GRANDI ARTISTI CHE VISSERO E TESTIMONIARONO CON I LORO DIPINTI L’OLOCAUSTO — vari link

 

 

 

http://www.icbrin.edu.it/giorno-della-memoria/

 

 

 

Auschwitz Memorial on Twitter: "Almost all paintings & drawings by David Olère are presented in the exhibition catalogue. They are accompanied by historical background as well as excerpts from Sonderkommando members' accounts

 

 

 

Il detenuto David Olére divenne membro del Sonderkommando, uno speciale gruppo di deportati (per lo più ebrei), obbligati a collaborare con le autorità nazionalsocialiste all’interno del lager, ad Auschwitz e altri campi dal 2 marzo 1943 fino alla sua liberazione avvenuta il 6 maggio 1945.

La sua arte riproduce gli orrori dei campi di morte con cruda essenzialità.

 

 

Nessuna descrizione della foto disponibile.

David Olére   L’arrivo di un convoglio, 1945

da :

FACEBOOK  ISPAC

https://www.facebook.com/istitutoispac/posts/1083482468657965/

 

 

 

Fiera delle Vanità: David Olère

FOTO DI DAVID OLERE
Foto : Fiera della Vanità

 

Il pittore ebreo David Olère, era nato a Varsavia il 19 gennaio 1902, naturalizzato francese nel 1937. Pittore e cartellonista dell’Ecole de Paris, Olère frequentò gli ambienti artistici di Montmartre e Montparnasse nella Parigi degli anni Venti e Trenta. Mobilitato nel 1939, perse il proprio lavoro nel 1940 e subì le umiliazioni imposte agli ebrei dal governo di Vichy. Arrestato il 20 febbraio del 1943 dalla polizia francese, venne deportato da Drancy ad Auschwitz-Birkenau nel convoglio 49 del 2 marzo 1943. Fece parte del Sonderkommando per tutto il periodo della detenzione (matricola 106144). Evacuato di nascosto il 19 gennaio 1945 a fronte dell’avanzata dell’Armata rossa, sopravvisse alla “marcia della morte” che lo condusse a Mauthausen ed Ebensee (Austria), dove venne liberato dall’esercito americano il 6 maggio 1945. Tornato dai campi, non smise di etstimoniare – con i disegni e i quadri – l’orrore di queglil anni. David Olère è morto il 2 agosto 1985 nei pressi di Parigi.

 

 

 

 

Il  Sonderkommando era una squadra speciale selezionata tra i deportati con l’incarico di far funzionare la spietata macchina di sterminio nazista.

 

 

 

Disegni  fatti durante il suo lavoro al Sonderkommando.

 

 

 

 

 

David Olère, I cadaveri vengono portati nella fornace (1945; disegno; Lohamei HaGeta’ot, Ghetto Fighters House)

 

TESTO SULLA VITA + UN QUADRO E TRE DISEGNI DA :

David Olère, un pittore testimone dell’olocausto

 

 

David Olère - Il cibo dei morti per i vivi

David Olére  The Food of the Dead for the Living- il cibo dei morti  per i vivi- Autoritratto

 

 

 

 

 

 

David Olere paintings

 

 

 

 

 

 

 

The Experimental Injection

David Olére  The Experimental injection— L’iniezione sperimentale
https://fcit.usf.edu/holocaust/gallery2/D83.HTM

 

 

 

 

 

 

 

 


Marcia dei detenuti- 1945

 

 

 

 

Vivevo in un quotidiano paesaggio di morti, di moribondi in un’apatica attesa. Nella sala dove ci si lavava, lungo il muro, accatastati altri cadaveri per l’impossibilità di bruciarli subito. Comincio timidamente a disegnare. Forse così mi salvo. Nel pericolo avrò forse una ragione di resistere. Prima provo, di nascosto. Cose viste strada facendo verso la fabbrica: l’arrivo di un carro bestiame aperto. Cascano fuori i morti .Presto sono preso da un’incredibile frenesia di disegnare. Quanta tragica eleganza in questi fragili corpi. Queste mani, le dita sottili, i piedi, le bocche aperte nell’ultimo tentativo di aspirare ancora un po’ di aria. Le ossa coperte di una pelle bianca, quasi celestina”.

(David Olére)

 

 

 

 

 

 

 

Non dimenticare

 

 

 

 

 

 

David Olère (1902 – 1985, Polish-born French) | LA CONCHIGLIA DI VENERE

David Olére  Camera a gas

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Leslie Cole – a war artist in Malta

LESLIE COLE- AUTORITRATTO, 1958

Leslie James Cole (Swindon, England, 11 August 1910 – 1976), artista e insegnante d’arte britannico, prestò servizio dal ’42 al ’46 durante la guerra e registrò molti episodi, tra cui il principale fu la liberazione del campo di concentramento di Belsen

 

 

 

 

 

 

Le fosse dipinte da Leslie Cole sono tra le testimonianze più drammatiche del genocidio nazista.

