14 agosto ore 17:57 SILVIA NUGARA E CLAUDIO PANELLA, “Cosa resta del cinema?”: sono i giovanissimi ricercatori – in coppia o singoli, adorabili uguali…….nella relazione a due, questa che vi presento, che hanno fatto alla Festa democratica di Bordighera, una coppia nella vita, combinazione, nella relazione, un ragazzo e una ragazza, un balletto-duetto sempre amabile e piano, un duo da camera- lasciavano configurare che “c’è” -già / reale – un mondo migliore in cui stare insieme: senza maschilismo né femminismo, tertium datur, per me una fede cieca. GRAZIE DI AVER RESO “EVIDENTE” ANCHE AI CIECHI, “UNA POSSIBILITA'” CHE TANTI DI NOI IN TUTTO IL MONDO – E MOLTI PRIMA DI NOI- HANNO SOGNATO “VEDENDOLA” REALE, ANCHE SE MAI AFFERRABILE!

da sinistra: col braccio al collo è FERRUCCIO, colonna democratica e culturale delle iniziative artistiche di Bordighera – da sempre – / segue in posa languido-erotica SILVIA NUGARA e –attaccato come l’edera- CLAUDIO PANELLA che, appena la sfiora-miracolo per noi tutti vederlo- sorride/ SILVIO MAIANO, giovanissmo e bravissimo pittore, che non conoscete perché si scorda – anche tampinato com’è – di mandarmi i suoi lavori; quest’anno era responsabile culturale della FESTA DEMOCRATICA (luglio 2012) / il giovanotto al centro è EMANUELE, nipote di Ferruccio e di una Gran Dama francese: n3l chiacchiera tra noi, si era arrivati a chiederci – noi di mezza età- cosa significa il cinema per i giovani…ponza che ti ponza, Emanuele ci ha chiarito subito le idee, e con allegria e divertimento! Magnifico!

il mio grande amore SERGIO BIANCHERI,  pittore straordinario/ GIORGIO LORETI, addetto cultural-politico della nuova sede dell’ ONU di Bordighera, nonché “papa rosso col garofano rosso” di ogni “foglia di civiltà” che si muova in zona, vecchio di grandi battaglie iniziate l’8 aprile 1940, giorno della nascita, quando l’hanno lasciato lì credendolo già morto…poi non ha più smesso! Se capite che l’adoro, il vostro test di percezione è ottimo!

 

nota di chiara: sono le 2.33, ero sfinita parecchie ore fa, perdonatemi, ma adesso NON RILEGGO CON TUTTI GLI ERRORI INFINITI CHE CI SONO, amen, buona nanna! Buona boemia ai boemi!

 

per chi voglia seguire le loro recensioni cinematografiche

www. cultuframe.com

 

www. punto di svista, org net

 

istantanee di Silvia Nugara e di Claudio Panella   (SONO FOTO!)

 

http://www.youtube.com/watch?v=77I9huxJFbY&feature=player_detailpage                         

L’uccello di fuoco (franceseL’Oiseau de feurusso: Жар-птица, Žar-ptica) è un balletto in un atto e due scene rappresentato per la prima volta il 25 giugno 1910 all’Opéra di Parigi.

Igor‘ Fëdorovič Stravinskij (in russo: Игорь Фёдорович Стравинский; Lomonosov, 17 giugno 1882 – New York, 6 aprile 1971)

 

nota di chiara: riporterò gli spunti della “chiacchierata” di Bordighera, ai quali spero collaborazione e arricchimento, in un altro momento: come si dice elegantemente da noi, ” a quest’ora sono strosciata”!

 

Cosa resta del cinema? Archivio ed esperienza del nostro tempo

Ormai da decenni, a più riprese, si continua ad annunciare la morte del cinema e questa morte annunciata è oramai un topos di ogni dibattito sulla settima arte. A maggior ragione oggi che abbiamo a disposizione una quantità molto ampia di mezzi in grado di produrre e riprodurre immagini in movimento sembra pertinente domandarsi ancora una volta cosa resta del cinema. Ed è proprio questo l’interrogativo che si è posto recentemente il mensile di informazione culturale Alfabeta2 che nel numero di luglio-agosto 2012 contiene un dossier intitolato Cosa resta del cinema?

