FILM COMPLETO IN ITALIANO, 1.51.34 : TESTIMONE D’ACCUSA DI BILLY WILDER DEL 1957 — ++ RECENSIONE DI MARTINA PULIATTI, SENTIERI SELVAGGI, 1.11.2018

 

 

” Se le dessi un nome, mica sarebbe quello vero!».

 

 

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Testimone d’accusa (Witness for the Prosecution) è un film del 1957 diretto da Billy Wilder.

È tratto dall’omonima commedia di enorme successo di Agatha Christie, a sua volta rielaborata dal suo racconto del 1925. La commedia fu riadattata più volte per il cinema e, secondo la stessa Christie, la versione diretta da Billy Wilder è il miglior film tratto da una sua opera.

 

 

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Interpreti e personaggi

  • Charles Laughton: sir Wilfrid Robarts
  • Tyrone Power: Leonard Stephen Vole
  • Marlene Dietrich: Christine Helm
  • Elsa Lanchester: miss Plimsoll
  • Una O’Connor: Janet MacKenzie
  • John Williams: Brogan-Moore
  • Henry Daniell: Mason
  • Ian Wolfe: Carter
  • Francis Compton: giudice
  • Norma Varden: Emily French
  • Torin Thatcher: Myers
  • Ruta Lee: Diana
  • Philip Tonge: ispettore Hearne

 

Testimone d'Accusa di Billy Wilder - Locandina Poster

 

 

Trama

Sir Wilfrid Robarts, un avvocato penalista di successo, torna al lavoro dopo settimane di degenza forzata in ospedale, in seguito a un infarto. Più deciso che mai a riprendere in mano casi e reputazione il più in fretta possibile, ignorando le disposizioni del proprio medico e della coriacea e petulante infermiera Miss Plimsoll, Robarts accetta di ricevere in studio il collega e procuratore Mayhew che intende affidargli la difesa dello squattrinato e ingenuo Leonard Vole, accusato dell’omicidio di Emily French, una ricca vedova.

La colpevolezza di Vole sembra lampante ma Sir Wilfrid è attratto dalla sfida professionale e, dopo qualche titubanza e malgrado l’ostinata opposizione di Miss Plimsoll, accetta di assumere la difesa di Vole, coadiuvato dal collega Brogan-Moore. La posizione di Vole si aggrava quando si scopre che la French gli ha lasciato in eredità la somma di 80.000 sterline, ed egli viene tratto in arresto. A fornirgli un alibi è sua moglie Christine Helm, che si presenta nello studio di Sir Wilfrid affermando di aver visto tornare a casa il marito all’ora esatta in cui veniva commesso il delitto.

Durante un successivo colloquio con Sir Wilfrid, Christine sorprende l’avvocato rivelandogli di non essere la legittima moglie di Vole ma di essersi fatta sposare pur avendo già un marito, allo scopo di lasciare la Germania distrutta dalla seconda guerra mondiale e di rifarsi una vita in Inghilterra. Il processo inizia e vengono ascoltati in aula i testimoni, fra i quali Janet MacKenzie, la governante della vittima, che si dimostra particolarmente ostile nei confronti dell’imputato. A sorpresa, l’accusa chiama a deporre proprio la moglie di Vole, la quale cambia inaspettatamente versione, negando di essere legalmente sposata con l’uomo e affermando che Vole, la sera del delitto, in realtà è rientrato a casa circa 45 minuti dopo rispetto a quanto riferito in precedenza e con gli abiti macchiati di sangue.

L’inattesa testimonianza a suo sfavore fa precipitare Vole nella disperazione, mentre Sir Wilfrid vede vacillare tutta la sua linea difensiva poiché la fredda e precisa deposizione dell’impietosa Christine è risultata estremamente convincente. Sir Wilfrid viene poi contattato da una misteriosa donna dall’accento cockney, che dichiara di essere in possesso di una serie di lettere d’amore scritte dalla Helm al suo amante. Intravedendo la possibilità di screditare la testimonianza della moglie di Vole, Sir Wilfrid ottiene le lettere, compresa una in cui Christine scrive espressamente al suo amante di voler incastrare il marito con una falsa testimonianza allo scopo di liberarsi di lui, e presenta il carteggio in tribunale, riuscendo abilmente a capovolgere la situazione e a provocare l’indignazione del pubblico nei confronti della donna, che sul banco dei testimoni perde il controllo e confessa i suoi spregevoli intenti.

