fascismo, amministrate dal Regime.

La contestualizzazione non rappresenta un atteggiamento giustificatorio rispetto alle conseguenze tragiche del furore popolare e alla voglia diffusa di resa dei conti nei confronti delle comunità italiane, soprattutto alla fine della guerra.

Ma non contestualizzare significa rimuovere. E la rimozione conduce alla mistificazione della Memoria.

Buona lettura!

IL COMITATO

 

 

 

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Il Giorno del Ricordo, tra Storia e revisionismo.

Sulla tragedia delle foibe per molti anni è calato l’oblio. Sono le parole che ripetutamente vengono pronunciate da molti esponenti politici, non solo ma in particolare di centrodestra, in occasione delle commemorazioni del Giorno del Ricordo, istituito con legge del 30 marzo 2004.

È vero, tra le tante tragedie prodotte dalla 2^ guerra mondiale, ci fu anche questa:  persone di origine italiana, che vivevano in Istria e Dalmazia, uccise e gettate nelle foibe. Una tragedia, nella tragedia di quella guerra.

Carlo Azeglio Ciampi, il presidente della Repubblica che promulgò la legge istitutiva del Giorno del Ricordo, nel 2005 emise un comunicato nel quale rivolse il proprio pensiero “a coloro che perirono in condizioni atroci nelle Foibe (…) alle sofferenze di quanti si videro costretti ad abbandonare per sempre le loro case in Istria e Dalmazia”, aggiungendo:

“Tanta efferatezza fu la tragica conseguenza delle ideologie nazionalistiche e razziste propagate dai regimi totalitari responsabili del secondo conflitto mondiale e dei drammi che ne seguirono”.

 

Nonostante la ricerca storica abbia sufficientemente chiarito i complessi avvenimenti legati al confine orientale, la conoscenza dei fatti nella pubblica opinione rimane distorta e fatta oggetto di polemiche politiche orchestrate da gruppi o partiti di destra che, ingigantendo o sminuendo fatti storici in base alle loro convenienze ideologiche, finiscono con l’infoibare la Storia e la memoria stesse.

I tentativi di revisionismo storico su quei fatti passano attraverso la loro decontestualizzazione. In pratica, si fa credere alla gente che prima della dolorosa vicenda delle Foibe non fosse accaduto nulla, suddividendo in maniera manichea i buoni e i cattivi, dove ovviamente i buoni erano gli italiani, indistintamente tutti gli italiani, compresi il nostro esercito e le camice nere che nel 1941, a fianco della Wermacht e delle SS, invasero l’allora Regno di Jugoslavia, stracciando i trattati internazionali.

La contestualizzazione non rappresenta un atteggiamento giustificatorio rispetto alle conseguenze tragiche del furore popolare e al clima diffuso da resa dei conti nei confronti delle comunità italiane, soprattutto alla fine della guerra. Ma non contestualizzare significa rimuovere. E la rimozione conduce alla mistificazione della Memoria.

La mescolanza paludosa tra aggressori e aggrediti, invasori e invasi, carnefici e vittime, criminali e innocenti con cui, da parte di questi revisionisti, viene rivisitata la Storia, svela il proposito, neppur tanto celato, ma alquanto grottesco, di annacquare l’Olocausto provocato dal nazifascismo accostandolo anche terminologicamente alle uccisioni sommarie di tanti abitanti di lingua e cultura italiana, che vivevano nei territori della ex-Jugoslavia, nel periodo successivo all’8 settembre del ’43 e successivamente alla fine della 2^ guerra mondiale.

E quando il doveroso omaggio a chi, innocente, perse la vita si trasforma in occasione di propaganda revanscista di partiti o gruppi politici che non hanno mai voluto fare i conti col proprio tragico passato, le prime vittime sono proprio le vittime stesse, cioè quelle per cui il Giorno del Ricordo è stato istituito, usate e abusate strumentalmente in una sorta di delirio nostalgico o neo-irredentista.

