5 APRILE 2014 ORE 22:12 COSA NE DITE SE, PER UNA VOLTA, DI FRONTE A TANTO PERSONAGGIO, CI ABBANDONIAMO ALLE CITAZIONI: MA RICORDATE SONO FALSE! LO SAPETE DALLA VOSTRA VITA QUANDO QUALCUNO RIPETE – MAGARI IN SENSO ACCUSATORIO- UNA VOSTRA FRASE “SENZA CITARE LE CIRCOSTANZE CON LE VARIE FRASI CHE AVETE PROFERITO”– QUESTO OGGI, LO SAPETE, SI CHIAMA “CONTESTO”—LASCIO LI’

 

chiara: un assaggio lieve, il nostro, che non riesce a far emergere certe verità rivoluzionarie di questo gerande che servirebbero  a noi…..c’è tempo, c’è tempo… Del resto tentare una sintesi o enucleare alcuni punti “è troppo” / e’ troppo comunque, ma sicuramente per chiara

 

Claude Lévi-Strauss (Bruxelles28 novembre 1908 – Parigi30 ottobre 2009[2]) è stato un antropologopsicologofilosofofrancese.

 

File:Levi-strauss 260.jpg

 

CLAUDE LEVI STRAUSS – FOTO DEL 2005

 

 

CITAZIONI SCELTE DA WIKIQUOTE (WIKIPEDIA) :

 

  • Nel modo più inatteso, è proprio il dialogo con la scienza ciò che rende nuovamente attuale il pensiero mitico. (da Razza e storia e altri studi di antropologia)
  • Nulla, allo stato attuale della scienza, permette di affermare la superiorità o l’inferiorità intellettuale di una razza rispetto all’altra. (da Razza e Storia. Razza e Cultura)
  • La diversità delle culture umane non deve invitarci ad un’osservazione spezzettante o spezzettata. Essa è funzionale non tanto all’isolamento dei gruppi quanto delle relazioni che le uniscono. (da Razza e Storia. Razza e cultura)

[Claude Lévi-Strauss intervistato da Didier Eribon, Da vicino e da lontano, traduzione di Massimo Cellerino, Rizzoli, Milano 1988]:

 

  • […] sono pervaso sempre di più dal sentimento che il cosmo e il posto dell’uomo nell’universo oltrepassino, e sempre oltrepasseranno, la nostra comprensione. Mi capita di intendermi meglio con certi credenti che con certi razionalisti a oltranza: perlomeno i primi hanno il senso del mistero. (p. 16)
  • [Su Simone Weil] Chiacchieravamo nei corridoi della Sorbona. I suoi giudizi senza appello mi disorientavano. Con lei era sempre tutto o niente. La rividi in seguito negli Stati Uniti, dov’era venuta per un breve soggiorno, prima di andare in Inghilterra e morirvi. Si mise lei in contatto con me, mi diede appuntamento sotto il colonnato di un grande edificio – la biblioteca della Columbia o la Public Library, non ricordo. Discorremmo familiarmente seduti sugli scalini. Le intellettuali della nostra generazione erano spesso eccessive: lei non faceva eccezione, ma ha spinto questo rigorismo fino a farsi distruggere. (pp. 23-24)

 

  • Una volta passato il primo momento di curiosità, una volta stufo delle buffonate, il maggio ’68 mi ha disgustato. Perché non ammetto che si taglino degli alberi per fare delle barricate (alberi, cioè vita; una cosa che va rispettata), che si trasformino in pattumiere luoghi pubblici che sono un bene e una responsabilità per tutti, che si coprano di graffiti degli edifici, universitari o meno; né che il lavoro intellettuale e la gestione delle istituzioni vengano paralizzate dalla logomachia. (p. 119)

nota: logomachia (dal greco) —letteralmente:

  • Disputa che verte sull’attribuzione di significati diversi alle parole;
  • per estensione. discussione inconcludente
  • • sec. XVI

 

 

 

Un antropologo contro il razzismo

di Armando Massarenti

Armando Massarenti a Trento per il Festival dell’Economia 2010

Armando Massarenti (Eboli1961) è un filosofo ed epistemologo italiano, dirige il supplemento culturale della domenica di 24 ore

