grazie al ” grande Nemo ” ! ALBERTO PUPPO, INTERVISTA ALL’ ALLORA SINDACO DI GENOVA, GIUSEPPE PERICU — Pericu: “G8, mai fatta luce sulle responsabilità politiche” GENOVA.REPUBBLICA.IT — 14 LUGLIO 2021

 

Le perle di Nemo

 

 

 

GENOVA.REPUBBLICA.IT — 14 LUGLIO 2021

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L'ex sindaco Pericu sul Morandi: "Dal governo (ormai passato) atteggiamento  contraddittorio, speriamo ora si faccia in fretta" - Lavocedigenova.it

Giuseppe Romeo Pericu (Genova, 20 ottobre 1937) è un politico italiano, sindaco di Genova dal 1997 al 2007.

da:

https://it.wikipedia.org/wiki/Giuseppe_Pericu

 

 

 

 

 

 

Pericu: “G8, mai fatta luce sulle responsabilità politiche”

di Alberto Puppo

“I container a sbarrare le strade furono un insulto alla città. E nessuno ci fece mai neppure vedere le grate che avrebbero circondato la zona rossa”

14 LUGLIO 2021

 

È una storia di idee e barricate, di cocktail e cantieri, di ministri incapaci e verità negate, una storia in cui ci si attrezza a fronteggiare il fantasma (ancora in vita) di Bin Laden ma dove i carabinieri paracadutisti si perdono come bambini nel centro di Genova. È il G8 di Giuseppe Pericu, allora sindaco.

Sindaco Pericu, Genova venne scelta per ospitare il G8 alla fine del 1999, quando già a Seattle divampava la prima rivolta. Quale fu la sua prima reazione?

«Fu positiva. In quel momento avevamo ben presente l’immagine del G8 di Napoli. In quel caso si parlò addirittura di rinascimento della città. La presenza del movimento no global sembrava qualcosa di trascurabile. Poi però le cose iniziarono a cambiare. Ci furono fatti molto gravi a Goteborg e a Napoli, a un vertice europeo. La mobilitazione acquisì una consistenza diversa e le proposte culturali e politiche iniziarono a trovare più spazio».

 

Lei, da subito, dovette confrontarsi con il governo, anzi, con i governi, perché in due anni se ne succedettero addirittura quattro. Fu un rapporto molto complicato.

«Non all’inizio. Con D’Alema parlammo poco, perché i tempi erano ancora lontani. Ma con Linda Lanzillotta, segretaria generale di Amato, lavorammo in grande sintonia e iniziammo a programmare la presenza dei manifestanti a Genova. Poi però il presidente del consiglio decise che la questione sarebbe diventata di competenza del ministro degli esteri, Dini. E tutto cambiò»

Lei, tempo fa, disse che con Dini, al massimo, si sarebbe potuto discutere di cocktail…

«Non ricordo le parole esatte ma il senso è quello. L’unica certezza che percepivamo era quella che le cose sarebbero andato male. In questa situazione ci trovavamo anche in grande disagio nei confronti del Genoa Social Forum, che ci presentava richieste davanti a cui eravamo impotenti».

Un mese prima del vertice, poi, si insedia il Berlusconi-bis.

«Con il ministro Ruggiero, diplomatico di grande esperienza, ci fu una buona collaborazione. Sposò subito la nostra tesi che a Genova si sarebbero dovuto svolgere regolarmente la manifestazioni. Per noi fu un’apertura importante, perché nei mesi scorsi qualcuno aveva addirittura ipotizzato di chiudere tutta la Liguria. Il ministro ci assicurò anche che non c’era alcuna volontà di reprimere il movimento. Poi però le cose presero un’altra piega».

La Liguria non fu sprangata, mai il centro di Genova, sì. L’immagine delle grate resta indelebile.

«Quelle di Ruggiero rimasero dichiarazioni di principio. Alla vigilia del G8 noi avevamo concluso il nostro compito e le operazioni erano passate in mano a prefettura e questura. Si iniziò a parlare di zona rossa. Inizialmente pensammo a qualche transenna, tipo Giro d’Italia, invece scoprimmo che si trattava di griglie altissime che chiudevano un’intera zona della città. E che nessuno ci fece mai vedere».

Nessuno chiese, se non un consenso, almeno un parere?

«No, anzi, ci spiegarono che era indispensabile blindare la zona perché, alla minacce dei contestatori che annunciavano di voler bloccare il vertice, si aggiungevano gli allarmi dei servizi di intelligence stranieri. Qualcuno parlò anche di un possibile attacco da parte di Bin Laden. Sembrava una minaccia assurda, poi è arrivatol’11 settembre.

Mettiamo da parte Bin Laden. Lei rimase molto colpito, ancor più che dalle griglie, dai container a bordo strada.

«Quello fu un altro insulto alla città. Ovviamente nessuno ci disse nulla. Cominciammo ad avere la sensazione che alla polizia interessasse solo presidiare la zona rossa. Del resto sembrava non importare nulla a nessuno».

E qui arriviamo alla gestione dell’ordine pubblico. Piuttosto discutibile.

«Io andrei oltre questo eufemismo. Quando, il venerdì, iniziarono gli assalti dei black bloc, indisturbati, io protestai, ma fu inutile. Era evidente che, se qualche gruppo spaccava auto e vetrine lontano dalla zona rossa, non era quello il problema da risolvere».

In via Tolemaide, però, non ci si limita a difendere la zona rossa: un corteo autorizzato viene improvvisamente attaccato.

«Una manifestazione controllabile venne attaccata in maniera ingiustificata dai carabinieri. Su quell’episodio ricordo aneddoti incredibili. A cominciare dal Tuscania che non trova la strada. Qui venne il sospetto, di cui si trovò ulteriori indizi alla Diaz e a Bolzaneto, che fossero arrivate alle forze dell’ordine disposizioni che, in qualche modo, le inducessero a reprimere le proteste piuttosto che a garantirne lo svolgimento».

Dopo vent’anni, su questo fronte, la nebbia resta fitta.

«Noi abbiamo chiesto con insistenza che venisse istituita una commissione d’inchiesta. Perché i processi hanno accertato le responsabilità personali, ma non si è assolutamente fatto luce su quelle politiche. Ma il Parlamento non ha mai preso in considerazione l’idea».

Vent’anni dopo, quale sentimento prevale?

«Ho un pensiero, in particolare: l’attenzione è rimasta rivolta su quello che è successo in quei tre giorni. In realtà, prima, ci fu un enorme dibattito politico e culturale. Limitare la considerazione del G8 agli scontri è limitato. Il movimento contestava la globalizzazione, anche con molte contraddizioni, ma i governi erano sordi alle sue richieste. Senza alcuna intenzione di ascoltare, ma neppure alcuna facoltà di decidere. Perché allora, come oggi. i veri poteri, quelli economici, sono altrove.

 

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