Non stupisce perciò che di fronte a questi tentativi, che talvolta sfociano persino nella rivalutazione dell’esperienza fascista, cresca in maniera preoccupante il numero di italiani che negano la Shoah o che ne ridimensionano la portata. E non sorprende che, in questo clima, si dedichino strade a Giorgio Almirante, segretario di redazione della rivista fascista La Difesa della Razza e, anni addietro, si eresse un mausoleo in onore di un criminale di guerra come Rodolfo Graziani, atto di cui si stupì persino il New York Times.

Queste operazioni hanno gioco facile anche per le carenze dell’insegnamento scolastico che, per molte generazioni di studenti dal dopoguerra in poi, ha trascurato la storia del fascismo, del nazismo e della Resistenza.

E allora diventa doveroso ricostruire, coi limiti di una rigorosa sintesi, le vicende del fronte orientale e, per farlo, significa partire almeno dagli anni ’20, quando in seguito al Trattato di Rapallo, l’Istria e alcune parti del litorale vennero assegnate all’Italia e, con l’ascesa del fascismo, governate dal regime.

 

Il 5 novembre del 2001 sul quotidiano Il Piccolo di Trieste venne pubblicata una testimonianza di Raffaello Camerini, ebreo, classe 1924:

“Quello che ho veduto in quel periodo, sino al 1941 (…) ha dell’incredibile. La crudeltà dei fascisti italiani contro chi parlava croato, invece che l’italiano, o chi si opponeva a cambiare il proprio cognome croato o sloveno, con altro italiano, era tale che di notte prendevano di forza dalle loro abitazioni gli uomini, giovani e vecchi, e con sistemi incredibili li trascinavano sino a Vignes, Chersano e altre località limitrofe, ove c’erano delle foibe, e lì, dopo un colpo di pistola alla nuca, li gettavano nel baratro. (…) ho veduto più volte, di notte, quelle scene che non dimenticherò finché vivrò. (…) Sono stati gli italiani, fascisti, i primi che hanno scoperto le foibe ove far sparire i loro avversari (…)”.

Già questa testimonianza, di un italiano che viveva in Istria, certifica un altro oblio, ancor più grande, di un periodo durato due decenni, da quando cioè, in seguito al Trattato di Rapallo, alcuni territori costieri della ex Jugoslavia vennero assegnati all’Italia e governati dai fascisti, i quali attuarono a partire dagli anni’20 una forzata e violenta politica di italianizzazione degli abitanti di etnia slava, che furono fatti oggetto di espropri e deportazioni o si videro costretti, a migliaia, a lasciare le proprie terre. Fu cambiata la toponomastica, la lingua slava venne proibita nelle scuole e in tutti i luoghi pubblici, sulla stampa, nelle chiese, la gente fu costretta a italianizzare persino i propri nomi, addirittura a non poter più usare la propria lingua sulle lapidi dei cimiteri.

Coloro che si ribellarono a queste imposizioni vennero internati dalle camice nere in campi di concentramento, le loro case rase al suolo, i villaggi bruciati, confiscati i beni, e i componenti di numerose famiglie fucilati per estrazione a sorte, come rendeva noto lo stesso prefetto della provincia del Carnaro, Temistocle Testa, il 30 maggio del 1942.

Una vera e propria bonifica etnica, entrata in azione dopo il discorso di Mussolini a Pola il 20 settembre del 1920: “Per realizzare il sogno mediterraneo bisogna che l’Adriatico, che è un nostro golfo, sia in mani nostre; di fronte ad una razza come la slava, inferiore e barbara”.

Oblio e rimozione, dunque, di una tragedia non certamente iniziata con la scoperta delle foibe. Ma oblio e rimozione anche sugli eccidi perpetrati a danno delle popolazioni jugoslave nel corso dell’invasione dell’aprile del ’41 delle forze armate italiane e tedesche, che occuparono l’allora Regno di Jugoslavia.

