ABBIAMO PARLATO DI MARIO PACIOLLA IN QUESTI LINK:
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IL MANIFESTO DEL 5 AGOSTO 2020 https://ilmanifesto.it/lonu-spiega-la-linea-del-silenzio-sulla-morte-di-mario-paciolla/
REPUBBLICA DEL 28 AGOSTO 2020
Approfondimento
Colombia, “In Colombia Mario fu ucciso”, le prove della verità nascosta
Svolta nell’inchiesta sulla morte del cooperante napoletano. Paciolla che lavorava per l’Onu il 15 luglio venne trovato impiccato nella sua casa, ma molti particolari erano poco convincenti
DI DARIO DEL PORTO E GIULIANO FOSCHINI
Mario Paciolla è stato suicidato. Sul corpo del ragazzo italiano morto il 15 luglio scorso in Colombia, a San Vicente de Cagua, dove lavorava come osservatore per l’Organizzazione delle nazioni unite, sono stati trovati segni che fanno pensare a una messinscena, come a simulare un gesto volontario. Sono stati fatti sparire dalla scena del delitto oggetti cruciali per la ricostruzione della verità. La casa è stata lavata con la candeggina poche ore prima che la Polizia scientifica finisse di effettuare i rilievi. Mario aveva preparato la valigia, pronto a partire per l’Italia. Anzi, a scappare, perché aveva paura di restare in Colombia. Voleva tornare nella sua Napoli il prima possibile. Aveva comprato anche alcuni regali per i familiari che invece l’hanno visto tornare in una bara. Con i pacchetti chiusi nella valigia.«Mario non si è suicidato: è stato ucciso» dicono a Repubblica i genitori, certi di non sbagliare. Le prime circostanze emerse sembrano confermare la loro certezza. Non a caso il fascicolo, aperto dalla procura di Roma, è finito sul tavolo dei carabinieri del Ros. Gli esperti di omicidi internazionali.
La fretta di andare via.
Mario Paciolla aveva 33 anni. Dopo una laurea in Scienze politiche all’Orientale di Napoli, girava il mondo da anni: Giordania, India, Argentina, da due anni in Colombia con una missione Onu con un programma di reinserimento per gli ex guerriglieri delle Farc. Secondo quanto è stato possibile ricostruire, Mario aveva avuto nelle ultime settimane problemi sul lavoro. Era spaventato, impaurito. «Ti ricordi quando avevo battibeccato a scuola, per un’ingiustizia, con quel professore e poi mi ha bocciato? Ecco mi è successa la stessa cosa» aveva detto alla madre pochi giorni prima di morire. La sua missione sarebbe dovuta finire il 20 agosto, questione di settimane. Ma aveva fretta di rientrare. Dall’11 al 14 luglio Mario, ricostruiscono gli atti, si è tenuto in contatto quotidianamente con i genitori, fatto considerato molto strano in quanto di solito avevano l’abitudine di scambiarsi video chiamate una volta ogni due o tre settimane. Aveva raccontato loro di aver avuto problemi con l’organizzazione e di voler rientrare al più presto.Il 14 chiese e ottenne gli estremi di una carta di credito per comprare il biglietto aereo che lo avrebbe riportato a casa. Mario aveva già preparato la valigia. All’interno c’erano alcuni regali per amici e parenti che avrebbe consegnato loro una volta rientrato a Napoli. Al mattino del giorno 15 i genitori gli inviarono un ultimo messaggio con le raccomandazioni per il viaggio. Mario non lo ha mai letto.
La scena del delitto
Dalla sera del 14 Mario sparisce in un buco nero. L’ultima connessione Whatsapp risale alle 22.45, orario colombiano. La mattina dopo, così come d’accordi, vanno a casa sua per prenderlo e portarlo a Florentia, da dove poi si sarebbe dovuto muovere per Bogotà e Parigi. Mario non risponde al citofono. E nemmeno al telefono, raccontano i funzionari Onu. Entrano in casa grazie alle chiavi del proprietario che abitava nello stesso palazzo. Trovano Mario impiccato. Il primo a vederlo è il referente di Sicurezza della missione dell’Onu, Christian Thompson con il quale Mario aveva chattato fino alle dieci di sera del giorno precedente. Una circostanza non abituale perché Thompson non era un suo diretto superiore ma appunto l’incaricato della sicurezza. Sul luogo del delitto c’era sangue e tutto sembrava in ordine. La Polizia viene chiamata da Thompson 30 minuti dopo l’ingresso in casa. «Quando siamo arrivati — dicono alcuni dei poliziotti — la porta era semiaperta, quindi la scena potrebbe essere stata contaminata». Sono i poliziotti a offrire anche altri particolari: Thompson dice che computer e cellulari appartenevano all’Onu e quindi non potevano essere portati via. E nonostante, dicono i poliziotti, gli fosse stato detto di non toccare nulla, nei giorni successivi porta via alcuni oggetti cruciali della scena del crimine. Che, poi racconterà, essere stati smaltiti in discarica e quindi non più disponibili. Il 17 luglio sempre Thomposn torna a casa di Mario con due donne che puliscono tutta la casa con la candeggina e riconsegnano le chiavi al proprietario. Il giorno dopo arriva la Polizia per effettuare un sopralluogo. Ma ormai non c’era più niente. Non è chiaro se questa procedura fa parte dei protocolli Onu. Fatto sta che per non aver vigilato — come ha raccontato sull’Espectador la giornalista investigativa Claudia Julieta Duque — quattro poliziotti sono stati indagati.
L’autopsia
Secondo i documenti colombiani, Mario è morto nella notte tra il 14 e il 15 luglio alle 2. Impiccato. Prima avrebbe provato a tagliarsi i polsi, come dimostrerebbero i segni sulle braccia. E il sangue ritrovato sul luogo del delitto. La procura di Roma ha però disposto una seconda autopsia. Affidandola al professor Vittorio Fineschi, lo stesso medico legale che ha seguito i casi di Stefano Cucchi e Giulio Regeni. Anche il corpo di Mario ha raccontato molte cose. Al momento c’è il massimo riserbo, gli esiti arriveranno nelle prossime settimane. Ma qualcosa si può già dire: quei tagli sui polsi erano superficiali, che non potevano causare certo la morte né uno spargimento di sangue. Sembrano stati fatti come per raccontare un tentativo di suicidio che invece non c’è stato. I segni sul collo, che avrebbero causato la morte, non appaiono essere così importanti, tali da provocare la morte. Elementi che fanno dire alla famiglia Paciolla — con l’avvocato Alessandra Ballerini, che sta seguendo il caso insieme con Emanuela Motta e il collega colombiano German Romero Sanchez — quello che i fatti, le omissioni, i depistaggi, sembrano raccontare ogni giorno con più forza: Mario non si è ucciso. È stato suicidato.
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Terribili queste morti e terribile il dolore dei genitori. Sapere che un figlio, un parente, un amico è morto in questo modo credo che non ti dia pace.