ore:19:19 CALARSI LE BRAGHE DI MARIO BARDELLI (secondo chiara l’immagine e’ straordinariamente bella)

 

Calarsi le braghe

Mario Bardelli

 

L’espressione “calarsi le braghe” è usata spesso in senso metaforico per indicare una resa, una rinuncia , un venir meno a proprie richieste, pur legittime e giuste. Insomma, qualcosa che, se si potesse, non si farebbe.

Ora, togliersi le mutande, letteralmente, non è conditio sine qua non per consumare il coito, ma in genere si fa così. Per cui, calarsi le braghe, mutande o pantaloni che siano, sarebbe mossa preliminare per compiere quell’atto che (non sempre, ahimè!) può rientrare in una o più delle categorie sotto elencate ( oltre ad altre, naturalmente) :

a)           un momento di intenso e gioioso piacere condiviso che approfondisce la conoscenza reciproca ( non a caso la Bibbia parla di conoscenza in questo senso).

b)           una manifestazione (fra tante, anche di altra natura) di quel sentimento, l’Amore, che , per secoli, ha ispirato poeti e artisti di vario genere.

c)            Ultimo, ma non da meno, può essere il momento iniziale del concepimento di una nuova vita, questo quotidiano miracolo che perpetua la specie.

 

Tutto questo è banale fino alla noia. Farne un elenco sembra ridicolamente pedante. Sembra anche a me, infatti.  Ma allora perché anche persone seriose e perbene usano questa espressione  per parlare di una rinuncia, una sconfitta, che rappresenta sempre una perdita. Materiale , per esempio in una trattativa commerciale, ma anche morale, se si rinuncia ai propri principi.

 

Stesso ragionamento si potrebbe fare per “inculata”. Sicuramente non tutti, ma credo più di uno sosterrebbe, non senza argomenti, che il coito anale rientra  nelle categorie di cui ai punti “a” e “b” della predetta lista ( non al punto “c”, ovviamente).

Eppure per “inculata” si intende grave danno, truffa, grossa fregatura.

 

A proposito di espressioni vernacole legate all’eros o alla genitalità che nel linguaggio traslato prendono connotazione negativa si potrebbe andare avanti. Cosa c’entra la stupidità con i testicoli (coglione! bischero!), la sprovvedutezza con il pene (pirla! Belinone!), la fesseria con la vagina ?

Mi viene in mente una barzelletta che girava, discretamente (ma neanche tanto), in Brasile ai tempi della dittatura militare. Era stata introdotta nelle scuole una materia che si chiamava Educazione Morale e Civica. Forse c’è ancora. Magari c’è anche in Italia.

Si tratta di insegnare ai bambini,fin dalle elementari, cos’è lo stato, la costituzione, i regimi, in particolare quello democratico ( sotto la dittatura si votava puntualmente ogni quattro anni), spiegare concetti astratti come governo, nazione, popolo. Una maestra illustra ai bambini proprio i tre ultimi concetti con un pratico esempio casereccio : “il Governo è il buon padre” – dice- “la Nazione è l’amorevole madre e il Popolo sono gli amatissimi figli”.

Finita la scuola due fratellini se ne ritornano a casa. E’ l’ora di pranzo, ma quando arrivano a casa non trovano niente in tavola, neanche i piatti, niente sul fuoco, neanche le pentole, niente nel forno. Insomma non c’è niente da mangiare e sembra che non ci sia nessuno in casa. Ma ecco che dalla stanza dei genitori provengono suoni attutiti. Allarmati vanno a vedere, ma la porta è chiusa a chiave. Forse i genitori hanno avuto un malore? I rumori, come di fiochi gemiti, sembrano avvalorare l’ipotesi. Il fratellino più grandicello tenta di  vedere qualcosa dal buco della serratura. Dopo un po’, il più piccolo domanda: “Beh, cosa sta succedendo ?”  “ E cosa vuoi che succeda” risponde l’altro “ Al solito. Il governo fotte la nazione e il popolo fa la fame”.

 

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