Campi di Rab e Gonars… nelle nostre associazioni mentali i lager portavano ben altri nomi, quelli di Auschwitz, Dachau, Mauthausen, Buchenwald. Campi nazisti. Rab e Gonars non avevano quella firma. A volerli erano stati gli alti comandi militari italiani, il generale Mario Roatta in particolare, comandante della II Armata, un

criminale di guerra responsabile di aver ordinato massacri indiscriminati di civili. In una delle sue circolari operative, Roatta scriveva “Se necessario, non rifuggire da usare crudeltà. Deve essere una pulizia completa. Abbiamo bisogno di internare tutti gli abitanti e mettere le famiglie italiane al loro posto…”. Divenne famoso, a pieno merito, per la teoria della testa per dente. Cioè quella che autorizzava la rappresaglia contro i civili. “Si ammazza troppo poco”, sottolineò un giorno il generale Mario Robotti.

Le disposizioni di Roatta diedero il via a veri e propri massacri nei confronti delle popolazioni locali, colpevoli di aiutare la resistenza contro l’occupazione militare straniera.

Erano i contenuti della famosa circolare 3C: internamento di intere famiglie, uso di ostaggi, distruzione di abitati e confisca dei beni. Norme di condotta militare che nulla avevano da invidiare alle pratiche naziste. I villaggi sospettati di fornire aiuto ai partigiani jugoslavi venivano perciò bruciati e i loro abitanti fucilati. In alcune lettere di militari fascisti a parenti e amici sono “orgogliosamente” descritte, con dovizia di particolari raccapriccianti, le crudeltà di quelle operazioni.

Soltanto a Rab vennero deportati più di diecimila civili. Sloveni, croati, rastrellati dalle loro case, spesso dopo avergliele incendiate. Uomini, donne, anziani, anche bambini. C’erano più di mille bambini a Rab.

Per la fame, il freddo, gli insetti, le malattie, la mortalità diventò presto elevatissima, in particolare per i bambini, i vecchi, le donne, alcune delle quali erano partorienti. Le persone morivano a decine ogni giorno.

“Odiate questo popolo. Esso è quel medesimo popolo contro il quale abbiamo combattuto per secoli sulle sponde dell’Adriatico. Ammazzate, fucilate, incendiate e distruggete questo popolo”. Così scrisse in un opuscolo il generale d’Armata Alessandro Pirzio Biroli, un criminale di guerra, che la fece franca come tanti altri criminali di guerra, generali e alti ufficiali italiani, per i quali non vi fu mai una Norimberga.

Quando le guerre finiscono, i Paesi coinvolti commemorano con cerimonie ufficiali i morti, militari e civili. Non tutti però, soltanto i propri.

È giusto piangere i propri caduti, come ogni anno si fa nelle celebrazioni a ricordo delle due guerre mondiali, che hanno visto il sacrificio di tanti. Lo si fa con la consapevolezza che, per quanto riguarda i militari, per la maggior parte si trattò di povera gente, mandata al macello a uccidere altra povera gente, per i sogni di gloria di un manipolo di criminali fanatici.

Ma quanto sarebbe diverso, straordinariamente diverso, nuovo e dirompente se un giorno decidessimo di piangere anche i morti altrui. Di lenire – per quanto sia possibile farlo – i tanti dolori inflitti agli altri, come conseguenza delle nostre aggressioni. Quale messaggio di pace sarebbe! E di riconciliazione.

Non sarebbe questo il modo più giusto di fare i conti con la propria Storia? E per fare verità? Un modo che spazzerebbe via una volta per tutte le tante strumentalizzazioni di questi anni intorno alla tragedia delle Foibe, che non sono servite ad altro che a rafforzare, da una parte l’autoreferenzialità di che le ha sempre volute, dall’altra a tenere accese le braci residue di quell’incendio.

I tedeschi l’hanno fatto, in parte forse, ma l’hanno fatto. Anche nei confronti di noi italiani. Alcuni gesti si sono visti: alti rappresentanti istituzionali in visita a Marzabotto, a S. Anna di Stazzema e altrove. Gesti simbolici, certo, altro non si può pretendere da figli e nipoti di una generazione smarritasi nel fanatismo e nel mito della superiorità della razza.

Non si ha invece memoria di molti gesti analoghi dei nostri rappresentanti istituzionali verso i popoli della ex Jugoslavia, Grecia, Albania, Libia, Etiopia, Russia. Tutti quei popoli, cioè, a cui per la gloria dell’impero, abbiamo inflitto dolore.