 

L’esperienza del cinema negli anni tra le due guerre

Per capire cosa resta del cinema oggi è utile rivolgere il nostro sguardo verso ciò che quest’arte ha significato nei suoi anni d’oro prima e dopo le guerre mondiali. Certe pratiche ed esperienze di quell’epoca sopravvivono infatti ancora oggi.

In un articolo del 1934, intitolato Notion de technique du corps, l’etnologo francese Marcel Mauss ci offre una testimonianza interessante:

 

una sorta di rivelazione la ebbi all’ospedale. Ero ricoverato a New York. Mi chiedevo dove avessi già visto delle signorine che camminavano come le mie infermiere. Avendo tempo di riflettere finii per comprendere che era al cinema. Tornato in Francia, mi resi conto, soprattutto a Parigi, della frequenza con cui si verificava questo fenomeno; le ragazze erano francesi e anche loro camminavano in quel modo. In effetti, i modi di camminare all’americana, grazie al cinema, cominciavano ad arrivare anche da noi.

Questa citazione è tratta da un testo fondamentale nella storia delle scienze sociali perché Mauss vi introduce la nozione di habitus, termine con il quale si indicano tutte quelle abitudini corporee, posture, modi di muoversi che variano socialmente a seconda della cultura, della società in cui si vive, dell’educazione ricevuta, delle regole di buona creanza, delle mode, di ciò che è collettivamente considerato prestigioso. Ed è interessante rilevare l ruolo riservato al cinema in questi processi culturali di costruzione del corpo ma anche del comportamento.

Come scrive l’americano Edmund White in Ladro di stile, biografia di Jean Genet, scrittore profondamente intriso di cinema sia nella vita che nell’opera:

 

Nella lettura, il ragazzo nutre ciò che legge con immagini tratte dalla sua esperienza visiva. I film, invece, alimentano direttamente l’immaginario del ragazzo – insegnandogli allo stesso tempo le forme ideali del comportamento (nello stesso modo le commedie danno l’esempio negativo di ciò che non va fatto) …. Dai film apprendiamo come si tiene un flûte di champagne, come si bacia un’amante, come si preme il grilletto di un revolver, come pronunciare una frase. Ma nei film d’amore o d’avventura, questi atti sono eseguiti alla perfezione e in una luce perfetta. Il cinema ci vizia definitivamente: come potrebbe la realtà rivaleggiare con quest’immaginario?

In certi particolari periodi della storia il cinema ha saputo mostrare non soltanto i gesti e le avventure di singoli personaggi ma è anche riuscito a portare sullo schermo la realtà quotidiana e collettiva, partecipando attivamente al farsi della Storia, come accadde in maniera emblematica con il Neorealismo italiano. Per comprendere cosa poteva rappresentare in quegli anni la scoperta di questo tipo di cinema, leggiamo cosa scriveva Guido Hess, conosciuto anche come Guido Seborga, il 22 novembre 1945 sul Sempre Avanti! a proposito di Roma città aperta:

Questo film non lo potemmo vedere come qualcosa al di fuori della nostra vita. Fece parte di un movimento profondo che tra la gioia delle giornate più luminose, la tristezza per le ingiurie patite, il terrore e il disgusto profondissimi per gli atti di barbarie, s’intensificò e ci diede un nuovo senso della realtà. Questo capì tanto bene il regista che cercò di realizzare questa pellicola della resistenza in un documentario appoggiato ad una trama che, senza retorica, era il segno dell’epoca; ebbe quasi timore di aprire il suo montaggio ad una fantasia più accesa, di perdere quella verità che sentiva di dovere enunciare. Fu questo il suo limite di lavoro: ma anche la sua qualità, soprattutto se pensiamo a tanti film italiani che si perdono sempre in saltuarie imitazioni di modi americani o francesi già risolti.

