– Peter Brook – I fili del tempo ( la sua autobiografia ) di Aut Laud – video, 2.10

 

 

Copertina di: I fili del tempo : memorie di una vita

I fili del tempo. Memorie di una vita, Feltrinelli, 2001

 

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Tra i tanti aneddoti e riflessioni che Peter Brook dispiega nella sua autobiografia “I fili del tempo”, me ne è tornato alla mente uno su cui avevo, a quel tempo, dedicato un po’ di cura e di attenzione.

È grazie ad Aut Laud che sono tornato da quelle parti.

Perché è grazie ad Aut Laud che ho conosciuto Cinzia Piglione, insegnante e insegnante di storia dell’arte per giunta, cui mi sento dunque di dedicare queste considerazioni del maestro, sperando che ella (eh, sì, io scrivo “ella”) voglia commentare la sua osservazione. A me colpì molto.

 

“Il mondo dell’adulto era pieno di delusioni. Imparai rapidamente che Insegnare era l’ultima spiaggia per un laureato che non era riuscito a lavorare nel giornalismo o dell’editoria. Gli insegnanti di disegno terrorizzavano l’occhio e rendevano la mano impacciata; quelli di canto inibivano la voce; gli insegnanti di geografia rendevano il mondo uniforme e arido; gli insegnanti di religione chiudevano lo spirito alla meraviglia, quelli di ginnastica rendevano il movimento del corpo una punizione piuttosto che una gioia. Faceva eccezione il signor Taylor, il quale insegnava musica senza troppo entusiasmo perché il suo vero interesse era mettere su le recite scolastiche. Era giovane, scuro, impetuoso, un battitore libero affascinante che poteva essere malevolmente indiscreto nei confronti degli altri colleghi. Il più grande privilegio era essere invitati da lui per il tè, perché avrebbe spettegolato liberamente dei maestri e ragazzi. Un giorno stava chiacchierando con un gruppo di noi sui compiti che ci avrebbe dato per le vacanze, quando all’improvviso si girò verso di me e mi chiese: “Perché il fattore comune di tutte le arti è il ritmo?”. Ora mi rendo conto che, delle migliaia di parole di critica, esortazione e indirizzo morale pronunciate dai miei insegnanti riesco a ricordare soltanto questa singola frase. È un quesito che ancora mi dà filo da torcere e se questo è tutto ciò che mi hanno lasciato le tante scuole che ho frequentato, allora sono stato ben ripagato. Mi rese consapevole che il movimento dell’occhio che scorre davanti a un dipinto o alle volte e alle arcate di una grande cattedrale è legato ai salti e alle giravolte di un danzatore e alla pulsazione della musica. Il quesito allora è inesauribile: che cos’è che dà a un’opera d’arte il suo vero tempo e che cosa nella vita può dare alla successione informe dei movimenti il suo battito e il suo flusso veri?”

 

 

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