Provincia e Comune di Lucca, nel 2014, furono probabilmente i primi (e forse gli unici) a intraprendere un’iniziativa del genere, portando i cittadini e alcuni studenti dell’Istituto Pertini a visitare i campi di Rab e di Gonars. E vollero anche chiedere scusa, per quanto ci si possa sentire responsabili, figli e nipoti, degli orrori praticati da una generazione di italiani, una parte di essi almeno, trascinata nella mitologia del fascismo.

La guerra su quel fronte ha coinvolto anche la nostra città. Tra coloro che partirono per il fronte dei Balcani, alcuni non sono più tornati. Altri, a rischio della vita, scelsero di combattere coi partigiani jugoslavi.

Vi sono tante ragioni per trasformare le celebrazioni del Giorno del Ricordo in un’occasione di riconciliazione con quei popoli. Quale circostanza migliore per fare qualcosa di diverso. Sarebbe più bello e più coerente. Simboli, gesti concreti, iniziative congiunte.

La nostra città, che come tante altre ha dato il proprio tributo di sangue per la Lotta di Liberazione, potrebbe dare l’esempio. Potrebbe costruire una nuova piccola grande Storia. E, chissà, dare il via a tante altre piccole grandi Storie. Sarebbe un modo per tessere un’immensa ragnatela di pace a partire dal basso, dalle comunità, dai cittadini, dagli studenti. Una ragnatela in cui imprigionare nuovi fanatismi e nazionalismi, cogliendo anche l’occasione (perché no?) di rivisitare culturalmente il concetto di patria. Perché – ed è del tutto evidente – che quello di patria non può essere in alcun modo un concetto divisivo, escludente delle legittime patrie altrui. Non poteva esserlo prima, ma soprattutto non potrà più esserlo in futuro per l’Europa che vogliamo.

        IL COMITATO

Anpi Cinisello Balsamo

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Lo storico e la polemica sulle foibe: “Cari fascisti, i negazionisti siete voi”

Una conferenza dello scrittore Eric Gobetti è finita nel mirino di associazioni di estrema destra e di esuli istriani. Lui spiega: “Faccio solo il mio lavoro contestualizzando gli eventi storici”

di ERIC GOBETTI*

Lo storico Eric Gobetti

Sono preso di mira in questi giorni da un gruppo di estremisti di destra che intendono impedirmi di esprimere i risultati delle mie ricerche in merito alle foibe e all’esodo. La motivazione di tale minaccia è che io sarei un “negazionista” delle foibe e che quindi un mio intervento pubblico non sarebbe rispettoso della memoria delle vittime. Credo di poter tranquillamente ignorare le opinioni dei neofascisti.Rimane però inaccettabile il fatto che un piccolo gruppo di estremisti possa impunemente minacciare di impedire fisicamente una lezione di storia. Inoltre mi ritengo offeso, e credo di poter agire anche in termini legali, in merito all’associazione fra il mio nome e il termine “negazionista”. È già abbastanza paradossale che gruppi di persone assimilabili alla galassia realmente negazionista (della Shoah, naturalmente), si permettano di usare questo termine capovolgendone il significato. Ma quello che più conta è che questa accusa infamante è del tutto infondata. Io non ho mai negato né sminuito l’importanza storica delle foibe e dell’esodo.

Semplicemente, come qualunque storico, mi permetto di contestualizzare questi eventi, di raccontarne i prodromi, spiegare chi e cosa ha condotto a quelle violenze. Insomma io faccio il mio lavoro: non parlo per slogan, non dico frasi o cifre ad effetto; ma parlo a ragion veduta, dopo anni di studio, e mi attengo alle fonti. Tutto ciò, peraltro, è certo più rispettoso delle vittime, piuttosto della strumentalizzazione politica che da molte parti ne viene fatta.