 

Analogamente, Alberto Asor Rosa testimonia ne L’alba di un mondo nuovo:

 

Ma l’esperienza cinematografica più straordinaria di quello strano inverno di transizione fu un’altra. In quella valanga di film provenienti d’Oltreoceano, se ne infilava ogni tanto qualcuno girato qua e là, non si sa come, nelle strade di casa nostra. Così, un pomeriggio, non mi rammento da cosa richiamati, andammo a vedere, in una sala affollatissima di periferia, nel cuore del mio quartiere, fra piazza San Giovanni e Piazza dei Re di Roma, un film che già nel titolo richiamava la nostra città e la nostra esperienza dei mesi passati. Era una storia su Roma occupata dai tedeschi. Credo che questa sia un’esperienza unica nella storia del cinema.

Il codice dei film americani vi era radicalmente rovesciato. Il pubblico in sala non era invitato a sognare che cosa gli sarebbe potuto accadere in una situazione analoga a quella che vedeva raccontata, ma gli si faceva vedere quel che lui era o quel che era stato fino a pochi mesi prima. In giro per la sala c’era la stessa gente umile, poveramente vestita, smunta, con i buchi della fame sotto gli zigomi, gli zatteroni di sughero consunti, gli abitucci di cotone leggero, le giacche lise, insomma le stesse povere cose di quei personaggi che, a poca distanza da loro, recitavano la loro modesta storia sullo schermo; e questa storia era più o meno la stessa che gli spettatori in sala, o i loro amici più stretti, o i parenti, o i vicini di casa, avevano anche loro recitato fin a poco tempo prima per le strade di Roma, nei giardinetti polverosi di periferia, negli squallidi palazzoni popolari, nei bar e baretti sparsi da ogni parte, con i tedeschi e i fascisti armati e ringhiosi ovunque, il dominio dell’oppressione e della paura, i sotterranei fremiti di rivolta, le persecuzioni e i rastrellamenti, il terrore della tortura e della morte.

Questa sì: quando mai si era vista e si sarebbe mai più vista una cosa del genere? Un conto è – immagino – essersi imbattuti in quel film mesi e mesi dopo in una qualsiasi sala di Los Angeles o di Soho; altro conto è averlo incontrato per caso in una sala della periferia romana nel grigio inverno che seguiva allo svolgimento reale degli avvenimenti descritti: il pubblico in sala, cioè noi, cioè io, mia madre, la nostra vicina del piano di sopra, il droghiere del negozio all’angolo, la vecchia signora della portineria, l’elettricista che ci accomodava la luce, il manovale delle Ferrovie con una gamba più corta, il pensionato che viveva in una delle cantine del sottoscala, stavamo tutti lì, a occhi spalancati e a bocca aperta, a vedere che cosa diavolo ci era capitato in quei così vicini mesi terribili

 

Queste due citazioni riflettono un momento particolare della storia del fare cinema ma anche e soprattutto una modalità di vivere l’esperienza cinematografica dello spettatore, tipica del Novecento, caratterizzata dalla sorpresa e dal piacere dell’identificazione in un momento di convergenza tra esperienza vissuta e visione su schermo.

L’identificazione è però solo uno degli aspetti in gioco perché ciò che caratterizza la vertigine dello spettatore è spesso proprio la dis-identificazione, la possibilità di osservare la vita da fuori, la vita alternativa, la vita altra e altrui, Le vite degli altri, l’occasione di vivere infinite esperienze senza correre alcun rischio: il cinema è un’apertura sull’infinito.

E questo lo sapeva bene Italo Calvino che nella sua Autobiografia di uno spettatore racconta così la sua voracità di giovane frequentatore di sale nella Sanremo degli anni Trenta:

Ci sono stati anni in cui andavo al cinema quasi tutti i giorni e magari due volte al giorno, ed erano gli anni tra, diciamo, il Trentasei e la guerra, l’epoca insomma della mia adolescenza. Anni in cui il cinema è stato per me il mondo. Un altro mondo da quello che mi circondava, ma per me solo ciò che vedevo sullo schermo possedeva le proprietà di un mondo, la pienezza, la coerenza, mentre fuori dello schermo s’ammucchiavano elementi eterogenei che sembravano messi insieme per caso, i materiali della mia vita che mi parevano privi di qualsiasi forma.