 

 

Leslie Cole  One of the Death Pits, Belsen; SS guards collecting bodies – 1945

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Leslie Cole  Campo di Belsen  La zona per le donne  

 

 

 

 

 

 

Mother Mourning the Death of a Village Priest, (1945) (Art.IWM ART LD 5042)

Lutto di una madre alla morte del prete del villaggio- 1945

 

 

 

 

 

Ordinato sul suo Giri in x Reparto , Changi Prigione , Singapore , con i prigionieri della guerra Sofferenza da starvation e beriberi, 1945 di Leslie Cole (1910-1976, United Kingdom) | | ArtsDot.com

Singapore, 1945

 

 

 

 

 

Leslie Cole – Stirlings in Production (1943)

 

 

 

 

 

WarMuseum.ca - Art and War - British women and children interned in a Japanese prison camp, Syme Road, Singapore - Leslie Cole

Singapore, 1945

 

 

 

 

 

Malta , l`ipogeo Persone di Paula Riparo durante un Incursione, 1943 di Leslie Cole (1910-1976, United Kingdom) | | WahooArt.com

Malta , l’ipogeo Persone di Paula Riparo durante un Incursione”. 1943

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Credit: Gamma-Rapho via Getty Images/Bertrand RIEGER

Anton Zoran Mušič (Boccavizza, 12 febbraio 1909 – Venezia, 25 maggio 2005) è stato un pittore e incisore sloveno, esponente della nuova Scuola di Parigi.

Mušič nacque in una famiglia di lingua slovena nel villaggio di Bukovica/Boccavizza presso Gorizia (allora parte della Contea di Gorizia e Gradisca), AU, oggi Slovenia. Dopo aver terminato gli studi all’Accademia dell’Arte di Zagabria nel 1934, Mušič cominciò la sua carriera con lunghi viaggi (1935 – 1940), trascorrendo alcuni mesi (tre) a Madrid, a Curzola; visse a Maribor, e Lubiana prima di stabilirsi a Trieste e a Venezia (ottobre 1943) dove sposa Ida Barbarigo Cadorin (settembre 1949) che considererà per tutta la vita la sua unica musa ispiratrice. Nel novembre 1944, durante la seconda guerra mondiale, fu deportato nel campo di concentramento di Dachau, dove riuscì a ritrarre segretamente la vita del campo in circostanze estremamente difficili e pericolose. Ventiquattro disegni di Mušič firmati e datati Dachau 1945, che testimoniano la vita e la morte nel campo di concentramento, sono stati recentemente rinvenuti dal prof. Franco Cecotti di Trieste negli archivi di ANPI, ANED, ANPPIA e dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli Venezia Giulia. Sono attualmente raccolti nel Museo Revoltella di Trieste e rappresentano la più cospicua serie di disegni di Mušič sul tema della deportazione.

Dopo la sua liberazione, avvenuta nel 1945, Mušič fece ritorno a Lubiana, da cui passò a Gorizia, in Istria (Pinguente) e a Venezia, dove vinse il premio Gualino alla Biennale del 1950. Nel 1951 gli fu assegnato, insieme al pittore italiano Antonio Corpora, il Premio Parigi, organizzato a Cortina d’Ampezzo dal Centro culturale italiano di Parigi su consiglio di Campigli e Severini.

Una nuova fase della sua pittura si evolse attorno alla rappresentazione dei paesaggi dalmati della sua gioventù. Successivamente, si concentrò soprattutto sull’ambiente circostante, ossia i paesaggi italiani. Fu stilisticamente influenzato dai mosaici e dalle icone bizantine a Venezia.

 

 

 

 

 

Music-in-Paris

MUSIC A PARIGI

 

 

 

Negli anni cinquanta trascorse un certo periodo a lavorare a Parigi, studiando “l’astrazione lirica” francese, per fare poi ritorno al suo atelier veneziano. Nel 1956 e nel 1960 partecipò nuovamente alla Biennale. Dopo aver ricevuto numerosi riconoscimenti per il suo lavoro grafico, a partire dagli anni sessanta i motivi organici di Mušič divennero sempre più astratti e le sue composizioni abbandonarono i canoni della tridimensionalità.

Una nuova serie di opere, databili tra il 1970 e il 1976, intitolata Noi non siamo gli ultimi (in francese: Nous ne sommes pas les derniers), nelle quali l’artista trasformò il terrore e l’inferno della prigionia nel campo di concentramento di Dachau in documenti di una tragedia universale, ebbe enorme successo e fu certamente la più acclamata dalla critica.

