23 OTTOBRE 2012 ORE 19:24 LA RISPOSTA DI MAURIZIO FERRARI (NUOVO REALISMO) A SCALFARI, PER CHI VOLESSE LEGGERLA!

 

nota inutile di chiara:  capisco bene Eugenio Scalfari (per voi l’articolo che viene dopo) , che anzi mi rispecchia – anche con tutta la difficoltà di lettura che ci dà un uomo che rifiuta le frasi pronte e che quello che esprime nel linguaggio lo ha prima vissuto con la mente e con le viscere (o meglio dicendo, il linguaggio, tutto suo particolare, nasce dalla fusione-sublimazione delle viscere-mente…qualcosa si intuisce… un pochino appena?).

Maurizio Ferraris, di cui ho letto ogni tanto suoi articoli su Repubblica – quindi non lo conosco affatto– mi profuma, se mi permettere l’espressione, di quegli artisti-intellettuali – tuttologi con raffinatezza –  che sono tanto di moda lì in giro e che sono amatissimi dal pubblico che arriva ad idolatrarli come delle star. Mi riferisco a gente come Steven Pinker, Alessandro Baricco, Vattimo, anche se diverso, ma ha la stessa consistenza, lo stesso Boncinelli seconda maniera, anche Giulio Giorello…Tutta gente che,  ripeto, conosco “dal profumo”: sono intellettuali -artisti-disc jokei- gente brillante, divertente che ha orecchiato alcune cose di autentici pensatori, come, per fare un esempio, è Bauman,  e lo traducono al povero volgo che vuole sapere, e sta lì ore a sentirli, li beve ecc. quando -se facessero la fatica di leggere “gli originali”, subito magari un po’ ostici, ma poi chiari come tutti i veri pensatori.

Eugenio Scalfari, nel suo articolo di ieri su Hegel e sulla sua eredità, si chiede se il Nuovo Realismo faccia i conti con l’ accesso alla cosa in sé, con il preteso “mondo lì fuori”, immune da interpretazioni, che tanti problemi pone a filosofi e a non filosofi. La domanda è sacrosanta e un chiarimento è doveroso. Il reale, anche questo lo ha insegnato Hegel, non è pacificato, è conflitto. Anzi, a ben vedere è proprio qui il passo in avanti che Hegel compie rispetto a Kant. Per Kant il noumeno, la cosa in sé, è qualcosa di puramente intellettuale, un oggetto di pensiero (di “noesis”, appunto). Per Hegel diventa qualcosa di effettivo, di cui abbiamo esperienza: è il negativo, la morte, o anche semplicemente la sorpresa e la resistenza, la cosa che non va per il verso giusto e che per questo è “cosa in sé” e non semplicemente “per noi”. (chiara: mi permetto di dire che questo è falso). Ecco perché Kojève, Bataille o Derrida, radicalizzando Hegel, hanno insistito sulla “macchia cieca” sul negativo, cioè sul reale, che inceppa la macchina ben oliata del sistema. Questo reale è una roccia solida, inemendabile. È l’ estremo negativo del sapere, perché è l’ inspiegabile e l’ incorreggibile, ma è anche l’ estremo positivo dell’ essere, perché è ciò che si dà, che insiste e resiste alla interpretazione, e che insieme la rende vera, distinguendola da una immaginazione o da un wishful thinking. Il problema che pone l’ interpretazione (che è una forma di epistemologia, appunto perché non c’ è epistemologia senza interpretazione), quando – con Nietzsche e non con Hegel – pretende che non ci siano fatti, solo interpretazioni, è per l’ appunto che chiude gli occhi di fronte a questo inemendabile. Per riprendere un’ espressione hegeliana, l’ ermeneutica della interpretazione infinita è «quella vita che inorridisce dinanzi alla morte, schiava della distruzione».

Il che è umano, ma lo è forse un po’ troppo, e soprattutto fornisce una descrizione del tutto adulterata della vita. Non che si tratti di puntare sul negativo, con un pessimismo che è una forma primaria di rassegnazione. Al contrario (e questo è l’ insegnamento che ci viene dall’ epistemologia, dal sapere, dalla ragione) si tratta di cercare di capire, di trasformare, di correggere, di interpretare nel migliore e nel più favorevole dei modi. Quello che c’ è, tuttavia, è un’ altra cosa. È l’ ontologia, il mondo dell’ essere che non si risolve nel sapere, restando strutturalmente “lì fuori”. Soprattutto, è la nostra vita, fatta di porte che non si aprono, di occhiali che non si trovano, e ovviamente di felicità inaspettate. In queste esperienze quotidiane, che non hanno nulla di mistico, noi incontriamo la cosa in sé, ciò che esiste anzitutto perché resiste.

MAURIZIO FERRARIS11 agosto 2012

 

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