VIDEO, 33 minuti ++ GIORGIO CUSCITO, Per la Cina, il ritiro Usa dall’Afghanistan genera più incognite che opportunità — LIMES ONLINE DEL 10 GIUGNO 2021 

 

 

VIDEO: 33 minuti

GIORGIO SCUCITO E ALFONSO DESIDERIO::

IL RITIRO DEGLI USA, LA TRAPPOLA PER LA RUSSIA  E CINA

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Afghanistan, il ritiro degli Usa. La trappola per Russia e Cina. Il Pakistan in bilico – Mappa Mundi — 33 minuti ca

 

 

TESTO::

 

LIMES ONLINE DEL 10 GIUGNO 2021 

https://www.limesonline.com/rubrica/usa-soldati-ritiro-afghanistan-cina-xinjiang

 

 

Per la Cina, il ritiro Usa dall’Afghanistan genera più incognite che opportunità

 

 

 

Carta di Laura Canali, gennaio 2017

AFGHANISTAN / CINA — quel corridoietto viola tra il Tagikistan e il Pakistan confina con la Cina– quel confine bianco che s’intravvede è Cina

 10/06/2021

BOLLETTINO IMPERIALE 

 

Pechino teme che l’assenza di soldati americani e Nato favorisca l’instabilità del paese confinante con il Xinjiang. Il coinvolgimento di Kabul nel corridoio sino-pakistano potrebbe accelerare la penetrazione della Repubblica Popolare nella sfera d’influenza dell’India.

 

di Giorgio Cuscito

 

Il ritiro dei tremila soldati degli Stati Uniti e delle truppe Nato dall’Afghanistan entro l’11 settembre sta spingendo la Repubblica Popolare Cinese a stringere i rapporti con Kabul. Nello specifico, Pechino vuole coinvolgere quest’ultima nel corridoio Cina-Pakistan, ramo terrestre della Belt and Road Initiative (Bri, nuove vie della seta) che unisce Kashi (o Kashagar, nel Xinjiang) al porto pakistano di Gwadar.

Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi ha esplicitato questo proposito lo scorso 3 giugno durante una videoconferenza con i rappresentanti di Kabul e Islamabad.

 

La Repubblica Popolare teme che il vuoto di potere lasciato dagli Usa stimoli i taliban a guadagnare nuovamente potere e in generale alimenti l’instabilità lungo il confine con il Xinjiang.

 

I media cinesi non celano la rilevanza della questione: confermano che per Pechino curarsi della “periferia” è la “base della stabilità”; esaltano tatticamente i benefici dell’interazione sino-afghana; pongono l’accento sul fatto che gli Usa escono sconfitti e “in maniera irresponsabile” dalla cosiddetta “tomba degli imperi” (l’Afghanistan) dopo aver contribuito alla sua destabilizzazione con una guerra durata vent’anni.

 

Il ritiro americano dipende innanzitutto dalla necessità di Washington di concentrarsi sulla crisi identitaria domestica, segnata dal modo assai diverso in cui le Americhe (coste, Midwest e profondo Sud) vivono la difficile compatibilità tra ambizioni imperiali e benessere. Inoltre, la Casa Bianca preferisce concentrare le attività militari sue e della Nato nel contenimento marittimo della Repubblica Popolare, in particolare nel Mar Cinese Meridionale e intorno a Taiwan. Contestualmente, Washington ritiene che il vuoto di potere lasciato in Afghanistan potrebbe attrarre come una calamita le rivali Russia e Cina, togliendo loro tempo e denaro.

 

Tuttavia è presto per stabilire se e in che misura gli Usa abbandoneranno l’Afghanistan. Difficilmente il governo americano interromperà totalmente la collaborazione con Kabul, volta a impedire il ritorno dei taliban, combattere i jihadisti presenti nelle montagne dell’Hindu Kush e osservare cosa fanno i cinesi qui e nel Xinjiang.

 

Nel dubbio, Pechino non esclude un cambio radicale dello status quo.

 

 

 

Gli Usa, la Cina e la “tomba degli imperi”

 

L’intervento militare americano sul suolo afghano a seguito degli attentati dell’11 settembre 2001 ha tenuto occupata Washington per diversi anni, consentendo alla Repubblica Popolare di crescere indisturbata economicamente e militarmente. Nel frattempo, come il Giappone, la Cina ha accumulato debito statunitense, permettendo al governo Usa di sostenere le spese delle operazioni in Afghanistan e in Iraq senza far aumentare l’inflazione. L’entrata in carica dell’amministrazione guidata da Barack Obama nel 2009 ha cambiato gradualmente lo scenario. L’America ha iniziato a concentrare le proprie attenzioni sul contenimento della Cina, all’epoca battezzato pivot to Asia. Questo processo si è acutizzato con l’ingresso di Donald Trump alla Casa Bianca.