La produzione di Zoran Mušič è stata onorata in numerosissime esposizioni internazionali, e a tutt’oggi le sue apprezzatissime opere sono conservate nei più importanti musei del mondo, principalmente in Italia, Slovenia, Francia, Spagna, Germania e Stati Uniti.

Mušič è conosciuto anche con il soprannome de “il pittore dei cavallini”, per via di un suo ricorrente soggetto, appunto i cavalli.

La firma dell’artista.

È sepolto a Venezia, nel cimitero monumentale di San Michele

 

wikipedia

https://it.wikipedia.org/wiki/Zoran_Mu%C5%A1i%C4%8D

 

 

 

Anton Zoran Mušič, deportato a Dachau nel 1944,  ha avuto il coraggio di ricordare ciò che aveva sperimentato personalmente (era assolutamente vietato ritrarre momenti della vita del campo) e in alcune sue opere ha fissato lo sguardo, suo e nostro, sulla realtà grottesca, assurda e demoniaca dei campi di concentramento.

Aspetti di crudeltà e di sadismo si rincorrono nei suoi dipinti, dando origine a volti disumani, pose tragicamente deformate, profili frastagliati, che hanno la forza di svelare e di trascrivere la drammatica vicenda di una follia collettiva.

 

 

Anton Zoran Mušič      Corpi accatastati

 

 

 

 

We Are Not the Last', Zoran Music, 1970 | Tate

dalla raccolta ” Nous ne sommes pas les dernier “, 1970- ’76

Tate Gallery

 

 

Zoran Music | We Are Not The Last | The Metropolitan Museum of Art

stessa raccolta– MOMA

 

 

 

 

We Are not the Last - Zoran Music | W&K gallery

https://www.w-k.art/artists/zoran_music/works/wir_sind_nicht_die_letzten_2508?l=en

 

 

 

Anton Zoran Mušič    Senza titolo

 

 

 

 

 

 

 

Zoran Mušič; We are not the last; 1971 | Zoran Mušič (12 Feb… | Flickr

1971 — stessa raccolta —

Flickr

 

 

 

 

We Are Not the Last', Zoran Music, 1970 | Tate

stessa raccolta — TATE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

opere sopra da:

 

The dying world of Zoran Music

 

 

 

Zoran-Music-Wir-sind-nicht-die-Letzten-1-768x594

Nous ne sommes pas les dernier “, 1970- ’76

 

 

MUSIC NEL SUO ATELIER

 

 

 

We Are Not the Last', Zoran Music, 1975 | Tate

1971 — TATE

 

 

 

All works of the series "Painter of Death" by Zoran Music

https://www.zoran-music-comarte.com/en/about-zoran-music/painter-of-death/

 

 

 

 

 

DACHAU, 1945

 

 

 

 

 

 

1970 | Watercolor, gouache, pastel and colored pencil on paper

 

 

 

 

 

1970 | Ballpoint pen on paper

 

 

 

 

1987 | Watercolor on paper

 

 

 

 

 

 

1970 | Red chalk drawing on paper

 

 

 

1970 | Pencil on paper

 

 

 

 

1975 –Oil pastel on paper

 

 

DA :

 

https://www.zoran-music-comarte.com/en/about-zoran-music/painter-of-death/

 

 

 

 

Born in 1927 in Prague, in 1941, artist Edith Birkin née Hofmann and her family were deported to the Litzmannstadt Ghetto in what is now the city of Lodz in Poland

EDITH BIRKIN ( Praga, 1927  – Hereford, 2018)

 

Fece ritorno a Praga, ma nessuno della sua famiglia e dei suoi amici era ancora vivo; le era rimasta solo una sorella più grande che viveva in Inghilterra.

“Girovagavo per Praga e mi sentivo disperatamente sola, perché all’improvviso ho capito che non c’era nessuno”, racconta Birkin. “C’era un ufficio a Praga con liste e liste di persone che tornavano. Sono andata a vedere questi elenchi ogni giorno, sperando che qualcuno tornasse, ma nessuno della famiglia è tornato. Ricordo di aver camminato devastata per Praga, e mi sono resa conto che ero sola al mondo, che non conoscevo nessuno. Penso sia stato davvero il periodo peggiore della guerra. Sebbene fossimo stati liberati, è stato il momento peggiore perché ci siamo resi conto e ho capito che nessuno sarebbe tornato, e che la vita non sarebbe mai stata più la stessa, e quello che speravo sarebbe successo dopo la guerra non sarebbe mai accaduto. La speranza era svanita. Perché fino ad allora si aveva la speranza dell’esistenza di un piccolo gruppo di persone che si conoscevano, un parente, degli amici, e si sarebbe ricominciata la vita in una comunità; sposarsi, avere figli e… sai, andare avanti. Ma non c’era assolutamente nessuno che conoscessi”.