Il cinema come evasione, si è detto tante volte, con una formula che vuol essere di condanna, e certo a me allora il cinema serviva a quello, a soddisfare un bisogno di spaesamento, di proiezione della mia attenzione in uno spazio diverso, un bisogno che credo corrisponda a una funzione primaria dell’inserimento nel mondo, una tappa indispensabile d’ogni formazione. Certo per crearsi uno spazio diverso ci sono anche altri modi, più sostanziosi e personali: il cinema era il modo più facile e a portata di mano, ma anche quello che istantaneamente mi portava più lontano. Ogni giorno, facendo il giro della via principale della mia piccola città, non avevo occhi che per i cinema, tre di prima visione che cambiavano programma ogni lunedì e ogni giovedì, e un paio di stambugi che davano film più vecchi o scadenti, con rotazione di tre alla settimana. Già sapevo in precedenza quale film davano in ogni sala, ma il mio occhio cercava i cartelloni piazzati da una parte, dove s’annunciava i film del prossimo programma, perché là era la sorpresa, la promessa, l’aspettativa che m’avrebbe accompagnato nei giorni seguenti.

 

Calvino ricorda anche come l’embargo imposto dal fascismo, intervenendo su quanto si vedeva il sala, colpì la sua “voracità collezionistica” di giovane e appassionato spettatore. Questa idea di voracità collezionistica ci sembra particolarmente attuale perché corrisponde ai modi di rapportarsi al cinema di generazioni anche più giovani di Calvino, soprattutto di quelle abituate a rapportarsi con la forma database ovvero con la collezione e l’archivio di dati come forma culturale che secondo lo studioso Lev Manovich caratterizza tutta la post-modernità proprio a partire dal linguaggio cinematografico.

 

Noi e il cinema prima di Internet

Prima dell’avvento di Internet, chi nutriva una passione per il cinema, aveva a disposizione vari strumenti che lo guidavano nella sua ricerca di visioni di film vecchi e nuovi. Il primo mezzo di diffusione di una cultura cinematografica, all’insegna della cinefilia e/o di una lettura politica dei films, è stato quello dei Cineclub e dei Circoli di Cultura cinematografica come quello che nacque a Bordighera nel 1966 per iniziativa dell’Unione Culturale Democratica. Diversi anni dopo, con la diffusione del Vhs nascono le videoteche e i videonoleggio, anche questi ormai praticamente scomparsi.

Davanti a chi come noi sfogliava in continuazione le Guide vhs (come quella curata da Farinotti che conteneva i titoli e i credits di tutti i film disponibili in videocassetta), si apriva un mondo che dava una vertigine, la vertigine della lista, direbbe Umberto Eco. Si fantasticava a partire da quei pochi dati su cosa potesse celarsi dietro un titolo e un cast, immaginando le trame e le inquadrature. Poi, con i dizionari cinematografici di Mereghetti e Morandini, apparsi qualche anno dopo, avremmo scoperto anche le trame e qualche altra notizia. Però, per molto tempo, riuscire effettivamente a vedere i film non era sempre facile e si sognavano videoteche o immensi archivi contenenti tutto lo scibile cinematografico iniziando a nutrire una certa passione per l’archivio come figura dell’infinito e del tutto possibile.

 

Il cinema al tempo di Internet

Oggi quell’enciclopedismo, quel collezionismo vorace è ancora più a portata di mano, è un sogno più realizzabile: chi cerca un titolo lo trova e lo può effettivamente vedere molto più facilmente. Esistono i Dvd con gli extra e ovviamente il download da Internet, di per sé un archivio che offre una disponibilità praticamente istantanea (qui e ora) di ogni genere di immagini e prodotti audiovisivi.

Scoprire il cinema al tempo di Internet non è però un percorso privo di insidie, con tutti i problemi di selezione e di qualità del materiale che Internet presenta, quale che siano le informazioni che cerchiamo. Tramite queste risorse si può anche nutrire il proprio gusto personale spaziando tra i generi e le epoche, rischiando talvolta di appiattire tutto sul presente (su Facebook, ridicoli i “I like” su Virginia Woolf, quasi blasfemi).