Impressionata dal crollo emotivo di Christine Helm, dalle cui lettere risulta evidente il desiderio di sbarazzarsi del marito, la giuria dichiara Vole innocente. Mentre riceve i complimenti dai legali avversari, Sir Wilfrid non è però del tutto soddisfatto, poiché è convinto che alcuni aspetti della vicenda non siano stati chiariti. Rimasto a riflettere nell’aula ormai vuota, viene raggiunto da Christine Helm, la quale gli rivela che tutto è stato una farsa: la misteriosa donna dall’accento cockney non era altri che lei travestita, con in mano delle lettere false; dovendo rinunciare a deporre in favore del marito, che sapeva colpevole, aveva preferito testimoniargli contro, e ciò proprio allo scopo di essere poi sbugiardata in pubblico dall’avvocato e quindi indirettamente di salvare Vole, anche a costo di dover scontare una pena per falsa testimonianza.

Christine però ignora che il marito ha da tempo trovato un’altra donna, che compare in scena in quel momento insieme a Vole, il quale respinge infatti l’abbraccio della moglie con indifferenza; ferita e umiliata, Christine afferra un coltello, reperto lasciato su un tavolo durante l’udienza, con cui lo trafigge all’addome, vendicandosi dell’ignobile tradimento, sotto lo sguardo sgomento dell’amante e di Sir Wilfrid. Miss Plimsoll commenta stupefatta l’accaduto dicendo: “l’ha ammazzato“; tuttavia l’avvocato corregge la sua infermiera, precisando che più che aver ammazzato Vole, Christine “lo ha giustiziato“. Quando la donna viene portata via dagli agenti, Sir Wilfrid – sotto lo sguardo finalmente benevolo e comprensivo di Miss Plimsoll – annuncia di volersi subito mettere al lavoro per assumere la difesa di Christine.

 

 

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Riconoscimenti

  • 1958 – Premio Oscar
    • Candidatura al Miglior film a Arthur Hornblow Jr.
    • Candidatura alla Migliore regia a Billy Wilder
    • Candidatura al Miglior attore protagonista a Charles Laughton
    • Candidatura alla Miglior attrice non protagonista a Elsa Lanchester
    • Candidatura al Miglior montaggio a Daniel Mandell
    • Candidatura al Miglior sonoro a Gordon Sawyer
  • 1958 – Golden Globe
    • Miglior attrice non protagonista a Elsa Lanchester
    • Candidatura al Miglior film drammatico
    • Candidatura alla Migliore regia a Billy Wilder
    • Candidatura al Miglior attore in un film drammatico a Charles Laughton
    • Candidatura alla Miglior attrice in un film drammatico a Marlene Dietrich
  • 1959 – Premio BAFTA
    • Candidatura al Miglior attore straniero a Charles Laughton
  • 1958 – David di Donatello
    • Miglior attore straniero a Charles Laughton

(Christine travestita a Sir Wilfrid)

 

 

 

 

RECENSIONE DA SENTIERI SELVAGGI :::

1 Novembre 2018 

di Martina Puliatti

Testimone d’accusa, di Billy Wilder

 

 

Il nodo centrale di un film come Witness for the Prosecution sembrerebbe far capolino con leggerezza tra brandelli di dialoghi e accenni gestuali, sottolineature ironiche e amarissime al contempo, messe in fila con arguzia a definire un ritratto filmico ben preciso, per poi subito capovolgerlo a sorpresa con insuperabile maestria. Il monocolo tenuto perennemente nel taschino da Sir Wilfrid Robarts, e puntato all’occorrenza su chi risulti sospetto o degno di analisi psicologica approfondita, è quello strumento del vedere attraverso il quale Billy Wilder segnala apertamente allo spettatore uno stato d’allerta, un dubbio sotterraneo nutrito verso ciascuno dei suoi personaggi, tutti in qualche modo ritenuti degni di una diffidenza. Giustappunto, Testimone d’accusa nasce dalla penna sagace di Agatha Christie (1925), che nel 1953 ne fece una commedia teatrale di notevole successo; e, proprio il genio giallista dell’intrigo, pare avere definito il film di Wilder come la migliore trasposizione tratta da una sua opera.