 

da IL SOLE 24 ORE

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4 NOVEMBRE 2009

 

Claude Lévi-Strauss, come ogni intellettuale che si rispetti, sapeva essere irritante. Nel 1971, sorprese l’uditorio con una tesi inaspettata per un antropologo. L’etnocentrismo, disse, non è una cattiva cosa, ed è stupido attaccarlo. È naturale porre il proprio modo di vivere e pensare al di sopra di un’altra cultura o civiltà che si discosta troppo dai valori e dalle usanze cui siamo abituati. Una certa impermeabilità è inevitabile. E persino auspicabile, perché solo chiudendosi agli altri si possono preservare sistemi di valori come entità distinte, capaci di rinnovarsi all’interno. Semmai dovremmo preoccuparci della graduale scomparsa dell’etnocentrismo – e non solo, e non tanto, di quello di noi occidentali. Le culture, anche le più lontane e “primitive”, sono destinate a comunicare sempre di più tra loro, spingendosi troppo in là nel riconoscimento delle diversità rispetto ai tempi in cui, all’opposto, ognuna di esse considerava se stessa l’«unica vera», l’«unica umana», e guardava agli abitanti appena di là dal fiume come a «scimmie di terra» o «uova di pidocchio».

Niente male per un discorso tenuto all’Unesco. E per un intellettuale famoso per l’avversione a ogni forma di razzismo, con il quale, a suo avviso, l’etnocentrismo non va confuso. Nessuno è autorizzato a opprimere o respingere valori degli altri. Del resto – come aveva osservato nel 1952 – la regolarità con cui le grandi religioni da sempre insistono sul tema della comune appartenenza a una stessa umanità, e le ricorrenti dichiarazioni dei diritti, denunciano l’insuperabile difficoltà dell’uomo ad avvicinare il diverso, a identificarsi con l’umanità in generale.

Questo, con sue specificità, è il tema che Lévi-Strauss, morto a Parigi nella notte tra sabato e domenica, ha declinato in mille modi. Nato nel 1908 a Bruxelles, da famiglia francese, si laureò in filosofia nel 1934 e lasciò la Francia per insegnare sociologia a São Paulo. In Brasile approfondì lo studio delle popolazioni indigene. Negli anni Quaranta a New York, entra in contatto con l’antropologia culturale statunitense e con il linguista russo Roman Jakobson, fondatore insieme a lui dello strutturalismo.

Nel 1947 torna a Parigi, prima al Musée de l’homme, poi all’École des hautes études e al Collège de France. Tra le sue opere (pubblicate per lo più dal Saggiatore) ricordiamo Le strutture elementari della parentela, Tristi tropici, Il crudo e il cotto, Le origini delle buone maniere a tavola, L’uomo nudo, Guardare ascoltare leggere, Antropologia strutturale, Mito e significato, Il pensiero selvaggio, Saudades do Brasil.

Al Collège de France, nel 1998, propose un’immagine della vecchiaia originale e profonda: «In questa età avanzata che non pensavo di raggiungere, mi sento come un ologramma spezzato. Non possiede più la propria unità eppure… ogni parte rimasta conserva un’immagine e una rappresentazione del tutto. Allo stesso modo, per me c’è oggi un io reale che è soltanto il quarto o la metà di un uomo, e un io virtuale che conserva ancora un’idea viva del tutto. L’io virtuale progetta un libro, comincia a organizzarne i capitoli e dice all’io reale: “Tocca a te proseguire.” E l’io reale, che non può più farlo, dice all’io virtuale: “Affari tuoi”. La mia vita si volge ora in questo stranissimo dialogo… Lo so, il mio io reale continua a sciogliersi fino alla dissoluzione estrema, ma vi sono riconoscente di avermi teso la mano, e per un attimo di avermi fatto sentire che non è così».

L’anno scorso, però, all’età di cent’anni (il prossimo 28 novembre sarebbero stati 101) pareva averci ripensato: «La douceur de vivre consiste innanzitutto nel non morire». Anche se il mondo in un secolo, era del tutto cambiato: «Siamo in un mondo al quale non appartengo più – diceva nel 2005 – quello che ho conosciuto e che ho amato aveva 1,5 miliardi di abitanti. Quello attuale ne conta sei miliardi, non è più il mio».


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