Negli anni Settanta cominciò a studiare pittura e trovò lavoro come insegnante. Iniziò a realizzare una lunga serie di opere d’arte nel 1983 circa, incentrata su memorie dell’Olocausto

 

 

 

Edith Birkin, Carretto della morte - Ghetto di Łódź (1980-1982; 71,2 x 91,4 cm; Londra, Imperial War Museum)

Edith Birkin, Carretto della morte – Ghetto di Łódź (1980-1982; 71,2 x 91,4 cm; Londra, Imperial War Museum)

 

 

 

 

 

Edith Birkin fu mandata con la sua famiglia al Ghetto di Lodz nel 1941.

I suoi genitori morirono lì entro un anno e quando il ghetto fu liquidato, Edith fu mandata ad Auschwitz.

Arrivò, nel 1945, a Belsen, dove fu liberata il mese seguente.

 

Edith Birkin   The last goodbye

 

 

 

 

Edith Birkin, Giorno della liberazione (1980-1982; 53,3 x 45,7 cm; Londra, Imperial War Museum)

Edith Birkin, Giorno della liberazione (1980-1982; 53,3 x 45,7 cm; Londra, Imperial War Museum)

 

 

 

One of the paintings shows a crowd by the train tracks, divided into two groups, awaiting selection for the gas chambers, the notorious railway entrance to the camp is seen in the background and the sky is filled with angry reddish colours and black smoke - it was painted by former inmate Edith Birkin née Hofmann, a Czech jew who was sent to the camp in 1944

1944

 

 

 

 

One of the paintings shows a smaller gaunt figure, perhaps a woman or child, collapsed on the ground in another's arms

 

 

 

 

 

 

 

In one of the works an elderly woman, a shawl around her head and a Star of David emblazoned on her chest, stands with her hands folded, looking exhaustively through the barbed wire fence

 

 

 

 

 

 

Another image of the infamous central entrance shows the area almost entirely desolate, save for bags of luggage and children's toys strewn about on the floor, abandoned by the victims

 

 

 

 

 

 

 

This Birkin painting shows a sallow prisoner collapsed on a barbed wire fence, with a smoking chimney from the extermination camp spewing forth in the background

 

 

DA:

https://www.dailymail.co.uk/news/article-7575729/The-hells-horrors-Auschwitz-Death-camp-survivors-paintings-witnessed.html

 

 

 

I gemelli del dipinto sono descritti da Birkin, in un’intervista del 1983, come persone che lei ha visto mentre era prigioniera ad Auschwitz, in un campo separato separato dal resto:

«Ogni coppia di gemelli stava insieme guardando attraverso il filo spinato»

 

Edith Birkin   Un campo di gemelli. Auschwitz,  (1980-1982; 71,2 x 91,4 cm; Londra, Imperial War Museum)

 

 

 

 

Edith Birkin, L'Ultimo respiro - Camera a gas (1980-1982; 50,8 x 60,9 cm; Londra, Imperial War Museum)

Edith Birkin, L’Ultimo respiro – Camera a gas (1980-1982; 50,8 x 60,9 cm; Londra, Imperial War Museum)

 

 

alcune opere da:

FINESTRE SULL’ARTE

https://www.finestresullarte.info/opere-e-artisti/edith-birkin-sopravvissuta-olocausto-diventata-artista

 

 

 

 

 

Una delle più tragiche vigilie di Natale, fu la prima dietro il filo spinato del Campo – il 24 dicembre 1940.

Sul piazzale degli appelli, i nazisti allestirono un albero di Natale illuminato con luci elettriche. Sotto l’albero  furono posti i corpi di prigionieri morti durante il lavoro oppure congelati durante il lungo appello.

L’ ex deportato Karol Świętorzecki nella sua testimonianza ricordava che il Lagerführer Karl Fritzsch disse a tutti i prigionieri che  i cadaveri sotto l’albero erano un  “regalo” per i vivi e proibì canti natalizi polacchi.

 

 

 

Wladyslaw Siwek   Notte di Natale, 1940

 

 

 

 

 

«Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? Te ne stai lontano, senza soccorrermi, senza dare ascolto alle parole del mio gemito! Dio mio, io grido di giorno, ma tu non rispondi, e anche di notte, senza interruzione».

(Salmo 22)

 

Morris Kestelman   Lama Sabachtani  [Perchè mi hai abbandonato?]

 

 

 

 

 

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1 risposta a GRANDI ARTISTI CHE VISSERO E TESTIMONIARONO CON I LORO DIPINTI L’OLOCAUSTO — vari link

  1. ueue scrive:

    Ricordiamoci che tutto questo può tornare.

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