23 DICEMBRE 2012 ORE 09:42 A CHI PUO’ INTERESSARE: L’EVERSIVO GEORGE GROSZ…CHE TANTO E’ PRESENTE OGGI.

 

 

Lomonosov17 giugno 1882 – New York6 aprile 1971

 

IGOR STRAVINSKY—RAGTIME (1918)–TRASCRIZIONE PER PIANO DELL’AUTORE

 

 

 

L’EVERSIVO GROSZ

 

nota di Chiara: ricordatevi che questa presentazione di George Grosz, pur ben fatta, è prodotta da “una testa”, pensante finché si vuole, ma non può che esprimere (fatti a parte) una prospettiva di giudizio personale.

 

PREMESSA

Quando si parla di George Grosz si parla di “Nuova Oggettività”, cioè della “realtà nuda e cruda” quale venne emergendo nella Germania del 1915-20, allorché un gruppo di artisti e di critici d’arte cominciò a sostenere che l’Espressionismo tedesco era morto. (nota di chiara: Il periodo della Storia della Germania che va dal 1919 al 1933 è conosciuto come Repubblica di Weimar (Weimarer Republik, in tedesco). Prende il nome dalla città di Weimar, dove si tenne un’assemblea nazionale per redigere una nuova costituzione dopo la sconfitta tedesca nella prima guerra mondiale. Il primo tentativo di stabilire una democrazia liberale in Germania fu un periodo di grande tensione e di conflitto interno, che si concluse con l’ascesa al potere di Adolf Hitler e del Partito Nazionalsocialista nel 1933.)

L’asserzione, già presente per la prima volta nel manifesto dadaista del 1918, si era formalizzata in un saggio di W. Hausenstein del 1920, che aveva saputo cogliere la novità nelle opere di Otto Dix, Max Beckmann, Rudolf Schlichter e George Grosz (i maggiori della nuova corrente pittorica), i quali, dopo essersi arruolati come volontari nella prima guerra mondiale, convinti di vivere un’esperienza entusiasmante e rigeneratrice , ne erano usciti completamente sconvolti.

La loro critica della società borghese diventò durissima. Non volendo perdersi in fantasie astratte, in nostalgici ritorni al passato o in vaneggiamenti per un futuro migliore, concentrarono la loro attenzione alla realtà presente, ai fatti, ai dati reali, agli oggetti, senza fare sconti a nessuno.

Il termine “Nuova Oggettività”, spesso accompagnato a quello di “Realismo magico”, appare per la prima volta nel 1925, come titolo a una mostra organizzata da G. F. Hartlaub a Mannheim, in opposizione a correnti come “Blue Rider” e “Die Brücke”.

 

BIOGRAFIA

George Grosz (nome d’arte di Georg Ehrenfried Gross) era nato a Berlino nel 1893 e aveva studiato all’Accademia di Dresda (è allievo di Richard Müller) e alla Scuola di Arti decorative di Berlino (è allievo di Emil Orlik), mostrando subito un ottimo talento come caricaturista. Era stata la madre ad avviarlo alla carriera artistica.

Nel 1913 soggiornò a Parigi, dove entrò in contatto con le avanguardie del cubismo e del futurismo, che lo influenzarono notevolmente, e dove poté ammirare da vicino le opere di Francisco Goya, di Honorè Daumier e di Henri de Toulouse-Lautrec.

Arruolatosi volontario nell’esercito durante la prima guerra mondiale, viene congedato nel 1915, dopo pochi mesi, per gravi disturbi nervosi.

Tornato alla pittura, tra il 1915 e il 1917 la sua riduzione grafica del segno si radicalizzò per esprimere il franamento morale seguito alla disfatta prussiana: su tale stile Grosz basò la produzione degli anni seguenti, caratterizzati dall’adesione al movimento dada berlinese (introdotto a Berlino da Zurigo nel 1918) e da posizioni politiche rivoluzionarie.

Prima di darsi alla politica attiva, negli anni 1916-18, aveva dipinto due suoi capolavori: Metropolis (Berlino), opera pervasa di un’apocalittica atmosfera, e Il funerale. Dedicato a Oskar Panizza, allegoria dell’umanità impazzita e corrotta dal male. A partire dal 1918 i suoi soggetti preferiti sono i reduci mutilati, gli approfittatori (fornitori di grano e grandi produttori d’armi, come Krupp), i personaggi ambigui della Repubblica di Weimar.