Wilder, lo si sa, amava cominciare le sue storie dalla fine riavvolgendone il nastro per catene di flashback (La fiamma del peccatoViale del tramonto): anche stavolta le luci si accendono in medias res, su quel palcoscenico melodrammatico che sarà l’aula di un tribunale inglese – incipit quasi identico all’hitchcockiano Il caso Paradine di dieci anni prima – ; ma non è ancora tempo per lo spettatore di calarsi tra i colpi di scena del processo giudiziario a carico di Leonard Vole (Tyrone Power), accusato dell’omicidio di Mrs. French (Norma Varden), ultimo ad avere visto la signora in vita nonché erede di un’ingente somma di denaro lasciatagli dalla ricca vedova. Wilder torna indietro, allora; precisamente, al momento in cui il caso, apparentemente catastrofico, viene preso in carico dall’anziano avvocato penalista Robarts, proprio quel Charles Laughton che del “caso Paradine” era stato giudice ripugnante e perfetto mostro hitchcockiano.

 

In questo caso, Robarts/Laughton diventa portavoce umoristico della visione autoriale su convenzioni e cliché dell’epoca: da una lampante misoginia espressa in tutte le salse – e proprio al fianco della moglie Elsa Lanchester, in duetti strepitosi – a un infantilismo latente della classe sociale dominante, per sopraggiungere infine a una sottile riflessione sull’ambiguità delle apparenze, tutta condensata in quel «Fa un’ottima impressione» riferito a Vole e basato sul niente.

Lo stereotipo investe di prepotenza proprio il personaggio femminile dominante, una Marlene Dietrich messa a forza nel ruolo di moglie “addolorata”, figura spigolosa e respingente rispetto a ciò che gli uomini si aspettano da lei. Marlene-virago è il personaggio con cui Wilder si diverte di più a costruire travestitismi allusivi e rovesciamenti della convenzione: straniera, quindi giudicata dai più fuori contesto; di bellezza mascolina e per ciò stesso ambigua; showgirl che si esibisce in pantaloni deludendo l’aspettativa maschile; così poco melodrammatica – ergo, femminile – durante il processo ma così sostanzialmente vera con tutte le sue calcolate menzogne.Il dramma processuale torna infine al punto di partenza – il verdetto – , togliendo la maschera a una difesa-spettacolo essenzialmente fondata sul falsobrillante scatola cinese di metacinema, dove mettere sotto accusa ciò che crediamo di avere visto in superficie.

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  1. Donatella scrive:

    Me lo ricordo come un film teso dall’inizio alla fine. Tyrone Power (allora pronunciavamo Tirone Pover) , che in genere rappresentava personaggi ” buoni”, lì faceva un uomo apparentemente buono ma in realtà egoista e capace di uccidere per il proprio interesse. Al contrario la Dietrich, con la sua aria un po’ sprezzante e gelida, era quella che si rivelava passionale, capace di difendere a proprio scapito l’uomo di cui era innamorata e anche di ucciderlo ( giustiziarlo) quando scopre la sua infamia. Il continuo scoprire lati oscuri dei personaggi ci tiene col fiato sospeso fino alla fine, quando dobbiamo raccapezzarci su quanto è avvenuto e mettere in ordine i nostri sentimenti verso i vari personaggi. La “roccia” del film è il giudice, rappresentato da uno splendido Charles Laughton, impassibile e intimamente ” giusto” verso le miserie umane.
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