RISOTTO D’OSTERIA (Anonimo) —I GUFI
[audio:https://www.neldeliriononeromaisola.it/wp-content/uploads/2014/02/Risotto-dosteria-Anonimo-I-GUFI-A-COLORI.mp3|titles=Risotto d’osteria (Anonimo) – I GUFI A COLORI]
antica trattoria del gallo, orgoglio dei milanesi, 130 anni, tuttora in funzione
MURI
E’ come parlare ad un muro: quante volte avete sentito questa frase, detta in tono sprezzante, per indicare qualcuno che non sente o non vuole sentire. Ebbene, io sono un muro e vi assicuro che sono tutte fandonie, messe in giro dagli uomini, che pensano di essere solo loro in grado di fare ogni cosa. Quanto poi ad ascoltare, se c’è una cosa per cui sono negati è proprio questa. Neppure se stessi sono capaci di ascoltare, figurarsi gli altri! Però sono capaci di parlare, e questo per me è un grande vantaggio. Non potendo spostarmi, se gli umani non parlassero in continuazione, io mi annoierei a morte. Invece ho davanti un film che cambia continuamente e gli attori sono protagonisti effettivi, completamente calati nella loro parte. Altro che neorealismo! Penso che qualsiasi proiezione cinematografica mi annoierebbe a morte e nessun grande attore riuscirebbe a muovermi le viscere ( sì, le viscere! In fondo le abbiamo anche noi), come fanno invece le donne e gli uomini che passano davanti a me. Beh, non vi ho ancora detto dove abito: sono il muro portante di una pizzeria di Milano. Ho un bell’intonaco bianco e mi hanno messo addosso delle fotografie della città di una volta. Sembra che vada di gran moda. Non riesco a capire perché se piacevano tanto quei miei antenati, non se li siano tenuti cari. Invece hanno buttato giu’ un sacco di cose per poi mettere delle belle foto ricordo. Come uccidere qualcuno per poi tenersi la foto sul comodino. Noi siamo sicuramente più solidi dei sentimenti umani e se non interviene l’uomo o qualche terremoto restiamo lì dove ci hanno costruito, a dispetto di tutto quel gran turbinio che quotidianamente abbiamo attorno. Io sono abbastanza giovane, quindi non ho la saggezza di qualche mio conoscente che ha visto la guerra e ne ha passato di tutti i colori ( nel senso letterale del termine), però nel mio piccolo ( sono nato subito dopo la guerra, quando la gente aveva una gran voglia di ricostruire e noi di rinascere) ho accumulato un bel po’ di foto. Le chiamo così per intenderci. Nessuno sa ancora che le immagini che ci passano davanti restano in qualche modo imprigionate dentro di noi. Se un giorno si troverà il modo di liberarle e di farle scorrere come un film, se ne vedranno delle belle. Ad ogni modo il mio destino da subito è stato legato al cibo: appena nato mi sono trovato in una trattoria toscana. Ho poi capito che eravamo in tanti a Milano a chiamarci così: un po’ perché i gestori venivano effettivamente da quella regione, un po’ perché quel nome faceva pensare alle bistecche alla fiorentina. Mi sono trovato bene per parecchi anni: a mezzogiorno venivano a mangiare operai ed impiegati che lavoravano nel quartiere, alla sera stavamo aperti solo il sabato. C’è stato poi un periodo, non troppo lungo, pieno di studenti: venivano a mangiare, ma soprattutto a parlare, a discutere: il tema preferito era la rivoluzione. A me facevano tanta tenerezza perché, se c’è una cosa che adoro, è sentire parlare di cose in movimento, forse proprio per il mio handicap, chiamiamolo così. Allora eravamo già diventati pizzeria, ma fornivamo un po’ di tutto, con prevalenza di specialità pugliesi. C’erano odori meravigliosi e con tutta quella gioventù attorno si stava proprio bene. Gradatamente la clientela è cambiata: non si sentiva più parlare di rivoluzione, ma di compatibilità col sistema, di adeguamento ai nuovi tempi, al nuovo stile di vita. Dato che tutto doveva essere nuovo o almeno sembrarlo, siamo stati rimessi a lucido anche noi, io e i miei fratelli, da un architetto alla moda. Io, come gli altri come me, eravamo terrorizzati: sentivamo parlare di impiantare piramidi di vetro, di sventrare da una parte, di mettere in luce le strutture dall’altra e via architettando. Per fortuna come muro portante non ho avuto troppe noie. I grandi cambiamenti erano nei piatti: tanta rucola, tanti carpacci, tante crudité (che bisogno c’è di chiamarle così?). Le porzioni diventavano sempre più piccole, scomparivano le pastasciutte, i minestroni e avanzavano le insalate, le salsine, i cibi esotici. Più diminuiva la quantità e più aumentava l’importanza dei piatti dal punto di vista estetico. Erano così belli che avrei potuto appendermeli come quadri. C’è stata poi una specie di crollo. Quei pochi clienti che venivano parlavano di giudici, di tangenti, di manette. Non so come, ma ci siamo ritrovati in poco tempo da soli, noi muri. Infine, l’ultima resurrezione: siamo una pizzeria alla moda, forniamo 50 tipi di pizza, dalla Margherita a quella zen; c’è la birra, la Coca Cola, perfino il vino ma non si può fumare. Alla fine forniamo anche, per digerire, una tisana alle erbe mediterranee; di sottofondo c’è musica etnica. Sento parlare di globalizzazione e non ho ancora capito bene cosa sia perché non lo sa nessuno. In fondo sono soddisfatto della mia vita e penso che l’ideale sia stare fermi come me, guardando la grande agitazione che mi frulla attorno e aspettando tempi migliori. Ho proprio nostalgia di quella gioventù che si scannava a dire che la rivoluzione era così e non cosà. Ma io ho tempo e tanta pazienza, “è questione di feeling” come diceva un tempo Mina, la si sentiva dappertutto, e il mio feeling è tenace.
piazza santo stefano a due passi dall’universita’ statale dove si riunivano gli studenti nel 68 e anche prima—ma la foto la ritrae nel 1920
giorgio de chirico—archeologi—1968
chiesa di san babila (un uomo)—in piazza s.babila- la chiesa più antica della città perché le fondamenta sono state poste nel IV sec. d C
milano, servizio taxi
antica trattoria toscana “il borghetto”
la nouvelle cuisine degli anni settanta
ragazzi, non è quella finissima signora? C’era già?!
piper milano—ethnics
“fascion” a Milano —i magazzini etnici (fascion, sarà “ultima moda?”)
cocciante e mina (1985) – questione di feeling
Complimenti alla brava Donatella. E bel post, cara Chiara. ( Ma attorno alla ‘Trattoria del gallo’ ci sono ancora quei bei campi ? O al loro posto ci sono i grattacieli di Ligresti e/o Berlusca ? ).
sai che non lo so? Ma campi, certamente, non ce ne sono. E’ sempre felice “riceverti”, chiara
Bellissima l’impaginazione, che rende più bello il raccontino! L’Antica Trattoria del Gallo si trova a Gaggiano, hinterland sud-ovest di Milano, zona tra le prime ad essere infestata dalla ‘ndrangheta. Ricordo che lo diceva Sergio, mentre passavamo di lì in macchina ( circa quarant’ anni fa). Ho letto recentemente un libro, che conferma questa notizia. Chissà come mai allora non è stato fatto niente, anche se tra la gente lo si sapeva, ed è stato lasciato prosperare questo vero e proprio cancro.