 

Nel frattempo, lo scoppio della guerra civile in Siria e l’ascesa dello Stato Islamico (Is) qui e in Iraq hanno spinto Pechino a collaborare maggiormente con Kabul sul piano securitario. Obiettivo: impedire il ritorno nella Repubblica Popolare dei jihadisti uiguri arruolatisi nelle file di al-Qāʿida e Is.

Di qui i pattugliamenti militari cinesi sul suolo afghano e l’allestimento (non confermato da Pechino) di un avamposto in Tagikistan da cui scrutare il corridoio afghano di Wakhan.

 

Contestualmente, Pechino ha lanciato nel Xinjiang una dura campagna (ancora in corso) per contrastare l’estremismo religioso e reprimere gli uiguri, al fine di assimilarli e controllare stabilmente la regione.

 

Inoltre, lo scorso gennaio l’intelligence afghana ha rispedito nella Repubblica Popolare un gruppo di spie cinesi, alcune delle quali erano entrate in contatto con islamisti della rete di Haqqani. Secondo l’indiano Hindustan Times, l’unità stava creando una finta cellula del Movimento islamico del Turkestan Orientale (principale gruppo terroristico del Xinjiang) per scovare jihadisti uiguri.

 

Al netto dei fattori securitari, Pechino vuole coinvolgere l’Afghanistan nel corridoio sino-pakistano anche per sottrarre il paese alla sfera d’influenza dell’India.

 

La radicata presenza cinese in Pakistan, Nepal, Bhutan, Sri Lanka e Maldive sta spingendo Delhi a rafforzare i rapporti con gli Usa nell’ambito del dialogo quadrilaterale di sicurezza (Quad), che include anche Giappone e Australia.

Presso la località pakistana di Gwadar, l’azienda cinese Cccc dispone di installazioni fortificate. La cui presenza dà adito alla voce secondo cui Pechino intende costruire qui la seconda base navale all’estero dell’Esercito popolare di liberazione (Epl) dopo quella di Gibuti.

 

Tuttavia, lo sviluppo del corridoio Cina-Pakistan è esercizio complesso anche senza coinvolgere l’instabile Afghanistan. Lo conferma il fatto che lo scorso aprile il gruppo terroristico Tehrik-i-Taliban Pakistan (Ttp) abbia rivendicato l’attentato presso l’hotel Serena a Quetta (Pakistan), dove alloggiava l’ambasciatore cinese Nong Rong.

Significa che il corridoio della Bri è vulnerabile e che il Ttp, riemerso negli ultimi due anni, si oppone alla presenza della Repubblica Popolare nel Balucistan.

[L’articolo prosegue dopo la carta di Laura Canali]

 

Dettaglio di una carta di Laura Canali Dettaglio di una carta di Laura Canali

 

 

Le mosse della Cina

 

Il maggiore coinvolgimento dell’Afghanistan nelle nuove vie della seta potrebbe innescare un aumento degli investimenti infrastrutturali della Repubblica Popolare e magari favorire la presenza in loco di aziende di sicurezza privata (contractors) cinesi. In tal caso, il loro scopo sarebbe tutelare la costruzione delle infrastrutture e svolgere raccolta informativa.

 

Nel breve periodo, Pechino eviterà un massiccio invio di soldati, consapevole che ciò potrebbe distrarla da dossier più rilevanti: centenario del Partito comunista cinese (1° luglio 2021) e suo congresso nazionale nell’ottobre 2022, repressione nel Xinjiang, tensioni a Hong Kong, manovre militari attorno a Taiwan.

 

Tuttavia, nel medio periodo la Repubblica Popolare potrebbe mandare un contingente nell’ambito di una missione di pace delle Nazioni Unite qualora l’instabilità in Afghanistan metta seriamente a repentaglio la sicurezza nazionale cinese. In questo modo, Pechino si atterrebbe cosmeticamente al principio di non interferenza negli affari dei paesi stranieri e soprattutto eviterebbe di assumersi in via esclusiva la gestione del dossier afghano.

 

Insomma, la Cina farà il possibile per non cadere nella trappola americana, ma non può ignorare ciò che accade nella “tomba degli imperi”.

 

 

 

 

 

Carta di Laura Canali

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1 risposta a VIDEO, 33 minuti ++ GIORGIO CUSCITO, Per la Cina, il ritiro Usa dall’Afghanistan genera più incognite che opportunità — LIMES ONLINE DEL 10 GIUGNO 2021 

  1. ueue scrive:

    Difficile, in questa situazione così complicata, aggiungere qualcosa di sensato.

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