Con un album di disegni erotico-scandalosi dimostra una totale disinibizione nei confronti dei gusti della borghesia e del mercato dell’arte. La sua tecnica caricaturale, dal tratto quasi infantile, evitava qualunque compiacimento accademico e ciò resterà una costante per tutta la sua produzione artistica,

Nella Germania post-bellica lo sfacelo era totale (durante la guerra solo di fame erano morte 750mila persone) e gravissima l’incapacità politica di porvi rimedio. Sull’onda della rivoluzione russa (1917), Grosz aderisce alla Lega spartachista con cui tenta un’insurrezione a Berlino nel 1919. La durissima repressione subita (vi morirono la Luxemburg e Liebknecht) e l’arresto non fiaccarono affatto il suo animo, ma anzi lo indussero ad aderire nello stesso anno al Partito Comunista di Germania.

Rimase coi comunisti sino al 1923, impegnandosi come artista in tre riviste politico-satiriche di ispirazione dadaista: “Der Gegner” (1919-24), “Die Pleite” (1919-24) e “Der blutige Ernst” (1919), quest’ultime due fondate da lui. Collabora anche con l’editore Malik, presso cui pubblica numerose cartelle di disegni, arrivando ad attaccare ripetutamente la figura del kaiser. Le sue vignette – dirà con orgoglio – erano “disegnate con la punta del coltello”.

Grosz ha modo di sfoggiare la sua critica corrosiva nel corso della prima mostra dadaista del 1920, a Berlino, in cui appende al soffitto un pupazzo con le sembianze di un soldato tedesco e la testa di un maiale, Le istituzioni lo denunciano per oltraggio all’onore del Reich e lo condannano a pagare un’ammenda. A partire da quell’anno fu più volte denunciato e processato per incitamento all’odio di classe, oltraggio al pudore, vilipendio alla religione e ingiurie contro le forze armate.

Il disgusto di Grosz verso la borghesia corrotta è ben visibile là dove dipinge il mondo notturno dei caffè, dei music-hall, dell’alcolismo, della prostituzione, dell’avidità e dello sfruttamento, sullo sfondo di una città fredda e impersonale. Non risparmia nessuno: politici, industriali, clero, insegnanti… tutti ugualmente responsabili, secondo lui, dell’entrata in guerra della Germania, della sua disfatta, dei disastri della Repubblica di Weimar e della progressiva ascesa del nazismo. Anche il popolo viene accusato d’essere “una mandria di vitelli facilmente influenzabili, a cui non piace altro che scegliersi i propri macellai”. L’unica speranza la vedeva negli artisti e li spronava a uscire allo scoperto, impegnandosi politicamente.

Nel 1920 (lo stesso anno del matrimonio con Eva Peter) Grosz, insieme ad Hausmann e Heartfeld, organizza nella galleria di Otto Burchard a Berlino la prima mostra Dada, dove figurano anche lavori di Max Ernst e Otto Dix. Del dadaismo gli piaceva il linguaggio satirico e dissacrante, che usava per attaccare il militarismo, il nazionalismo, l’ideologia borghese.

Tuttavia cercava anche d’imporsi secondo un proprio stile, più duro e spigoloso, avente per soggetto persone misere, prostitute, ubriachi, assassini, soldati feriti, che gli permettevano di esercitare una violenta critica sociale nei confronti dell’avidità dei ceti dirigenti e di volgari uomini d’affari, nascosta sotto la maschera della rispettabilità. Lo storico dell’arte Franz Roh dirà nel 1925 in uno dei suoi testi più famosi,Post-espressionismo. Realismo magico. Problemi della nuova pittura europea, che i nuovi pittori anti-borghesi della Germania volevano restare fedeli alla realtà, mostrandone le ipocrisie, la corruzione e i vizi.

Grosz scriverà che “l’oggettività e la chiarezza del disegno ingegneristico sono un modello migliore che non l’essere loquaci senza controllo sulla cabala, la metafisica o l’estasi dei santi”. E i fatti gli daranno ragione, poiché i suoi lavori sapranno anticipare i disastri del nazional-socialismo.

Nel 1925 il movimento della “Nuova Oggettività” ufficializza la propria presenza con una mostra a Mannheim. A partire da questa data e per circa un decennio Grosz darà il meglio di sé: Scena di strada, I pilastri della società, Circe, Strada di Berlino… La denuncia sociale e l’evidente impegno politico che i nazisti, una volta giunti al potere, non ci mettono molto a considerare Grosz un “artista degenerato”.

Quando, nel 1933, gli fu offerta una cattedra a New York, colse l’occasione per lasciare la Germania, insieme alla moglie e ai figli (otterrà la cittadinanza americana nel 1938).

La produzione del periodo americano è però meno incisiva, nonostante i ritorni, in chiave dadaista e surrealista, alla grafia violenta e spietata di un tempo. Si avvicinerà alla pop-art ma attenuando gli aspetti più scopertamente politici della sua arte, pur avendo assistito allo sfacelo della seconda guerra mondiale.

