25 SETTEMBRE 2013 ORE 22:28 SEX PISTOLS 1976 “ANARCHIA NEL REGNO UNITO”

 

 

DA PANORAMA:   VERIFICATE—SEMPRE CHE INTERESSI!

Sex Pistols. Alcol, sangue e anarchia: l’album dei ricordi di chi inventò il Punk

Oltraggiosa, violenta, beffarda: l’incredibile epopea della band che, 35 anni fa, ha «cercato di uccidere il rock’n’roll». Finendo con l’uccidere se stessa…

Sex Pistols. Alcol, sangue e anarchia: l'album dei ricordi di chi inventò il Punk

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di Gianni Poglio

«Prima del punk c’era solo noia, dopo il punk nemmeno quella».

Lo sostiene Johnny Rotten, voce e anima dei Sex Pistols. Sono passati 35 anni da quel giorno del 1976 quando una Gran Bretagna depressa, in recessione economica e paralizzata da centinaia di scioperi selvaggi nel settore pubblico, si risvegliò al grido di «Anarchy in the U.K.», titolo di una canzone dei Pistols ma anche manifesto della rivoluzione punk.

«Visto che vivevamo in un paese senza futuro, tanto valeva fare a pezzi il passato: le istituzioni, le tradizioni e anche la musica vecchia, quella roba moscia tipo Beatles, Pink Floyd, Genesis. È stato magnifico farsi una bella pisciata sul mondo, cercare di uccidere il rock’n’roll. Peccato non sia durato molto: due anni di furia cieca, poi i problemi con il manager, la morte di Sid (Vicious, bassista dei Sex Pistols, ucciso da un’overdose di eroina nel 1979, ndr)…».

Tutto era iniziato in un negozio d’abbigliamento fetishbondage denominato Sex al 430 di King’s road a Londra. Una manciata di metri quadrati gestiti da Malcolm McLaren (poi manager dei Pistols) e da Vivienne Westwood (oggi stilista affermata).

Lì nacque l’iconografia punk: le creste gialle, i capelli tinti di verde marcio, le spille da balia infilzate nelle guance e il poster della regina con un ago infilato nel naso. Lì Rotten fece l’audizione per diventare il frontman dei Sex Pistols.

«Cantai da schifo una canzone di Alice Cooper sputando liquore alla ciliegia sul pavimento. Malcolm mi prese subito e in poche settimane diventammo l’unica cosa viva di cui si parlava a Londra».

Fu la scintilla che innescò l’incendio: la città si popolò di ragazzi dai capelli verdi e arancioni, un’avanguardia nichilista, rozza, dai modi spicci, allergica alla musica ben suonata.

L’atmosfera delle notti sul Tamigi è tutta nel racconto di Nick Kent, nemico giurato dei punk in quanto critico musicale del «borghese» New Musical Express. Le sue memorie del tempo sono raccolte nel libro Apathy for the devil (edito dalla Arcana, in uscita ai primi di marzo 2011):

«Nell’aprile del 1976, Sid Vicious mi venne incontro in un punk club di Londra. Senza fiatare iniziò a tirarmi fendenti con una catena da bicicletta. Poi mi si parò davanti un suo complice, Jah Wobble, aveva in mano un coltellino a serramanico e me lo agitava a pochi centimetri dalla faccia. C’era del sangue rappreso sulla lama e uno sguardo di puro sadismo nei suoi occhi porcini, come se dovesse avere un orgasmo da un momento all’altro. Poi indietreggiò, lasciando che Sid mirasse al mio cranio.

Capivo che stavo rischiando la vita, perché vedevo sangue dappertutto: sul muro dietro di me e sul retro della mia giacca. Se mi avessero raggiunto un altro paio di catenate, sarei probabilmente morto. E il pubblico? Se ne stava lì, con la paura di reagire, godendosi voyeuristicamente lo spettacolo. Finalmente un buttafuori agguantò Sid da dietro, lo disarmò e lo trascinò all’uscita».

No, non fu teoria il punk.

«Azioni dirette, disturbo della quiete pubblica, oltraggio alle istituzioni, piscio, alcol e un po’ di sangue: era eccitante vedere i normali impauriti e schifati al nostro passaggio»

rievoca Rotten. Come quella volta che i Sex Pistols noleggiarono un barcone per suonare il nuovo oltraggioso 45 giri, God save the Queen, sul Tamigi, proprio nel giorno del giubileo d’argento della regina Elisabetta II.

«Davanti a Westminster alzammo al massimo il volume. Più che un suono, dalle casse fuoriusciva uno stridore metallico, la colonna sonora del caos. Sulla barca c’eravamo noi, il nostro staff e una trentina di punk che pogavano ubriachi. Fu l’apoteosi: dopo un lungo inseguimento la polizia ci arrestò tra i flash impazziti dei fotografi».

Non andò meglio a Heathrow, poco prima di un volo per Amsterdam.

«Tutta colpa dei superalcolici nella lounge d’attesa: il nostro chitarrista, Steve Jones, trangugiò di tutto e vomitò addosso a due vecchie in pelliccia che iniziarono a urlare come indemoniate».

Il tutto davanti a un paio di manager della casa discografica. Si dice che dopo questo episodio la Emi decise di rescindere il contratto con il gruppo. «Non fu difficile trovare un altro ingaggio» ricorda Rotten.

«Lo firmammo con la A&M. Per strada davanti a Buckingham Palace. Dopo una settimana ci licenziarono. Il party post firma nella loro sede milionaria non andò bene. Ci mancò l’eleganza delle grandi occasioni: Sid vomitò vino rosso sulla scrivania del direttore generale, qualcuno, non ricordo chi, defecò a macchia di leopardo lungo il corridoio principale e, complice la birra, infastidimmo un po’ le segretarie».

Gli ultimi bagliori prima della fine. Fulminea come l’ascesa, spiega Rotten:

«La provocazione stava diventando farsa, con Sid ridotto a uno zombie in balia dell’eroina. Il senso del nostro esistere era incendiare tutto: tirare a campare non è mai stata un’opzione per me. Così, a San Francisco, ho chiuso l’ultimo show con queste parole: “Addio, il divertimento è finito”».

 

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