 

Si è spesso detto che la “sinistra” non ha mai voluto parlare delle foibe e dell’esodo. Nel mio caso è vero il contrario: io ne voglio parlare, sono i neofascisti che mi vogliono impedire di farlo! Ne voglio parlare talmente tanto che ogni anno porto in giro per l’Italia in numerose conferenze i risultati delle ricerche storiche condotte da me e da altri studiosi nei decenni passati. Ne parlerò oggi a Torino, domani a Verbania, lunedì a Brescia. Ad aprile poi uscirà un mio libro sul tema delle foibe e dell’esodo, edito da Laterza. Da cosa nasce dunque la convinzione che io sia un “negazionista delle foibe”?

Questa accusa mi è stata mossa la prima volta lo scorso anno dal giornale on-line “Primato nazionale”, il megafono di Casa Pound che si definisce “quotidiano sovranista”. Ora si cerca di ripeterla più volte, in modo da “farla diventare vera”, secondo la nota strategia attribuita al ministro della propaganda nazista Joseph Goebbels. Di fatto si tratta di una “presunzione di colpevolezza”, un’accusa tanto infamante che non ha nemmeno bisogno di essere accertata, e che purtroppo somiglia a un’analoga “presunzione di fascismo” che ha portato molta gente nelle foibe. Ma le persone che ribadiscono quest’accusa nei miei confronti, dai neofascisti alle associazioni degli esuli, a singoli cittadini, mi hanno mai sentito parlare, hanno mai letto un mio libro o un mio articolo? Ecco. Vi invito a farlo. E se qualcuno vorrà muovere una critica alle mie analisi, sarò pronto a discuterne, come ho sempre fatto. Partendo però dal riconoscimento comune dei fatti e delle fonti. Questo è il mio lavoro. Io non faccio politica, io faccio lo storico, e vorrei poter continuare a farlo.* storico torinese

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Da IL MANIFESTO

Ripubblichiamo questo articolo dello storico Giacomo Scotti, pubblicato per la prima volta sul manifesto del 5 febbraio 2014, vista la sua scottante attualità.

Inizio con tre brani di un discorso pronunciato al Teatro Ciscutti di Pola da Benito Mussolini il 20 settembre 1920, dando inizio alle brutali violenze contro le popolazioni della Venezia Giulia: «Qual è la storia dei Fasci? Essa è brillante! Abbiamo incendiato l’Avanti! di Milano, lo abbiamo distrutto a Roma. Abbiamo revolverato i nostri avversari nelle lotte elettorali. Abbiamo incendiato la casa croata di Trieste, l’abbiamo incendiata a Pola…»…«Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. I confini italiani devono essere il Brennero, il Nevoso e le (Alpi) Dinariche. Dinariche, sì, le Dinariche della Dalmazia dimenticata!… Il nostro imperialismo vuole raggiungere i giusti confini segnati da Dio e dalla natura, e vuole espandersi nel Mediterraneo. Basta con le poesie. Basta con le minchionerie evangeliche».

 

questo articolo, che ci è arrivato dall’ANPI DI CINISELLO BALSAMO, lo abbiamo già pubblicato qui::

GIACOMO SCOTTI ::Sulle Foibe un giorno per tutti i ricordi — IL MANIFESTO DEL 11 FEBBRAIO 2020

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3 risposte a DONATELLA E FRANCO PICCININI CI HANNO MANDATO QUESTO BEL DOCUMENTO DELL’ANPI DI CINISELLO BALSAMO DOVE LORO ABITANO—LO PUBBLICHIAMO CON MOLTO INTERESSE.

  1. nemo scrive:

    Sì, certo, non considerare (non contestualizzare) le cause dei misfatti è un errore spesso voluto per far credere ( o per illudersi ) che i ‘cattivi’ siano solo nella parte avversa. Comunque, a orrore non si può e non si deve contrapporre altri orrori. Non è una ‘gara’ fra chi ne ha fatti di più. Essi vanno condannati fermamente, uno per uno. Diversamente, ne va a discapito di quel briciolo di umanità che ancora esiste ( o dovrebbe esistere) fra gli uomini. E l’Anpi con questa ‘apertura’ forse ha insegnato qualcosa a tutti noi e non solo .

  2. Donatella scrive:

    La conoscenza, in particolare la conoscenza storica, può fare piazza pulita di tante sciocchezze create ad arte e poi propagate perché si rimanga nell’ignoranza. Ripartiamo anche dalla scuola.

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