Nel 1958 tornò a vivere in Germania. L’anno dopo, l’ultimo della sua vita, viene nominato membro dell’Accademia di Belle Arti di Berlino. Muore in modo alquanto singolare: di notte, dopo una sbronza con amici, di ritorno a casa, invece della porta d’ingresso aprì quella della cantina. La rovinosa caduta per le scale gli sarà fatale.

Il critico d’arte G. C. Argan dirà che Grosz è stato il primo a scoprire nell’autoritarismo politico, nell’avidità di potere, nella corsa alla ricchezza, i sintomi della nevrosi, di una pericolosa e mortale follia.

 

 

FONTI

SitiWeb

 

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2 risposte a 23 DICEMBRE 2012 ORE 09:42 A CHI PUO’ INTERESSARE: L’EVERSIVO GEORGE GROSZ…CHE TANTO E’ PRESENTE OGGI.

  1. michelangelo scrive:

    il mito della realtà nuda e cruda. quasi ogni artista che dipinge figurativo dice di averlo, o si dice di lui che ce l’abbia. Di reale, in pittura, mi pare ci sia solo la sensazione. Grazie.

    • Chiara Salvini scrive:

      carissimo Michelangelo, ti ringrazio di essere diventato importante protagonista del blog, sempre con osservazione su cui vale meditare: se hai piacere, perché non ci mandi una tua foto e qualcosa scritto di tuo, così lo pubblichiamo, a tuo nome o pseudonimo, come vuoi. O anche solo la foto, mi fa tanto piacere conoscere un pochino meglio chi è così gentile di collaborare al blog.
      “Di reale, in pittura, mi pare ci sia solo la sensazione”: io non mi capisco di niente, non è un vezzo, ma mi è subito apparsa una osservazione “intelligente”, propria di “chi sa”. Aggiungo solo che se vogliamo addentrarci nel famoso dibattito secolare (millenario se partiamo, in Occidente, dai grandissimi Presocratici), anche se adesso pensavo solo al Novecento, se vogliamo parlare, dicevo, del tema-questione che potrebbe definirsi così: ” La realtà esiste, c’è una “realtà obbiettiva”, o è solo nostra interpretazione, qualcosa costruito dai nostri schemi (o categorie) mentali, magari su qualcosa che c’è, o anche sul nulla, anche quando crediamo di percepire un “fuori di noi” che modifica i nostri sensi?”: bene, ammesso che sia stata capace di sintetizzare il problema, IO A QUESTO PUNTO MI CI PERDO. ANZI SONO GIA’ PERSA PER SEMPRE! Ho orecchiato, devo dire così, la discussione su “il relativismo” (diventata famosa con il libro del Papa in dialogo con…ahimé la testa, ma non mi è neanche simpatico da doverlo ricordare, un Porfessore dell’UDC alla ribalta in Europa per la sua posizione sull’omosessualità, se ve la ricordate, tu, Michelangelo, magari sei troppo giovane): relativismo che è conoscere e comportamento: da qui, il grande interesse anche sociale e politico. Di mio, per vivere mi sono data, a questo tema, una risposta tutta “da pollaio personale” che non mi sento di esprimere. Si puo’, pero’, per chi vuole, s’intende, partire da certi “guru” che hanno iniziato il dibattito piùrecentemente… e poi… in seguito, piano piano, credo io, leggendo qualcosa loro, sarà più facile, per noi comuni mortali, esprimere un’opinione che vada al di là del “a me piace la menta, a te la fragola”. Ripeto: a chi interessa. Parlandoti mi è venuto in mente un nome che cerco nella mia testa opaca da quando ho visto la tua risposta: si chiama Heinz, forse, von Foster, uno, e l’altro, sempre se non mi sbaglio, con cui il primo era in dibattito, anche se su posizioni molto similari, Lagerfeld. Ti ringrazio di avermi ispirato i nomi, è difficile dire il potere che un altro, con cui ti disponi in vero colloquio, può avere sulla nostra mente! Se ci pensi, il famoso individualismo e autonomia con la “A” maiuscola…cui così tanti ci stanno attaccati con unghie e denti…se ci pensi, dicevo, noi siamo sempre stati “un io e un tu” da quando eravamo nella pancia della mamma e poi in seguito…in seguito ancora, bisogna ricordarsi, nei momenti di solitudine-autonomia assoluta (!), dei “tu mentali” con cui entriamo in colloquio tutti noi, diversi -si capisce- a secondo della cultura-interessi di ciascuno, in contatto sia per ammirarli ed imitarli sia per combatterli e odiarli. Ma questi sono quattro spiccioli di un discorso molto più complesso, come sai, come sapete che a me importa moltissimo. Ciao caro Michelangelo, ti faccio tanti auguri di ogni bene, a te, solo a te in quest’istante, e subito dopo a tutti i miei ragazzi del blog che mi permettono (scusate se par poco!) di non prendere antidepressivi, siete voi la mia terapia felice, chiara

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