Siamo mediamente molto più colti e in modo più trasversale ma anche in modo spesso molto ma molto meno approfondito. Accumuliamo perché è la nuova modalità di accesso al sapere, alle carriere, alla cittadinanza. Per essere liberi o cercare di esserlo oggi è necessaria una quantità di informazioni molto ma molto maggiore che in passato, o forse solo informazioni di una migliore qualità ma essendo questo più difficile ci vuole più tempo per selezionare o comunque per imparare a selezionare.

Grazie ai modi in cui funziona oggi l’accesso alle risorse informative, è completamente cambiato il rapporto delle persone con il cinema, in particolare dei giovani. Chi oggi nutre molti desideri di natura culturale accede più facilmente a ciò che desidera. Ma la questione del desiderio culturale è cruciale perché il desiderio si sviluppa anche grazie a ciò che si conosce, al contesto in cui si vive, a quanto si cerca se stessi e a quanto si vuole approfondire il proprio desiderio. Perciò è diverso avere trent’anni e un’educazione di un certo tipo o averne quindici, venti, perché si è diversamente orientati dal contesto e dalle informazioni a disposizione tramite la scuola, l’università, i libri, le frequentazioni. Diversa è la geografia culturale di ognuno a seconda dell’età e dell’esperienza (si veda il ruolo delle biblioteche e degli archivi che sono strumenti ben diversi da Internet e, massimamente diversi, anche dalle sale cinematografiche e dalla loro programmazione). I giovanissimi si affidano per lo più a Internet e alle sale ma anche tanta tanta tanta tv, tv che tra l’altro si vede su Internet: in molti oggi vanno pazzi per le serie tv americane che si vedono o sui canali televisivi a pagamento oppure su Internet anche in versione originale oppure con sottotitoli pirata curati da volontari appassionati. La qualità delle serie oggi è sempre più sofisticata sia dal punto di vista narrativo che dal punto di vista formale e capita di assistere a serie tv di miglior qualità di certi prodotti cinematografici proposti in sala o in televisione dove purtroppo oggi i film d’arte o d’essai tendono a scarseggiare. Quindi oggi si vive molto di più la confusione e la fusione tra forme del linguaggio televisivo e forme del linguaggio più strettamente cinematografico.

 

Il cinema oggi: le sale e i festival

 

Ecco perché è oggi sempre più pertinente chiedersi che cosa resta del cinema oggi, cosa, dove e come lo si vede. Se qualcosa caratterizza l’esperienza del cinema in sala rispetto alla fruizione di immagini in movimento su altri supporti, è il fatto che la sala ci invita alla concentrazione, alla contemplazione attenta e partecipata e questo è molto più difficile in altri contesti della visione quali Internet, il cellulare, il tablet che sono mezzi che invitano alla distrazione e non alla concentrazione: su Internet ho la tentazione di andare su Facebook, di controllare le mail, su Youtube trovo per lo più spezzoni di film, sul cellulare mi possono arrivare degli sms, delle telefonate…

La poca varietà dell’offerta nelle sale in Italia non corrisponde infatti alla ricchezza delle produzioni che possono essere viste nelle serate d’essai, su Internet, in streaming. Come abbiamo già accennato, il cinema in sala oggi è profondamente condizionato dai problemi della distribuzione, dalla crisi delle sale nel nostro paese: il cinema non è certo nelle multisale e poco o pochissimo nelle sale di prima visione in cui escono pochi film, per poco tempo e a caro prezzo.

