28 GENNAIO 2014 ORE 17:37 RENATO RUFFINI SUL DISEGNO DI LEGGE DELRIO CHE RIGUARDA LE PROVINCE: LA RIFORMA PUO’ FUNZIONARE!

logo

IL MINISTRO GRAZIANO DELRIO

28.01.14
Sul disegno di legge Delrio sono piovute molte critiche. Se invece di guardare la riforma come una mera regolamentazione giuridica che produce risparmi, la si considera un processo di cambiamento che avvia forme di collaborazione istituzionale nei territori, i punti deboli diventano punti di forza. 

DA PUNTI DEBOLI A PUNTI DI FORZA

Il disegno di legge sul riordino delle autonomie locali è stato oggetto di molteplici critiche, com’era forse inevitabile vista la rilevanza della questione. Tuttavia, se si guarda la riforma non come una mera regolamentazione giuridica volta al risparmio, ma come l’attivazione di un processo di cambiamento organizzativo, in grado di avviare forme di collaborazione istituzionale, allora quelli che i critici ritengono punti deboli diventano punti di forza.
Le critiche al disegno di legge sono sostanzialmente di tre tipi: non abroga le province; non consente risparmi certi; non è chiara nelle sua evoluzione futura.
Abrogazione, risparmi e chiarezza degli assetti sono stati perseguiti in modo fallimentare dalla precedente riforma del Governo Monti. È quindi opportuno non ripetere gli stessi errori e cercare di attivare processi di cambiamento nei territori. Vediamo allora come trasformare i punti di debolezza in possibili vantaggi.

LA (NON) ABROGAZIONE DELLE PROVINCE

Posto che le province sono abrogabili solo con modifica costituzionale, cosa accadrà se la riforma sarà approvata? Il problema fondamentale è capire come governare i servizi di livello intermedio in modo più efficace secondo la loro tipologia, senza elevati costi burocratico/politici e di conflittualità. La riforma risponde a questo problema facendo delle province il contenitore di associazioni di comuni, che dovranno riformare amministrativamente il territorio (assieme alle Regioni) e organizzare funzioni e servizi collaborando tra di loro. In questo senso, la riforma anticipa e accompagna l’ipotetica riforma costituzionale senza blindarla. Se le Regioni e gli enti locali non saranno soddisfatti degli assetti individuati tra il 2014 e il 2015, saranno sempre liberi di ridefinirli – insieme alle loro funzioni – in virtù dei poteri loro dati dall’attuale Costituzione e avranno luoghi istituzionali dove discuterne e decidere.

I RISPARMI INCERTI

Il problema dei risparmi è un tema importante, tuttavia non è possibile fare un calcolo dei costi differenziali se non si ha in testa la struttura dei servizi. Il Dld non definisce centralmente l’assetto futuro dei servizi, dunque non può calcolare i risparmi. Anche nel caso delle unioni di comuni è difficile valutare i risparmi a priori, tuttavia l’esperienza insegna che quelle di dimensione maggiore hanno realizzato sempre significativi risparmi (si veda per esempio l’unione della Bassa Romagna). È abbastanza chiaro, infatti, da dove si possono ottenere i risparmi in un determinato territorio. In primo luogo, nelle modalità dierogazione dei servizi per le funzioni dismesse. Servizi sociali, cultura e bene cultuali, sport e turismo sono funzioni dismesse che i comuni probabilmente non svilupperanno per esigenze economiche. I servizi più rilevanti (come per esempio musei e biblioteche) potranno essere facile oggetto di politiche d’innovazione attraverso riaggregazioni su aree vaste (per esempio, creando una rete provinciale di musei), sviluppando forme di gestione basate anche su sistemi di coproduzione che coinvolgano imprese, associazioni, fondazioni e cittadini, attirati dalla maggiore dimensione dell’attività.
Si può poi ottenere una razionalizzazione delle spese correnti per la produzione di servizi. In particolare, con la modifica dell’assetto istituzionale potranno esserci economie di scala laddove i servizi siano attribuiti ai comuni di grandi dimensioni o attuati in forma associata a livello provinciale. È il caso di attività quali i processi di acquisto, la gestione degli immobili e degli impianti, la gestione delle tecnologie informatiche, la gestione delle risorse umane, eccetera. Per il sistema delle agenzie di secondo livello, la creazione della provincia governata dai sindaci dei comuni del territorio dovrebbe fare venire meno l’esigenza di sussistere di molte forme societarie, consortili e così via create dai piccoli comuni singoli o associati.
Si ridurranno anche i centri di spesa. La generazione di fenomeni di accorpamento e semplificazione dei soggetti di spesa semplifica la complessità del processo di relazioni inter-istituzionali con un incremento della possibilità di controllo del sistema locale da parte di Regione e Governo. Quantificare questi risparmi è possibile soltanto di fronte agli specifici interventi, che solo le amministrazioni interessate possono fare. Se non saranno capaci di decidere è possibile che la situazione attuale deteriori ulteriormente? Oggi il sistema amministrativo locale è talmente frantumato che difficilmente si può fare peggio. Inoltre, il fenomeno delle unioni di comuni si sta sviluppando sempre di più, ma in un contesto istituzionale non favorevole. Il Ddl faciliterà le aggregazioni anche perché tende a incentivarle. La riforma poteva rendere obbligatori per legge i servizi associati? Sarebbe stato bello, ma in questo modo, usando la legge nazionale, avrebbe “riempito” e non “svuotato” le province a discapito dei comuni, con effetti istituzionalmente paradossali e controproducenti in caso di riforma costituzionale. L’idea fondamentale è che siano i territori a decidere.

L’EVOLUZIONE FUTURA

Una politica pubblica deve essere governata e valutata. Occorre di conseguenza prevedere come gestire la riforma (come fa in parte l’articolo 23 comma 9 del Ddl), anche al fine dianticipare ed evitare fenomeni distorsivi e negativi sempre presenti in questi casi, anche perché non ci sono esperienze simili di auto-riforma delle autonomie locali nel mondo.
Occorre perciò sviluppare alcune precise azioni, utili anche a contenere i costi. Ad esempio, come avviene per ogni ristrutturazione aziendale, è opportuno che le nuove province definiscano un proprio piano industriale dove, accanto alla ristrutturazione dei servizi, individuino i risparmi e razionalizzazioni di spesa a questa correlati. I piani dovrebbero essere trasmessi al commissario per la spending review o al programma nazionale per l’attuazione delle riforme.
Occorre anche avere una totale trasparenza e confrontabilità delle scelte territoriali. I piani industriali dovrebbero essere pubblicati sul sito del Governo con i diversi programmi di risparmio e i report sugli effettivi stati di avanzamento concreti, certificati dai revisori dei conti. Il meccanismo dovrebbe permettere ai cittadini di conoscere realmente cosa accade nei diversi territori e di favorire un confronto virtuoso tra le diverse realtà locali e le loro best practice.
Infine, è opportuno che i risparmi ottenuti abbiano ricadute positive sul territorio, rimanendo a disposizione degli amministratori delle comunità che li hanno conseguiti realmente. La destinazione delle risorse, tuttavia, dovrebbe essere vincolata a due voci (per evitare nuova spesa pubblica): la riduzione del carico fiscale (cuneo fiscale tramite addizionale Irpef o detrazioni Iuc per soggetti bisognosi o per soggetti portatori di comportamenti virtuosi, welfare aziendale ecc.) e gli investimenti in innovazione tecnologica e ammodernamento d’impianti ed edifici sul territorio, con contestuale esenzione dal patto di stabilità.

 

Condividi
Questa voce è stata pubblicata in GENERALE. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *