Ne avevamo già parlato il 24 agosto pubblicando un’intervista al regista + trailer :::
DONATELLA D’IMPORZANO
una foto di DONATELLA alla manifestazione del 1°maggio 2018 a Milano:::anche LUI … ha il suo rosso-primavera-dell’avvenire…
A questo punto vi parlo di ” Un affare di famiglia”, il film che ho visto ieri: Palma d’oro al Festival di Cannes del 2018, del giapponese Kore-Eda-Hirokazu. Il film, con una narrazione pacata, ci fa vedere la vita di una famiglia non tradizionale: padre, madre, nonna , figli.
Vivono in una specie di baracca in mezzo a palazzoni, si arrangiano con furtarelli, lavorano quando capita e usano la pensione della nonna che li fa sopravvivere. In famiglia c’è una grande serenità: queste persone si sono scelte e le difficoltà della vita, l’essere ai margini della società non incide sul loro umore e sull’affetto reciproco, vero, che dimostrano di avere.
Una sera di grande freddo trovano una bambina spaurita, che quasi non riesce a parlare. Pur con qualche dubbio, la accolgono in famiglia, anche se vengono a sapere che i genitori della bambina la stanno cercando.
Non intendono restituirla perché hanno visto sulle braccia della piccola dei segni di tortura.
La piccola si lega molto al ragazzino, che insegna anche a lei a rubare, fino a che il proprietario di un piccolo negozio di alimentari fa capire al ragazzo che quella non è la strada giusta, né per lui né per la piccola.
Il ragazzo, quasi adolescente, a questo punto rimane turbato e sceglie di lasciare in qualche modo la famiglia che finora lo ha accolto e in cui si trova bene.
Fingendo di rubare platealmente un sacchetto di arance, si fa prendere e la polizia comincia ad investigare su quella strana famiglia. Sono scene strazianti, perché tra tutti quei componenti raccogliticci, la famiglia era vera e sostenuta da un genuino amore reciproco.
Il ragazzo, che si è sganciato probabilmente per il futuro suo e della bambina, impressionato da quello che gli aveva detto il bottegaio, si scusa alla fine con il suo padre adottivo per tutto quello che ha provocato. In nessuno dei protagonisti c’è rancore, né nel padre ( che finalmente il ” figlio” riesce a chiamare “papà”), né nella ” madre”, che passerà parecchio tempo in prigione, perché si è addossata tutte le colpe.
L’unica sfortunata è la piccola bambina, che viene restituita ai genitori legittimi, assolutamente anafettivi e incapaci di volerle bene. L’unica cosa che le rimane di quella ” bella” per lei avventura sono i giochi che faceva con il ragazzino e che continua a ripetere in solitudine.
Complessivamente il film è un’elegia del mondo degli ultimi, che non sono né brutti né sporchi, né cattivi.
1951
Mi ha ricordato un po’ “Miracolo a Milano” , dove i lumpen venivano immaginati in modo poetico e capaci di reagire con la non violenza alla cruda realtà che avevano attorno.
Nel film giapponese la famiglia ” punita ” e la realtà che la circonda viene vista con sguardo disincantato e realistico. Tuttavia ci rimane il dubbio: perché la società condanna quella famiglia allo smembramento, quando tutti al suo interno erano felici? Perché la bambina, che nella famiglia occasionalmente trovata, si stava inserendo nella realtà affettiva e cominciava faticosamente ad esprimersi, viene rimandata nella sua famiglia d’origine, dove non farà che regredire?
I protagonisti del film ad un certo punto affermano che i genitori si dovrebbero poter scegliere da parte dei figli, pensiero impossibile a realizzarsi, ma quanti di noi in età adolescenziale l’hanno pensato con un po’ di irriverenza e di incoscienza?