Dov’è oggi il cinema, allora? Forse sopravvive nei festival. Coloro che amano il cinema e lo cercano nelle sue varie forme, anche oggi, se possono, non rinunciano ai festival dove, come su Internet, si accede a una quantità di visioni nuove e anche vecchie. I festival sono come Internet e come le biblioteche, come gli archivi, o meglio, i festival sono delle finestre e permettono a chi vuole di varcare le soglie delle biblioteche e degli archivi, anche quelli virtuali su Internet, nutrono le curiosità, nutrono il DESIDERIO. Ecco perché in chi accede alla cultura, il desiderio di cultura si amplia, arboresce. Perché il sapere è come la vita, una serie di legami e relazioni e connessioni  che stimolano la ricerca di altro tramite associazioni storiche, stilistiche, mentali, casuali. Tra l’altro oggi anche i festival si espandono su Internet se pensiamo al fatto che da quest’anno il Festival di Venezia offre la possibilità di vedere i film della sezione Orizzonti sul computer a un prezzo ragionevole.

Inoltre, il festival mette in gioco non solo la dimensione INDIVIDUALE ma anche quella COLLETTIVA  dell’esperienza cinematografica: la tv, Internet sono più individuali, invece la sala, i festival, i circoli sono luoghi di socialità, di educazione all’immagine e di cinefilia che è una pratica collettiva, un’esperienza condivisa di scambio e di riflessione.

Per concludere, nel mondo di oggi e anche nel cinema coesistono il vecchio e il nuovo, l’archivio e l’esperienza. Sta a ciascuno trovare la propria via.

 

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5 risposte a 14 agosto ore 17:57 SILVIA NUGARA E CLAUDIO PANELLA, “Cosa resta del cinema?”: sono i giovanissimi ricercatori – in coppia o singoli, adorabili uguali…….nella relazione a due, questa che vi presento, che hanno fatto alla Festa democratica di Bordighera, una coppia nella vita, combinazione, nella relazione, un ragazzo e una ragazza, un balletto-duetto sempre amabile e piano, un duo da camera- lasciavano configurare che “c’è” -già / reale – un mondo migliore in cui stare insieme: senza maschilismo né femminismo, tertium datur, per me una fede cieca. GRAZIE DI AVER RESO “EVIDENTE” ANCHE AI CIECHI, “UNA POSSIBILITA'” CHE TANTI DI NOI IN TUTTO IL MONDO – E MOLTI PRIMA DI NOI- HANNO SOGNATO “VEDENDOLA” REALE, ANCHE SE MAI AFFERRABILE!

  1. nemo scrive:

    Claudio Panella ( con due elle ).

    • Chiara Salvini scrive:

      non so proprio come ringraziarti, correggo subito, ho molta difficoltà con i cognomi, saluta tutta “la tribù democratica di Bordighera”, in particolare Ferruccio ed Enzo. baci, ch.

  2. silvia e claudio scrive:

    cara chiara, che bel ritratto che ci hai fatto, GRAZIE. è stato un bel pomeriggio di confronto e quanto ancora ci sarebbe da dire sul cinema e la sua immutata magia…

  3. nemo scrive:

    Divertentissimo commento alla foto di gruppo. Aggiungo all’ elenco Emanuele ( nipote di Ferruccio ), il più giovane e attivo ‘compagno’ della Festa, in ‘trasferta’ da Genova.

  4. Donatella scrive:

    Il cinema per me è stato, quando ero molto giovane o addirittura bambina, un mezzo per uscire dalla realtà quotidiana, che non era piacevole. Uno si identificava con qualche grande personaggio dello schermo e si sentiva un po’ di più all’onore del mondo. C’era una bellissima vignetta di Novelli sulla Stampa che faceva vedere una famiglia, padre, madre e figli piccoli, che uscendo da una cinema rimanevano storditi dalla loro misera realtà avendo appena visto un film come ” Quo Vadis”. Questo era il nostro stato d’animo, soprattutto di noi figli, all’uscita dal cinema Centrale; però per due ore eravamo evasi dalla nostra realtà, che ci dava pena. La televisione ci fece lo stesso effetto, credo non solo a noi ma anche ai nostri genitori: era come una parentesi dove potevi non pensare se il giorno dopo ti sarebbe arrivato l’ufficiale giudiziario con la notifica delle cambiali scoperte. Per queste cose sono molto grata al cinema e alla televisione, straordinari mezzi di evasione di massa, nel bene e nel male.

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